“Lucca Collezionando 2024: Un Viaggio nel Tempo delle Passioni”
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20 Marzo 2024Pubblichiamo la seconda parte del racconto di Dunia Sardi, scrittrice aglianese, vincitrice di numerosi premi e collaboratrice della nostra Redazione di Arteventinews.
(seconda parte)
Giulia arrivò a casa seduta sul sellino della bicicletta di Anna, la sua migliore amica e quando sua madre la vide con il viso stravolto e la mano fasciata si mise le mani fra i capelli e si lasciò andare alla disperazione; fra un singhiozzo e l’altro si dava manate sulla fronte mentre Giulia, che si era lasciata andare su una sedia si teneva la mano ferita in grembo e la guardava attonita; poi, quando le sembrò, dalla fasciatura, che la mano fosse intera, cominciò a interrogarla: “Come hai fatto a mettere la mano nella macchina, non sei stata attenta… te lo dicevo io di andare a letto presto quando sei di mattina… me lo sentivo che un giorno o l’altro ci avresti lasciato una mano … e ora, chissà per quanto tempo non potrai andare a lavorare… poteva succederti come allo zio. Quando torna il babbo lo senti… non ti manderà più a ballare… a letto presto devi andare la sera, a letto presto…” Quando il dottore sfasciò la mano di Giulia e vide come fra un dito e l’altro fosse stata scarnificata la fragile ossatura ebbe un moto di rabbia; aveva riconosciuto la causa di quelle ferite ormai ne aveva viste più d’una specialmente sulle mani di adolescenti. Giulia sembrava anche più giovane dei suoi quindici anni e si meravigliò che resistesse così senza gridare, al dolore che le doveva causare la medicazione che le stava facendo.
“Ora dimmi dove lavori, perché devo fare il referto medico e il certificato per gli infortuni” le disse facendole una carezza sulla guancia, appena ebbe finito. Giulia che aveva stretto i denti fino ad allora anche se aveva le gote rigate di lacrime emise un rauco “no” e cominciò a raccontare concitata e rossa in viso che si era fatta male cascando di bicicletta e non c’entrava niente la fabbrica.
Il dottore non le credette ma fece comunque il referto medico per l’ufficio sanitario perché la ferita era profonda e potevano nascere complicazioni, anche se non insisté per il certificato all’I N A I L perché aveva capito bene che si trattava di un altro caso di lavoro nero.
Dopo qualche giorno Giulia si vide arrivare a casa due uomini in divisa: erano carabinieri.
Spaventata a morte chiamò sua madre che si spaventò anche di più; a casa loro non c’erano mai stati carabinieri “Chissà cosa penserà la gente che li vede…” fu il primo pensiero della madre, poi facendosi forza cominciò a rispondere a ogni loro domanda: “Sissignore, sissignore” fin quando si trattò di confermare nome , cognome e indirizzo della figlia, ma quando le chiesero dove si era ferita le andò il sangue alla testa: Giulia le aveva raccontato quello che non si doveva dire.
Madre e figlia si guardarono negli occhi stralunate e fu Giulia che disse per filo e per segno ai carabinieri tutto quello che aveva detto al dottore. Non sembrarono convinti ma fecero le viste di crederle senza indagare e quando andarono via, le due donne si sentirono salve.
Il giorno che Giulia si era ferita, non aveva avuto il coraggio di presentarsi, al ritorno del babbo, davanti a lui con la mano fasciata e si era rintanata in camera sua; aveva sentito comunque, affacciata al pianerottolo la reazione del babbo appena saputo quello che era successo. Immaginò la sua faccia verde, quando sentì che spostava il piatto della cena che la mamma gli aveva messo davanti; poi lo sentì spostare rumorosamente la sedia e fece appena in tempo a tirarsi indietro che lo sentì salire le scale: “Che ti è successo mimma?” chiese. A Giulia che non si era mai sentita chiamare nemmeno per nome da quel padre sempre troppo serio e di poche parole, nel sentirsi chiamare “mimma” venne da piangere.
Scese le scale con lui e vide che non aveva mangiato niente. Lo vide sbattere i pugni sul tavolo, guardare fisso la tovaglia senza riuscire a guardarle in viso. “Per forza Giulia si è fatta male l’hanno messa a una macchina che non riuscirebbe a manovrare un uomo di un metro e ottanta e lei non è neanche un metro e mezzo… è andata bene che non abbia perso le dita… o che non sia stata tirata dentro per i capelli, con tutto il viso”.
Poi rimase in silenzio: “Fanno lavorare le bambinette alle macchine adatte agli uomini per risparmiare sul salario, già le donne le pagano meno, la mia non è nemmeno assicurata e lavora per un tozzo di pane”… pensava l’uomo. Ma quello che pensava non gli usciva dalle labbra, serrate, sapeva di non avere alternative, che quel poco di salario, a nero, serviva per andare avanti, che nessuno avrebbe più assunto Giulia se fosse andato a denunciare il fatto.
Continuava a battere i pugni sul tavolo, mezzo apparecchiato, le poche cose spostate da una parte alla rinfusa, per non essere fatte a pezzi. Sembrava rincorresse i pensieri cercando di scegliere quello che poteva dire, dire alle donne di casa, che, sedute in disparte, lo guardavano in questo movimento ripetuto, senza sapere quello che gli passava per la mente. Ogni cosa che poteva dire, aveva le sue conseguenze, dalle quali non si poteva, poi, tornare indietro. Finche Giulia disse: “E’ colpa mia, ho dormito poco, andrò a letto prima, babbo”. Come a volergli togliere il peso di scegliere se passare da vile o andare alla fabbrica e pretendere giustizia, voleva solo che smettesse di fissare il tavolo con gli occhi vuoti, voleva andare a letto, a dormire e non pensare, forse a riprendere i sogni della notte prima.
A piedi, con la mano fasciata infilata in una tasca del vestito, la mattina dopo, presto presto Giulia si incamminò verso la fabbrica.
Doveva raccontare dei carabinieri, prima che qualcuno che li aveva visti lo andasse a dire, facendo pensare al capofabbrica chissà che cosa.
Così Raccontò a quell’uomo che la guardava cupo in volto, quello che era successo scrutando il suo viso per capire se era arrabbiato con lei e si sentì riavere quando le disse che aveva fatto bene a fare così e che forse il principale fra qualche mese l’avrebbe assicurata.
Lavorava lì da oltre un anno e ogni volta che era andata a chiedere se fosse stata assicurata l’avevano mandata avanti di mese in mese a forza di scuse.
Giulia sapeva che qualcosa era cambiato, profondamente, anche se la macchina che l’aveva aggredita avrebbe continuato a farle compagnia 8 ore al giorno tutti i giorni, la falsità, le bugie che aveva raccontato l’avevano resa complice. Aveva fatto quello che avrebbero fatto tutte le altre nella sua situazione, era certa, ma l’amarezza muta di suo padre, l’imbarazzo e l’umiliazione di sua madre, mettevano in una nuova luce il suo lavoro, che tante volte l’aveva fatta sentire grande, già grande. Di fronte alle parole sbrigative dell’uomo, mentre parlava per “bocca del padrone”, che le aveva promesso il posto assicurato, pensava: “mi assicurate per cucirmi la bocca, dopo che mi avete tagliuzzato una mano e resa bugiarda, ma non mi pare un buono scambio”. Non aveva la forza per fare diversamente, non avrebbe nemmeno saputo esattamente cosa fare e come fare, ma sentiva che non era giusto.
fine
Dunia Sardi
Dunia Sardi bio:
la scrittrice è nata ad Agliana, in provincia di Pistoia, nel 1941. Nel 2010 pubblica la raccolta di racconti La bambina con la farfalla sulla testa; nel 2011 il romanzo Il velo della sposa. Nel 2013 pubblica L’arcobaleno di Vittoria, a cui viene assegnato il premio Selezione nell’ambito del concorso “Scrittore toscano dell’anno”. Nel 2016 esce per Sarnus il romanzo Alla stagion dei fiori, premiato nel 2021 a Serravezza al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti. A gennaio 2022 pubblica il libro “C’erano donne ” per Edizioni Seven. Sempre nello stesso anno pubblica “La cima del redentore” per Mauro Pagliai Editore. Nel 2022 esce il libro di poesi D’istanti per Edizioni L’Ancora, diploma di merito alla Rassegna d’arte-Omaggio a Giacomo Puccini 2022 a Viareggio. Nel 2022 riceve anche il Premio al Concorso letterario ” A occhi chiusi …a voce alta” indetto da Progetto Idra con il racconto ‘Remote distanze’.