BORSA TURISMO MEDITERRANEO, A Napoli dal 14 al 16 marzo
9 Marzo 2024Prendersi cura di sé. Mens sana in corpore sano, prepararsi e vivere bene la terza età
9 Marzo 2024Ospitiamo sulle nostre pagine un bel racconto di Dunia Sardi. Potendo risultare troppo lungo per i lettori lo dividiamo in due pubblicazioni in modo da suscitare anche una sorta di curiosità nei naviganti del web.
I Pescecani (prima parte)
Come ogni giorno, quando aveva il turno di mattina, Giulia era arrivata al cancello della fabbrica trafelata e con i capelli scarruffati; aspettava sempre l’ultimo minuto ad alzarsi tanta era la fatica che le costava. Da quando sua madre cominciava a chiamarla, verso le cinque e mezzo, a quando metteva le gambe fuori dal letto di solito passava un quarto d’ora e a volte sua madre doveva aiutarla a vestirsi quando era ancora mezzo addormentata; il lunedì specialmente era difficile farle aprire gli occhi che sembravano incollati dal sonno; era andata a letto a mezzanotte la sera prima, d’altra parte Giulia aveva quindici anni e la domenica sera voleva andare a ballare. Scendeva le scale come una sonnambula e giù, in cucina, beveva in fretta una tazza di caffè e latte poi si metteva nel marsupio di tela le due fette di pane con la mortadella o con la marmellata che le aveva preparato sua madre e usciva con la sua bicicletta Bianchi; mentre pedalava più forte che poteva il vento fresco del mattino le sferzava il viso e le sgombrava la mente; ora era sveglia del tutto e Pensava che a quel punto il più era fatto. Già, per lei era meno faticoso lottare con i filati e le rocche di lana da rappezzare correndo su e giù per otto ore avanti e indietro alla macchina, piuttosto che lottare con il sonno che la inchiodava a letto, e staccarsi dai sogni senza aver visto come andavano a finire. Così arrivava in fabbrica ansante per aver pedalato a tutta birra e timbrava la cartolina sempre pochi minuti prima delle sei.
Correva a infilarsi la vestaglia blu, raccoglieva i capelli lunghi e ribelli in una treccia e entrava nel suo reparto come una folata di vento. Prima che i piccoli gruppi delle compagne cominciassero a sciogliersi, si fermava con loro per ascoltare, curiosa, le novità della domenica sera; di solito le ragazze, approfittando dei pochi minuti che restavano prima del secondo suono della sirena, si raggruppavano per raccontarsi storie di fidanzati o di giovanotti che le facevano confondere.
Quella mattina Giulia era corsa di filato alla macchina, senza soffermarsi con le compagne che stavano già prendendo il loro posto di lavoro; era l’ora di accendere il motore e si era messa di lena a infilare le grosse rocche sul dietro della macchina di preparazione. Dopo aver riempito la fusiera era passata sul davanti per sistemare le strisce di lana fra i due rulli dentati, d’acciaio , uno sopra l’altro che assomigliavano a nelle piccole bocche di pescecane; svelta svelta le accompagnava con la mano sinistra mentre con la mano destra teneva ferma la leva per essere pronta a far ripartire la macchina, tirandola a se, appena sistemati i nastri di lana.
Giulia era piccola di statura e per sistemare bene il filato si doveva ogni volta quasi sdraiare bocconi sul corpo di ferro della macchina e tendere il braccio verso quei rulli dopo essersi accertata che la treccia dei capelli fosse ben appuntata sulla testa, ma era un esercizio così abituale che ormai Giulia lo faceva meccanicamente e la sola cosa importante era togliere velocemente la mano dagli ingranaggi prima di tirare la leva del riavvio… Le due cose avvenivano quasi in contemporanea per non perdere nemmeno un secondo di tempo. Ma quella mattina, un attimo prima che Giulia togliesse la mano la macchina partì; Giulia sentì che la leva era bloccata e la sua mano sinistra non le veniva dietro e urlò. Il suo urlo superò il rumore delle macchine e la sentirono in tutto il reparto; qualcuno corse a fermare quel mostro che le aveva addentato la mano e lei cominciò a sentire come se migliaia di spilli le stessero trapassando le dita e si lasciò ricadere di peso sull’intelaiatura della macchina di cui ormai era prigioniera.
Le compagne si affollarono intorno a lei che sembrava un manichino vestito di blu, rotto e buttato là.
Ci fu molta confusione prima che si rendessero conto che Giulia non era svenuta ma aveva una mano negli ingranaggi della macchina. Allora, come marionette impazzite cominciarono a correre per tutto il reparto urlando che fermassero le macchine; una di loro si lanciò nel piazzale chiamando a gran voce il capofabbrica; mentre altre correvano a cercare gli assistenti meccanici facendo capire più con i gesti concitati che con le parole, che non venivano, di correre con gli attrezzi per smontare una macchina, che c’era una con la mano dentro.
Ci volle tempo, prima che il meccanico della fabbrica, riuscisse a smontare i rulli e nonostante tutta l’attenzione che ci metteva Giulia si lamentava forte che non sentiva più la sua mano, terrorizzata più dalla paura che dal dolore. Le compagne le facevano cerchio cercando di tranquillizzarla anche se le loro voci erano impaurite: “Non è niente … vedrai che non sarà niente … è successo anche l’anno scorso alla Maria e non si è fatta quasi niente”, ognuna di loro cercava di dirle qualcosa ma a lei, le voci arrivavano attutite come il brusio delle macchine e solo i battiti veloci del cuore le martellavano anche nelle orecchie a tonfi sordi e tremava tutta. Alzato che fu il rullo di sopra apparve la mano di Giulia tumefatta e insanguinata e quando il meccanico la staccò dal rullo Giulia si mise il braccio libero sugli occhi e appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo che cercava di sorreggerla mentre le si piegavano le gambe.
Fu quasi trascinata in magazzino dove venne adagiata su un mucchio di lana grezza, dal meccanico e due compagne di lavoro, mentre il capofabbrica, che era arrivato nel frattempo, stava schioccando le mani per far tornare le ragazze alle macchine e far ripartire la filatura. Le avevano portato una fascia bianca e un bicchiere con del liquido forte per farla “riavere” e lei continuava ad asciugarsi le lacrime, che le colavano sul viso come una fontana, con la mano buona e a non voler guardare l’altra mano che non sentiva più: le sembrava pesante e anestetizzata come quando ci si toglie un dente con l’anestesia e ti sembra di avere la bocca storta e gonfia e non senti dolore dove il dente non c’è più; davanti agli occhi le passava l’immagine della mano dello zio Guido che aveva lasciato tre dita nella cinghia del telaio.
Rimase lì per una buona mezz’ora, stordita e con lo stomaco che le bruciava come avesse inghiottito alcool puro e diceva che “no”, non dovevano andare a chiamare la sua mamma, si sarebbe impaurita. Il capo reparto la guardava con un’espressione preoccupata e dopo essersi accertato che la mano c’era tutta, compresi quei diti sfracellati all’interno che facevano intravedere il biancore dell’osso, le disse che non era niente e che l’avrebbe fatta accompagnare a casa da una compagna, visto che lei non avrebbe potuto reggere il manubrio.
Era preoccupato anche dall’andirivieni delle ragazze che si affacciavano alla porta del magazzino per vedere Giulia e dal sangue che aveva cominciato a colare dalla sua fasciatura e stava imbrattando la lana.
Diede a una di loro il permesso di uscire per portarla a casa in bicicletta, poi rivolto a Giulia le disse , assumendo un tono bonario, di farsi vedere la mano da un dottore, ma … “… per carità non ti scappi detto che ti sei fatta male in fabbrica… è meglio se il principale non lo viene a sapere… sai è meglio anche per te; cerca una scusa… sei una brava operaia e mi dispiacerebbe perderti…” Giulia era troppo frastornata e non afferrò tutte le parole ma una cosa l’aveva capita: non doveva dire la verità se no la licenziavano. (…continua)
Dunia Sardi
*troverete la seconda parte sabato prossimo
Redazione Arteventinews
Dunia Sardi bio:
la scrittrice è nata ad Agliana, in provincia di Pistoia, nel 1941. Nel 2010 pubblica la raccolta di racconti La bambina con la farfalla sulla testa; nel 2011 il romanzo Il velo della sposa. Nel 2013 pubblica L’arcobaleno di Vittoria, a cui viene assegnato il premio Selezione nell’ambito del concorso “Scrittore toscano dell’anno”. Nel 2016 esce per Sarnus il romanzo Alla stagion dei fiori, premiato nel 2021 a Serravezza al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti. A gennaio 2022 pubblica il libro “C’erano donne ” per Edizioni Seven. Sempre nello stesso anno pubblica “La cima del redentore” per Mauro Pagliai Editore. Nel 2022 esce il libro di poesi D’istanti per Edizioni L’Ancora, diploma di merito alla Rassegna d’arte-Omaggio a Giacomo Puccini 2022 a Viareggio. Nel 2022 riceve anche il Premio al Concorso letterario ” A occhi chiusi …a voce alta” indetto da Progetto Idra con il racconto ‘Remote distanze’.