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20 Dicembre 2024Un’anima latina.
È un numero uno, anzi è il numero uno della Numero Uno di Milano, e certamente un caposaldo della musica italiana dal dopoguerra in poi. Lo considero la più bella voce italiana maschile dello scorso secolo, con Endrigo e De Andrè. Tra le più più belle voci a livello mondiale, paragonabile alla calda voce di Greg Lake o Paul Rodgers o a quella di un usignolo come José Feliciano, decantato anche da Mr. David Bowie. A proposito il Duca Bianco è rimasto estasiato dall’opera battistiana, e dalla sua magica voce, tale da nominarlo il suo cantante italiano preferito.
Così Battisti anche con ‘Anima latina‘ si conferma già nella prima metà degli anni settanta il numero uno della canzone italiana. Con questo album, dal sapore latino anzi precisamente sudamericano, per Sua stessa confessione, l’autore era appassionato della cultura e della musica sudamericana, principalmente quella brasiliana. L’album è una sorta di concept album, ed addirittura è il primo album italiano del genere, spartiacque nella carriera del menestrello di Poggio Bustone. Ormai i bei momenti e i successi di fine anni ’60 sono un bel ricordo, come la parentesi sanremese, coronata anche dall’insuperabile duetto con il Maestro dell’American soul Wilson Pickett. E questa linea di demarcazione della nostra eccellenza italiana sfocerà in questo sublime Album, sicuramente più musicato che cantato, rispetto ai precedenti.
Il dopo di ‘Anima Latina’ porterà altri magnifici successi di un’altra maturità ed un trittico di Album per concludere gli Anni ’70, in assoluta bellezza e veder trionfare, lo schivo Lucio, come sempre da primo in classifica. Immagino lo stupore e lo smarrimento musicale per chi all’epoca, abituato, da buon fruitore di perle da hit-parade, a canzoni orecchiabili da juke-box e ballate romantiche da falò, ritrovarsi spiazzati da cotanta novità che …”scende ruzzolando” e ti traghetta in un mondo nuovo. Si rimane stupefatti, ma coccolati da queste sonorità immaginifiche e calorosamente corpose. Si è alla presenza di un capolavoro senza tempo, un diamante che brilla ancora, senza alcuna scalfittura, avanti tanti anni, anni luce. Brani con dei titoli che hanno poco a che vedere con la popolarità dei precedenti della coppia infallibile Battisti-Mogol. La lista dei collaboratori è di quella da leccarsi le dita. Grandi strumentisti ed eccelsi turnisti. A partire da un batterista di fiducia come Gianni Dall’Aglio e il bassista Roberto, in arte Bob, Callero. Alle chitarre oltre Lucio, sempre eccelso polistrumentista (voce, chitarre, tastiere e percussioni) c’è Massimo Luca, invece alle tastiere e sintetizzatori ci sono Claudio Maioli e Gneo Pompeo, che si scoprirà anni dopo chi ha assunto questo bizzarro pseudonimo, si tratta di Gian Piero Reverberi. La sezione fiati è composta da Pippo Colucci e Pier Luigi Mucciolo alla tromba, Gianni Bogliano al trombone e Claudio Pascoli al flauto, ed infine c’è alle percussioni Franco ‘Dede’ Loprevite. Qui il polistrumentista Lucio si sbizzarrisce assemblando ritmi latini, appunto con ricorsi prog, con maestria ed una leggiadria unica, qualche incursione jazzistica e qualche finale sinfonico. Già tratti di sperimentazione c’erano stai nei precedenti “Amore e non amore” del 1971 e con “Il nostro caro angelo” del 1973 ma qui si stagliano di limpida nitidezza. Ed al termine dei 48 intensi minuti ci si ritrova a festeggiare la musica che diventa poesia.
Un capolavoro, che considero anche un particolare concept album di musica totale e totalizzante. Una World music d’avanguardia. L’album brilla di una sua luce splendente, è composto da tante sfaccettature, a mio modesto parere la stella più brillante della Galassia Battisti. È un album che ha influenzato tanto nel panorama italiano negli anni a venire, sino ai giorni nostri. Da vero antesignano di un genere poi ampiamente solcato da decine di artisti, ma lui è stato il pioniere nel panorama nostrano. Anche se il suo primo impatto sul mercato è stato abbastanza freddo, soprattutto dalla critica del tempo, dove si era abituati ad un Battisti molto più pop fruibile, da “Emozioni” , “Il Mio canto libero” fino a “Pensieri e parole” . Poi ha avuto il suo giusto apprezzamento ed una inestimabile rivalutazione.
Il disco è uscito sul finire del 1974, a Dicembre, lunedì 2, quindi esattamente 50 anni fa. Questo capolavoro è uno dei venti album della discografia italiana battistiana, di cui è uscito un solo singolo ‘Due mondi/Abbracciala, abbracciali, abbracciati’ dei ventidue singoli totali. Come vendite sul mercato ha raggiunto le 250.000 copie vendute. Registrato a Cologno Monzese (MI) negli Studi Fono Roma nell’estate precedente. Ma per quei tempi è incredibilmente ed anche un po’ inconsapevolmente troppo avanti. Soprattutto in tanti aspetti, sia musicali che dei testi di sua maestà Mogol. Iniziando dalla ‘stranezza’ dei titoli dei brani, ed anche in certi dalla brevità delle frasi, a tutti i strumenti che vengono utilizzati, i cori, un’incantevole voce femminile, quella dell’appena ventenne Mara Cubeddu, che duetta con Lucio, già ascoltata con il gruppo prog-rock Flora Fauna & Cemento. Sin dall’inizio del primo brano si entra in punta di piedi in una cattedrale dove il cerimoniere ci condurrà per mano tra danze, balli, cori, cambi repentini di ritmo, ed ambientazioni travolgenti. Ormai ci si avventura in un viaggio un po’ fiabesco, un po’ onirico. Del resto le foto riportate in copertina e nell’ interno sono abbastanza chiare: la gioia dei bimbi che danzano nei prati e circondano una mamma un po’ matrona, che ricorda vagamente una figura femminile felliniana, in scene bucoliche. Lei era l’attrice di cinema Dina Castigliego.
Le foto dell’album furono scattate da Cesare Montalbetti, ma con il nome d’arte “Caesar Monti”, con cui firmò molte delle prime copertine di cantanti dell’epoca, lui fu suggerito dall’amico Lucio Battisti, con lo scopo di allontanare possibili accuse di nepotismo (il fratello Pietruccio Montalbetti era il leader dei Dik Dik). Lasciamoci travolgere dalla domanda dov’è ‘La nuova America’? Le due chicche delle Ripresa di ‘Due mondi’ e de ‘Gli uomini celesti’ sono perle preziose e di una dolcezza tanto breve quanto delicata. Per poi finire risucchiati nella ‘Macchina del tempo’, che contiene davvero un ‘trasporto eccezionale’. Quel tempo che per Lucio una volta era di morire… , ora è ancora il tempo di continuare a vivere e sognare le Sue emozioni, che formano un nitido arcobaleno, con la colonna sonora più bella della musica italiana del secolo scorso. Buon ascolto, lasciatevi travolgere, sarà un turbinio di sensazioni, un’esperienza unica, ed è stata irraggiungibile e irripetibile da Battisti in primis e da tutti gli altri cantautori.
Bruno Grillo