Dopo la breve pausa estiva, come avete potuto notare dal titolo, oggi trattiamo con il dottor Sergio Teglia un aspetto relativamente recente della psicologia. E per farlo parleremo di ambiente, di antropizzazione, di mutamento delle nostre abitudini e del radicale cambiamento che è avvenuto nel modo di intendere e vivere il mondo che ci circonda. Partiamo quindi col porgere al nostro esperto la prima domanda che immagino già molti di voi lettori vi sarete posti:
Cos’è l’ecopsicologia, dove nasce, perché nasce e quando.
Nasce in California negli anni ’90 per l’esattezza all’interno dell’Università di Berkeley. È una branca della psicologia che si occupa essenzialmente della correlazione che esiste tra il disagio psichico e l’aumento del degrado ambientale, cosa questa confermata da moltissime ricerche. L’obiettivo dell’ecopsicologia è la riconnessione tra uomo e ambiente. Riconnessione però attuata non attraverso il dominio sulla natura, ma bensì con la ricerca dell’armonia e la piena consapevolezza che il genere umano è parte integrante della natura stessa, che non può essere dominata ma assecondata.
Rispetto a quest’ultima parte della risposta, mi viene in mente qualcosa che ho recentemente ascoltato in una trasmissione radiofonica. L’esperto di turno spiegava che l’uomo “moderno”, cioè noi, rispetto ai suoi antenati ha quasi del tutto perso il senso innato dell’orientamento. Senza un aiuto della tecnologia (navigatori, smartphone, eccetera) saremmo in estrema difficoltà. È una teoria che ha dei riscontri?
È esattamente così. Ed è dovuto all’aver perso la capacità di adattamento al mondo circostante perché sono aumentati i nostri bisogni e il modo di affrontarli. La costante odierna è avere una soluzione rapida che appaghi il nostro bisogno di stare sempre bene e subito; in questo senso un cellulare, rispetto a dei bisogni semplici e pratici quali ad esempio trovare la via migliore per raggiungere un punto x, offre delle risposte immediate. Un tempo, molto tempo fa dovevamo saper “leggere” i segnali della natura, le cortecce degli alberi o la direzione di un’ombra dettata dal cammino del sole, era tramite questi segnali che venivano risolti i problemi di orientamento.
È stato accennato al bisogno che abbiamo di stare sempre bene, fisicamente e psicologicamente. Ovviamente questo è impossibile, ma tornando al tema del nostro incontro, quali possono essere le applicazioni terapeutiche dell’ecopsicologia?
Un’importante ricerca fatta su 18.000 soggetti dall’università inglese di Exeter (considerata tra le migliori università nel mondo) ha accertato che il contatto diretto con la natura riduce l’ansia, gli stati depressivi, i sentimenti negativi, migliora l’umore e attiva il dialogo interiore. Dal punto di vista socio sanitario è stato di recente coniato un termine: la solastalgia, con il quale si intende un deficit di natura che crea uno stato di malessere. Attenzione però. Non sto affermando che per stare bene basta fare una passeggiatina in un parco, tutt’altro. Perché si abbiano dei benefici reali, questo deve diventare un’abitudine che comporta un’immersione nella natura di almeno 90 minuti per volta. Un’altra ricerca, basata questa sul bosco e i benefici che riceviamo attraverso il cosiddetto “silenzio della natura”, ha accertato che questo stimola la neurogenesi, vale a dire la produzione di cellule nervose, stimola la produzione di onde alfa (quelle legate al rilassamento), aumenta la capacità di concentrazione e favorisce la riduzione dell’attività di quelle aree nervose associate allo stress e alla paura. Da ultimo, citando sempre autorevoli ricerche, inalare l'”odore del bosco”, vale a dire le biomolecole liberate dalle piante (il cui nome è monoterpeni) aumenta le capacità del sistema immunitario. Aggiungo un’ultima considerazione: è stato verificato che in alcuni ospedali i pazienti ricoverati che avevano davanti alle loro finestre una parete vivevano il ricovero in uno stato di abbattimento morale con un deficit del sistema immunitario molto più accentuato di coloro che invece dalle finestre potevano osservare un parco, un bosco o una collina.
Una riflessione su quanto ha detto sinora: può essere che tutto questo, sia pur in maniera inconsapevole, l’uomo l’abbia sempre saputo ma che con il “progresso” abbia finito per dimenticarselo?
L’abbiamo sempre saputo, certo, senza però tener conto del tesoro che avevamo. E l’abbiamo lentamente lasciato indietro per la voglia narcisistica ed egocentrica di dominare tutto ciò che ci circonda, natura compresa. Poi le situazioni, attuali, di un recentissimo passato, ci hanno richiamato bruscamente alla realtà.
Stiamo parlando di un argomento piuttosto vasto che sul web viene analizzato in vari modi che agli occhi di un profano possono a volte sembrare la stessa cosa. Ad esempio, l’ecopsicologia e la psicologia ambientale, sono le due facce della stessa medaglia?
Sono due branche della psicologia che possiamo senz’altro definire complementari. Della prima abbiamo già detto, aggiungo che l’ecopsicologia ha l’obiettivo primario di riconnetterci con l’ambiente, mentre la psicologia ambientale si occupa invece di come noi percepiamo l’ambiente che ci circonda in quello che è un vero e proprio processo cognitivo.
Ecopsicologia, natura, ambiente, recupero della componente antropica e delle culture passate, in quanto molto più legate per la sopravvivenza all’ambiente. Tutto questo come si concilia con il mondo tecnologico e industriale?
Un’ottima domanda su un tema difficile e complicato che necessita di una risposta da formulare con molta umiltà e attenzione. Inizio col ricordare ai nostri lettori due cose molto importanti: il ruolo, per la nostra sopravvivenza, delle api e dei lombrichi, senza le prime che impollinano e i secondi che fertilizzano il terreno, noi non avremmo frutti e raccolti. Dico questo perché è assecondando i ritmi della natura e adattandosi a questi che il genere umano è cresciuto, imparando ad aspettare, mettendo in gioco il proprio corpo con il lavoro, il sudore e la fatica, legandosi strettamente per secoli al contatto diretto con la natura. Poi è accaduto che con il progresso ritmi e approccio sono mutati radicalmente. Il mondo tecnologico ha preso il sopravvento mettendo sul campo il “tutto e subito” ed eliminando quasi interamente il contatto diretto e la necessità di comprendere l’ambiente vivendolo e rispettandolo. Per tentare di dare una risposta cito una tradizione delle popolazioni indigene del Quèbec che allevavano i figli insegnando loro che l’uomo, inteso come genere umano, necessita di due cose: le radici e le ali. Ecco, le nostre radici erano, e sono, da ricercare nella natura che ci circonda e nella capacità di saperla vivere senza dominarla a tutti i costi. Le ali, che per quelle popolazioni rappresentavano la naturale esigenza dei figli di ricerca di un nuovo spazio autonomo, possiamo, metaforicamente, oggi assimilarle alle innovazioni portate dalla tecnologia, che serva però da aiuto, da stimolo, da incentivo, senza diventare oggetto di prevaricazione, sfruttamento e maltrattamento di questo mondo che è l’unico che abbiamo.
Torniamo al tema del nostro incontro. La natura che sembra ribellarsi rappresenta oggi un gravissimo problema, non solo dal punto di vista economico e sociale, ma anche da quello psicologico per la nostra evidente incapacità di comprendere appieno ciò che sta veramente accadendo. Può l’ecopsicologia aiutarci a recuperare un rapporto corretto con il mondo attuale?
Può aiutare a risentirci parte di una casa comune che è l’ambiente. Casa che non dobbiamo credere di poter dominare e sfruttare a nostro piacimento con il solo criterio del profitto, ma che dobbiamo amare, curare, rispettare e apprezzare. Può aiutarci facendo sì che si ricostituisca nella nostra psiche il legame eterno uomo/natura. E può farlo spingendoci a trascorrere parte del nostro tempo all’interno della natura. Tra l’altro, contrariamente a molto di quanto siamo soliti utilizzare come luogo di “intrattenimento”, per vivere e giovarsi dei benefici di una giornata all’aperto non occorre pagare alcun biglietto. L’unica cosa che ci richiede è il rispetto.
Il recente dramma della pandemia da Covid ha insegnato che nei piccoli borghi si è superato in maniera diversa da quanto avvenuto nelle grandi città lo stress causato dalle restrizioni imposte dai governi. Questo grazie alla maggior facilità nei rapporti umani e alla familiarità del territorio. È forse un qualcosa che trova riscontro nell’ecopsicologia?
Assolutamente sì. Situazioni quali quelle nelle quali ci ha costretti a vivere la pandemia da Covid sono state affrontate e superate meglio nelle piccole urbanizzazioni, specialmente se queste, come lo sono tantissimi borghi italiani, si trovano da sempre situate in aree boschive o comunque immerse nel verde. Inoltre, a piccoli numeri di residenti corrisponde sempre una miglior qualità nei rapporti umani, nelle relazioni interpersonali, nei sentimenti di solidarietà e nella capacità di prestarsi, all’occorrenza, un aiuto reciproco.
Come avrete notato, partendo da una parola insolita, ecopsicologia, abbiamo affrontato anche oggi una lunga serie di argomenti e per questo ringraziamo il dottor Sergio Teglia. Attraverso le sue parole e le immagini che queste ci trasmettono, ovviamente non abbiamo fornito soluzioni né dato consigli assoluti o un elisir di lunga vita, ma chi lo vorrà potrà trovare tra queste righe una ricetta semplice per prendersi cura di sé.
Enrico Miniati
Ricordo che i precedenti interventi del dottor Teglia sono reperibili sulla rivista alla voce “Interviste” e che potete essere voi a proporre i temi o gli argomenti da affrontare e, se vorrete, potrete porre domande al nostro esperto su qualsiasi cosa vi possa interessare relativamente alla nostra rubrica (naturalmente le risposte rispetteranno al massimo la privacy di chi le pone).
Proposte e domande sono da indirizzare via mail a: redazione@arteventinews.it
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