Teenage Dream arriva a Pistoia!
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13 Marzo 2024Ho incontrato Roberta Carboni presenziando a una conferenza che, assieme allo psicologo Sergio Teglia, ha tenuto nel periodo natalizio. E subito lei e l’argomento di cui parlava (la Geografia Emozionale), hanno attirato la mia attenzione. Perché non farle un’intervista? mi sono detto. Lei, gentilmente, ha acconsentito, ed ecco qua il risultato della nostra chiacchierata.
Di chi è Roberta Carboni parleremo tra poco, così come dell’argomento a cui ho accennato. Ma, tanto per entrare nel tema, ve ne do una brevissima, riduttiva, descrizione tratta dal web: “La Geografia Emozionale è un concetto che si riferisce alla connessione tra gli spazi fisici e le nostre emozioni. Si tratta di un’astrazione che affonda le radici nella psicologia ambientale e nella geografia umana, e tenta di comprendere come le persone interagiscono con il loro ambiente fisico, e come questo influisce sul loro benessere emotivo”.
Una doverosa premessa prima di iniziare a raccontarvi cosa ci siamo detti: Roberta (la chiamerò, per comodità, con il solo nome) ha una notevole, affascinante facilità di affabulazione, preceduta sempre da una attenta pausa di riflessione. Parla e racconta soltanto dopo aver analizzato dentro di sé le risposte.
Detto questo, e tenendo conto che, per motivi di “spazio” dovrò condensare le sue parole, partiamo adesso con le domande. Chi è Roberta Carboni?
Sono di profonde e radicate origini sarde, quelle origini che identificano ed esprimono un profondo senso di appartenenza a una terra aspra ma generosa, antica e ancestrale a cui sono orgogliosamente e testardamente attaccata, e con la quale mi identifico.
Sono laureata in lettere moderne, con indirizzo specialistico in geografia umana con una tesi che parla del mio paese e in particolare dell’esperienza mineraria di Montevecchio.
Dopo aver insegnato in istituti superiori geografia economica, lavoro oggi in una azienda toscana, ma la passione per l’insegnamento rimane, e mi dà quella motivazione che mi permette di realizzare progetti culturali e scientifici.
Non ho hobby particolari, ma curo con interesse tutto ciò che stimola la mia curiosità e la mia esigenza irrequieta di conoscere cose nuove, cercando di esplorare a fondo determinati argomenti, ponendomi domande su temi anche particolari o sui quali non è stata ancora aperta una riflessione, come sulla geografia emozionale o la geografia criminale.
Roberta, lei dice di non avere hobby particolari, ma io so che pratica il karate con discreti risultati (vice campionessa d’Europa a squadre), e anche se non è giusto definirlo un hobby, lei è interessatissima a quelle che sono le tradizioni popolari pistoiesi, tanto da far parte del corteo storico comunale della Giostra dell’Orso, impersonando (cosa riservata a pochissime donne) addirittura il “Capitano Militare”, una delle figure più importanti del corteo.
Sì, è tutto vero, ma ho detto poc’anzi di non avere hobby particolari solamente perché appena qualcosa stimola la mia attenzione, io sento immediatamente il desiderio di metterla in pratica. E, tralasciando come sono entrata in contatto con una delle organizzatrici, riuscire, assieme a mia figlia, a far parte dei figuranti del corteo è stata, ed è tutt’ora, un’esperienza bellissima e coinvolgente. Vestire quei panni medievali mi procura una sensazione di estremo piacere, dato che tendo a immedesimarmi totalmente in tutto ciò che faccio. Potrà forse sembrare eccessivo, ma indossare nel corteo quegli abiti di antica foggia militare (caso quasi unico per una donna), mi ha fatto pensare a quelle che in quel periodo hanno segnato la storia, tipo ad esempio Giovanna d’Arco, senza ovviamente voler far alcun paragone.
Parliamo adesso di Geografia Emozionale, dandone una breve panoramica e dicendo ai nostri lettori cosa rappresenta per lei.
La mia geografia, quella intima ed emozionale, è fatta di luoghi e paesaggi che hanno storie da raccontare, ricordare, tramandare, partendo da un bagaglio di ricordi vissuti personali e lasciati in eredità da chi amava far rivivere, attraverso il racconto, il suo stesso passato, per perpetuare una storia fatta di persone e luoghi, cari per legami di sangue, che rivivono attraverso il loro ricordo. Ho potuto così imprimere nella mia mente e nell’anima una topografia e una mappa mentale di grande valore emotivo, un tipo di geografia di cui mi interessa riflettere e proporre come oggetto di studio.
Rispetto alla Geografia Emozionale “educativa”, in generale si tratta di una geografia in gran parte poco conosciuta ai più, in quanto quella impartita nelle scuole risulta, ai fini didattici, abbastata fine a se stessa, di tipo mnemonico e statica, che spesso non lascia spazio all’immenso potenziale educativo ed emozionale che tale materia può esprimere: quello di insegnare e stimolare emozioni e memoria attraverso i luoghi e le storie vissute, luoghi che ognuno di noi conserva gelosamente o semplicemente ha riposto in un cassetto della memoria. Mi sono avvicinata a tale disciplina un po’ per caso durante il mio percorso accademico, in modo del tutto fortuito attraverso un “incidente di percorso”, con il Dipartimento di Storia Moderna, che mi ha fatto optare per quello di geografia, dove, con piacevole sorpresa, dal punto di vista culturale e emozionale, sono stata introdotta ad una didattica e ad un approccio alla geografia, in particolare quella umana, di cui non sospettavo l’esistenza, e che ha catturato tutta la mia attenzione. Pensiero e oggetto di studio di tale disciplina non può essere più ricco e vario in quanto incontra, collabora e si intreccia con tutte le discipline che riguardano l’uomo.
E l’uomo è il fruitore a 360 gradi di questa geografia, il soggetto principale di studio, ovviamente insieme all’ambiente in cui opera. Tale geografia ne rivela il pensiero politico (nelle realizzazioni di governi), economico, sociale, culturale, antropologico e le modalità con cui si sposano al territorio e all’ambiente in cui opera, con tutte le dinamiche di modificazione che esprime l’agire e il pensiero dell’epoca storica vissuta.
Cosa significa raccontare i luoghi?
Raccontare i luoghi vuol dire raccontare se stessi, la nostra memoria, un bagaglio emozionale unico che qualcun altro che amiamo o abbiamo fortemente amato ci ha trasmesso con la stessa passione e lo stesso sentimento con cui lo tramandiamo e raccontiamo agli altri; diventa nel tempo e nel vissuto personale un qualcosa che curiamo, riteniamo prezioso e necessario condividere.
Ci interessa perché alla base del nostro desiderio di raccontare un luogo c’è proprio un grappolo di sentimenti, che si legano in modo unico e tenace ai luoghi: l’attaccamento orgoglioso alle tradizioni ci identifica e caratterizza profondamente, attribuendoci caratteristiche uniche.
Soprattutto ci interessa raccontare quei luoghi vissuti e raccontati secondo un approccio intenso e immersivo che coniughi sensazioni, profumi, moti d’animo spontanei, memorie, sogni e fantasie, che coinvolgono tutti e cinque i sensi.
La memoria è un bagaglio culturale ed insieme emozionale preziosissimo che ci identifica in modo esclusivo e particolare, in un modo che non tende all’ omologazione e alla globalizzazione emozionale, ma ha cura dell’unicità della storia di ogni individuo e ci permette di conservare la nostra identità e appartenenza esclusiva e unica ad un territorio, uno spazio, memoria che può servire per nutrire la vita, orientarsi nel presente e nel cercare delle radici antiche.
Faccio parte ancora di quelle persone che hanno la necessità di raccontare con grande patos questi tipi di luoghi, perché si realizzino nel presente attraverso il racconto, e trovino spazio con la loro forza rappresentativa, comune a tanti, nel rivivere attraverso emozioni, immagini, suoni e profumi.
Roberta, una cosa che, tra le altre, mi ha particolarmente colpito ascoltandola, è la frase di Tim Ingold (un antropologo inglese, professore di antropologia sociale presso l’università di Aberdeen) che lei cita nelle sue lezioni: «i luoghi non sono posti, sono storie». Me ne può parlare?
Ritengo profondamente vero che nello spazio e nell’ambiente in cui siamo e abbiamo le nostre origini (familiari, sociali e culturali), viviamo le nostre prime esperienze, riceviamo impressioni e conoscenze, sentimenti ed idee che s’imprimeranno per tutta la vita nella nostra memoria improntando la nostra personalità ed il nostro agire, luoghi, spazi e paesaggi, che non trascurano la componente culturale e storica, l’emotività e la fantasia, i suoni, i colori, i profumi e i cinque sensi. Pertanto, posso affermare con assoluta certezza che il paesaggio è qualcosa di vivo e palpitante, con una memoria e un linguaggio acquisiti attraverso il lungo sedimentare di processi di interazione tra uomo e ambiente, frutto, dunque, di un travaglio culturale lungo e incessante, il risultato di una specificità nella quale si sono congiunte, interagendo in modo originale e unico, svariate componenti che hanno dato vita ad un paesaggio e a luoghi che abbraccia fatti non visibili, ricchi di significato emotivo che creano una memoria, e ricordi indelebili nelle persone che li custodiscono trasformandoli in vere e proprie storie.
Altra particolarità che colpisce ascoltandola parlare di Geografia Emozionale durante le sue conferenze, è la forza descrittiva delle immagini che utilizza. Immagini che non rappresentano solamente un soggetto, ma un pensiero, un ricordo, quasi un sogno di un già vissuto. Sono molto lontano da ciò che invece lei vuole rappresentare?
Attraverso le immagini cerco di stimolare quei sentimenti, magari sopiti dentro di noi o impolverati dalla routine e dalla velocità dei giorni che passano e che ci occupano in legittime attività, ma che tolgono spazi a momenti di pace, calma e riflessione che dovremmo dedicare a focalizzare immagini che hanno il forte potere di stimolare il riemergere di ricordi che andrebbero celebrati con un rito di lentezza e amore. L’emozione cercata nelle immagini è fortemente voluta, emozione che cerca di arrivare in modo diretto all’altro per una condivisione di un particolare vissuto, in modo mai forzato, perché anche nel risvegliare vecchi e cari ricordi occorre la giusta dose di rispetto e delicatezza. In esse desidero richiamare il ricordo di un passato che possiamo rivivere solo grazie alle emozioni e al ricordo in esse depositato, mentre il futuro, non appartenendoci ancora, non lo possiamo gestire emozionalmente, o almeno lo possiamo fare in modo limitato, ma il passato e i luoghi del cuore, uguali e diversi per tutti, quelli possono essere assaporati, riscoperti e condivisi, possono essere dei punti di ancoraggio, che come pietre miliari scandiscano e definiscano il cammino fatto e quello da intraprendere.
La lontananza dal luogo di origine o nel quale si è trascorsa la fanciullezza (indipendentemente da quanto questa sia tempo o spazio) contribuisce a trasformare dei semplici ricordi in emozioni?
La lontananza, per alcuni, determina un affievolirsi del ricordo, soprattutto laddove il distacco dalla propria casa d’origine e dalla propria terra è decisamente voluto; diversamente se l’allontanamento da un territorio fortemente amato è dettato da contingenze economiche e lavorative, il sentimento si fortifica diventando struggente. Si tende a vivere nel ricordo di spazi, suoni e profumi lontani in modo più intenso, cercando di non dimenticare, di centellinare i sentimenti di gioia e serenità provati in un dato momento e luogo, magari ai più insignificanti, ma ricchi di senso e appartenenza da chi lo ha vissuto. Questo perché la mappa mentale delle nostre emozioni disegna una topografia degli spazi pregna di emozioni non più vivibili proprio a causa di una forzata lontananza.
Come ho anticipato, per motivi di spazio, mi fermo qui con il chi è Roberta Carboni e cosa rappresenta per lei la Geografia Emozionale. La persona e l’argomento meriterebbero (e ovviamente sono) molto di più rispetto a ciò che ho tentato di trasmettervi e raccontarvi. Aggiungo soltanto che con Roberta abbiamo parlato anche di tantissime altre cose: dal senso di appartenenza nei gruppi Rom dell’Est, al ruolo che ha attualmente la geografia nella scuola; da cosa possiamo trovare nelle periferie, spesso degradate, che possa servire a farle diventare un luogo “geograficamente emozionale”, alla geografia criminale (altro interessantissimo e attuale argomento). Dallo strapotere degli attuali sistemi di orientamento applicati alla mobilità, che privano l’uomo di quello che un tempo definivamo “senso dell’orientamento”, alla predilezione che hanno i popoli di origine anglosassone per le nostre campagne, sino a terminare parlando di Gigi Riva, grande indiscutibile campione, non soltanto di sport, ma soprattutto di un’umanità fatta di appartenenza a un popolo e a una terra che non era quella di origine.
Di tutto questo, magari, parleremo alla prossima occasione.
Grazie dunque a Roberta Carboni e a tutti voi per averci seguito.
Enrico Miniati