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2 Giugno 2024Nella mitologia greca, Cassandra era una principessa troiana dotata del dono della profezia, condannata però a non essere mai creduta. Questo mito antico ci offre una metafora potente per comprendere una condizione psicologica contemporanea: la sindrome di Cassandra della quale parleremo oggi con il dottor Sergio Teglia, lo psicologo nostro esperto.
Non mi resta dunque che augurarvi buona lettura.
Dottor Teglia, come è ormai consuetudine, diamo ai nostri lettori una definizione del tema di oggi: la Sindrome di Cassandra.
Intanto per capire il perché del nome, partiamo da chi era Cassandra, personaggio che troviamo nell’Iliade, creato da Omero. Figlia di Priamo, re di Troia. Bellissima, fece innamorare di sé Apollo, senza però ricambiarlo. Il dio, che come regalo d’amore le aveva donato il potere di fare profezie, irritato da questo rifiuto, non si riprese il dono, ma condannò la ragazza a profetizzare e prevedere gli avvenimenti senza però essere mai più creduta. Quindi lei sapeva che stava dicendo la verità (le sue erano sempre profezie nefaste, lo sa bene chi ricorda l’Iliade), ma nessuno più l’ascoltava o le dava il minimo credito. Lasciando il mito e tornando ai giorni nostri, la parte del vedere tutto in negativo, con le frasi tipiche: “andrà tutto male”, “non ce la farò mai”, “mi accadrà di tutto”, è ciò che contraddistingue chi è vittima di questo disturbo psicologico. Vivono immersi in un continuo auto sabotaggio, senza purtroppo rendersene conto. Per precisione, diciamo anche che non è catalogato nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) in quanto trattasi non di una patologia, ma piuttosto di un disturbo che può avere serie conseguenze quali ansia, frustrazione e aspetti depressivi di tipo reattivo. È caratterizzato da continue previsioni negative sul proprio e altrui futuro, tutto questo perenne pessimismo porta come conseguenza il non essere creduti e difficoltà nei rapporti sociali.
Questo non è assolutamente da confondere con chi, analogamente, utilizza le previsioni negative a solo titolo scaramantico. “Non ci riuscirò” può essere un modo per esorcizzare la paura di una prova dimostrando poi, una volta superata, le proprie capacità. La sindrome di Cassandra non deve essere confusa con lo stato depressivo, ma più con il pessimismo cronico. E tornando per un attimo al mondo “classico”, di pessimisti ne troviamo tantissimi: Eraclito, filoso greco 500 a.C. era chiamato il “pensatore oscuro”, Sallustio, senatore romano 50 a.C. si dimostrò critico a oltranza del proprio tempo. E come non citare il pessimismo cosmico di Leopardi? Tornando a Cassandra, il primo a utilizzare in psicologia il suo mito fu il filosofo francese Gastón Bachelard nel 1949 per descrivere persone che fanno previsioni sul futuro, generalmente catastrofiche, alle quali gli altri non credono e che quindi le fanno sentire costantemente svalutate, negative, inutili, con una bassissima autostima che le conduce spesso al fallimento.
Dottor Teglia, lei ha evidenziato come ci siano differenze con lo stato depressivo. Ma anche chi soffre di questo disturbo ha la tendenza a vedere il mondo in negativo o mi sbaglio?
Ci sono sostanziali differenze. La depressione maggiore in quanto patologia psichiatrica, è uno stato totale che toglie qualsiasi voglia di fare, iniziando dalla mattina, quando, appena svegliati, chi ne soffre ha difficoltà ad alzarsi. Induce a pensieri negativi spesso associati alla propria morte. La sindrome di Cassandra è un convivere con il costante pensiero di essere una nullità che non avrà mai niente di positivo. Ovviamente, diversamente dalla figura mitologica, chi ne soffre non fa vere previsioni, semplicemente si concentra sul pensiero che quanto verrà (per sé e per gli altri) sarà sicuramente negativo. Come già detto prima, costoro convivono, dolorosamente, con il proprio auto sabotaggio. Due situazioni quindi assolutamente da non confondere, anche se, come già detto, questa sindrome può portare a forme depressive, sempre però di tipo “reattivo”, vale a dire legate a un motivo. E, per i nostri lettori, chiariamo anche che situazioni di ansia, o paura magari legate al pensiero dei figli, non significano affatto vivere una situazione simile a ciò di cui stiamo parlando.
È questa una depressione da coniugare più al “femminile”, oppure è trasversale?
Tendenzialmente possiamo dire che ne soffre un numero maggiore di persone di sesso femminile, anche se non esistono vere e proprie statistiche a dimostrarlo. Il perché, forse, ma è soltanto una mia ipotesi, possiamo ricercarlo nella condizione di diversità nella quale ha per secoli vissuto la donna rispetto al mondo concepito quasi totalmente al maschile, cosa questa che, anche se troppo lentamente, fortunatamente sta cambiando. Mi sento di aggiungere però che esiste una notevole trasversalità, dato che una delle cause è una infanzia caratterizzata da gravi carenze affettive da parte dei genitori, cosa che colpisce maschi e femmine in ugual modo.
Ci ha chiarito che non è inserita nel DSM-5 come disturbo mentale; nonostante questo è da ritenere a tutti gli effetti una vera e propria sindrome?
Diciamo che è un disturbo psicologico che può degenerare in una patologia.
Quali sono le cause scatenanti e i sintomi da valutare con attenzione?
Ho già accennato alle carenze affettive nella prima e seconda infanzia, causa principale di questo disturbo, con conseguente bassa autostima e continua ricerca di approvazione da parte degli altri. Abbiamo poi il costante sentirsi “sbagliati”, passivi e in colpa, con la paura di cosa accadrà, unita a una spiccata tendenza a sbagliare, perché convinti che è questo che gli altri si attendono da noi. Abbiamo anche difficoltà nei rapporti affettivi che crediamo di non meritare, con tendenza a eccessive forme di gelosia rispetto a qualcosa che neanche esiste. E soprattutto grossa difficoltà a riconoscere il proprio valore.
Rispetto ai sintomi, chi ne soffre presenta una continua comunicazione al negativo con tendenza a ipotizzare guai in serie.
Cosa prova chi ne è affetto e si rende conto della cosa?
Un costante stato di dolore al quale è però abituato. Per queste persone è più spiazzante trovarsi invece a vivere un momento positivo rispetto alla previsione fatta che era ovviamente negativa.
Uscirne è possibile? E come si cura questa sindrome?
Volendo veramente farlo, è possibile venirne fuori. Occorre rivolgersi a uno psicoterapeuta che lavorerà molto sul presente e le sue cose positive, il “bicchiere mezzo pieno”, andando poi a ricercare nel passato le cause di questa condizione. Già il fatto di volerne parlare con uno specialista è il primo passo verso una soluzione. Aggiungo che trovare una via d’uscita al problema permette di stravolgere, ovviamente in positivo, la propria vita, dato che questo continuo vivere in negativo è spessissimo causa di gravi crisi anche all’interno del nucleo familiare che mal si adatta all’eterno stato di pessimismo trasmesso da uno dei membri.
La nostra intervista con il dottor Teglia ci ha offerto una panoramica dettagliata e approfondita sulla sindrome di Cassandra. Abbiamo esplorato le radici mitologiche di questa condizione, scoprendo come la storia di Cassandra, destinata a non essere mai creduta, si traduca oggi in una realtà psicologica per molte persone. Abbiamo anche discusso delle cause scatenanti, spesso legate a carenze affettive nell’infanzia, e dei sintomi che ne conseguono, come il continuo auto sabotaggio e la difficoltà a riconoscere il proprio valore. E importante, chiaro e incoraggiante, è il messaggio finale del dottor Teglia: uscire dalla sindrome di Cassandra è possibile, e il primo passo è riconoscere il problema e cercare aiuto, perché un approccio empatico e aperto può fare la differenza, aiutando chi ne soffre a sentirsi compreso e supportato nel percorso verso una vita più serena e appagante.
Grazie a voi tutti per averci seguito.
Enrico Miniati