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In un’epoca in cui il cambiamento sembra essere l’unica costante, il concetto di “comfort zone”, quello spazio mentale e fisico in cui ci sentiamo al sicuro, protetti dalle incertezze del mondo esterno, assume per qualcuno una valenza cruciale nella vita. Per esplorare questo tema, abbiamo deciso di parlarne con il dottor Sergio Teglia, il quale ci aiuterà a comprenderne meglio le dinamiche. Il concetto di comfort zone non è un “frutto” del nostro tempo, ma è ben illustrato in varie opere letterarie. Ad esempio, nella “Metamorfosi” di Franz Kafka, il protagonista si trova a confrontarsi con un cambiamento drastico che lo costringe a uscire dalla sua comfort zone in modo drammatico. Questo cambiamento, sebbene traumatico, lo porta a riflettere sulla sua vita e sulle relazioni familiari, evidenziando quanto spesso la nostra comfort zone sia definita dalle aspettative altrui e dalle convenzioni sociali. Questa e altre storie nelle quali il protagonista deve affrontare il suo passato ci mostrano che, sebbene il cambiamento possa essere doloroso, è spesso necessario per la crescita personale. Ma adesso mettiamo da parte queste mie considerazioni, e sentiamo cosa ha da dirci sull’argomento il dottor Teglia.
Dottor Teglia vuole dirci cos’è la comfort zone e quali sono le sue caratteristiche principali?
Come dice la parola, è lo stato psichico in cui si trova chi fa tutto senza ansietà, senza stress e senza rischiare niente. Questa persona si trova a suo completo agio nel suo spazio psichico circoscritto dove tutto è come previsto, abitudinario sempre e ovunque. Volendola descrivere in maniera più specifica, la possiamo definire un confine autoimposto nel quale si vive tranquilli, con zero tensioni e con un’autoprotezione che pone tutto sotto controllo. La teoria della Comfort Zone è stata elaborata nel 2009 da Alasdair White, teorico della gestione aziendale, per identificare la condizione nella quale i dipendenti di un’impresa riuscivano a massimizzare le loro prestazioni lavorative grazie alla presenza all’interno dell’azienda di un basso livello di stress.
Dottore, le chiedo di aggiungere un chiarimento che forse è superfluo ma penso possa aiutare i nostri lettori a comprendere meglio l’argomento. Come comfort zone non intendiamo ovviamente uno spazio fisico, ma…
Lo abbiamo appena detto. Parliamo di una condizione mentale, uno stato psichico, anche se uno spazio fisico ben determinato e sempre quello contribuisce moltissimo a creare questo stato.
Quali sono i rischi e le conseguenze di rimanere troppo a lungo nella propria comfort zone?
Abbiamo detto che nella comfort zone si cerca una situazione di positività dettata dal non avere tensioni, ansie e problemi, che danno il via a una condizione di autoprotezione. Esiste però anche un aspetto negativo legato al fatto che con il tempo questa situazione a livello mentale tende a non essere più producente, specialmente in presenza di novità che potrebbero portare a un ampliamento della comfort zone. Con il passare del tempo, i nostri neuroni hanno bisogno di nuovi stimoli in modo da creare all’interno del cervello dei “ricambi” naturali. Restare invece ancorati a situazioni sempre uguali, anche se confortanti, inibisce questo rinnovamento con conseguenze non sempre positive.
In che modo uscire dalla comfort zone può contribuire alla crescita personale e al benessere psicologico?
Restare ancorati a un unico “schema di vita” può portare con il tempo all’insorgenza di veri e propri rituali ossessivi o compulsivi. Uscirne (non fuggirne) può causare all’inizio problemi legati al sentirsi vulnerabili, quasi a rischio, dato che le novità producono come conseguenza la difficoltà di adattamento. Questa fase ha in psicologia un nome preciso: “zona di crescita”, intesa come allargamento positivo della comfort zone con l’introduzione al suo interno di un qualche elemento di novità che può anche essere all’apparenza insignificante (ad esempio cambiare bar o dopobarba) ma che produce in realtà quello stress “positivo” (eustress) che ci aiuta a trovare una motivazione, a migliorare la nostra produttività e a raggiungere nuovi obiettivi, come ha ben rappresentato Hans Selye, medico canadese, considerato “il padre dello stress”, che sosteneva come il giusto stress fosse “il sale della vita”.
Quali strategie o tecniche consiglia a chi desidera uscire dalla propria comfort zone ma si sente bloccato dalla paura o dall’ansia?
In primis occorre volerlo veramente. Poi attuando piccole variazioni nella routine quotidiana quali ad esempio cambiare bar, profumo, strada per andare al lavoro, modificare i propri orari evitando la ripetitività. E ancora cambiare stile agli abiti, visitare nuovi posti, nuovi negozi e il supermercato di riferimento nel quale ormai conosciamo a memoria dove si trovano tutti i prodotti che siamo soliti acquistare. “La tua vita inizia dove finisce la tua zona di comfort” scrive Neal Donald Walsch scrittore e conduttore radiofonico statunitense. Anche se a me sembra forse un poco forte, è pur vero che cambiare significa mettersi alla prova, e conseguentemente, superare con successo i piccoli compiti che ci imponiamo vuol dire veramente aprirsi a nuovi orizzonti. Se poi cambiare ci appare un qualcosa di insuperabile, la soluzione è contare sull’aiuto di qualcuno che tiene a noi che ci dia una mano a compiere questi passi verso l’allargamento della zona di comfort. Se si hanno amici veri, ne basta uno per aiutarci in questa fase stimolandoci a un cambiamento. E questo vale specialmente quando siamo alle soglie della fascia di età dai 65 ai 75 anni.
Quali sono i segnali che indicano che è il momento di uscire dalla propria comfort zone?
È questa, forse, la domanda più difficile alla quale rispondere, perché implica che il soggetto in questione abbia la capacità (sensibilità e conoscenza di sé) di saper cogliere questi segnali che sono maggiormente visibili stando all’esterno della comfort zone. Il segnale però che ritengo predominante è l’accorgersi della propria totale solitudine interiore. E ancora quando sentiamo di essere apatici, senza entusiasmi e desideri, non riuscendo a trovare in niente alcun tipo di soddisfazione. Provare invidia e gelosia nei confronti degli altri a causa della loro vita più varia e appagante, iniziare sempre più spesso a provare il desiderio di dormire.
Come può la nostra comfort zone influenzare le nostre relazioni interpersonali e professionali?
Le persone che tendono a vivere ancorate a una comfort zone, finiscono con il passare del tempo ad essere prevedibili, abitudinarie, con emozioni ridotte al minimo e un possibile rischio di andare in decadimento mentale. Corrono inoltre il pericolo di non apprezzare più lo spazio nel quale si sono auto confinate, tanto questo diventa sempre più simile a se stesso. E come conseguenza accade che anche chi gli vive accanto ne resta influenzato. Da tener presente però che a volte parliamo di rapporti di coppia dove uno dei due ha problemi di dipendenza psicologica dal partner e quindi tende ad accettare tutto ciò che l’altro propone, compresa la propria comfort zone.
In conclusione, abbiamo scoperto che vivere nella comfort zone che ci siamo creati, situazione che inizialmente offre una sensazione di sicurezza e stabilità, può con l’andare del tempo anche limitare il nostro potenziale di crescita personale e professionale. E personalmente ho trovato particolarmente interessante il richiamo fatto dal dottor Teglia alle parole di Neal Donald Walsch, “la tua vita inizia dove finisce la tua zona di comfort”. Crearsi un angolo nel quale trovare un rifugio sicuro può a volte rivelarsi piacevole, ma senza dimenticare che il vero motivo della nostra vita è pur sempre l’accorgersi di quanto sia soddisfacente vivere con gli altri.
Grazie ancora una volta per averci seguito.
Enrico Miniati