Con questa prima serata, presso il Circolo Arci di Bottegone, IndiEpendente Festival ci ha già fatto un grandissimo regalo: abbiamo potuto assistere ad un concerto di Stefano Rampoldi aka Edda. Una esibizione esilarante e viscerale insieme: gli irresistibili intermezzi di dialogo con il pubblico (ironia e dolore latente, divagazioni di ogni sorta, aneddoti in zona Irvine Welsh e riferimenti a Cristina D’Avena) sono stati complementari ad una magica performance chitarra voce che – semplicemente – avremmo voluto non finisse mai.
Intervista a Edda:
L’ultimo tuo lavoro uscito è Noio; volevam suonar – realizzato nel 2020 e cointestato a te e a Gianni Maroccolo. Durante il concerto hai invece parlato del disco sul quale stai lavorando, il cui produttore è lo stesso Maroccolo.
Sì, adesso sto finendo l’ultimo lavoro, prodotto da Maroccolo. Se tutto va bene e si ricrea un movimento di interesse, si potrebbe portare in giro anche Noio, che è stato realizzato in pandemia. In ogni caso, per quanto riguarda Maroccolo, si tratta di musicisti che hanno un peso economico ed organizzativo diverso dal mio: è più impegnativo organizzare.
Quindi, Noio non lo hai mai suonato dal vivo?
No, in verità le canzoni me le sono anche dimenticate. Probabilmente è servito comunque a far nascere in Gianni una certa fiducia nei miei confronti, magari anche mal riposta, che l’ha portato a produrre questo nuovo disco, che adesso dovremmo finire.
A che punto è questo ultimo lavoro?
Torno a breve qui in Toscana, vicino Cecina, per alcune rifiniture: il disco è già stato registrato, speriamo che entro Natale lo abbiano mixato e tutto il resto. Dovrebbe poi uscire in primavera.
Con Maroccolo vi conoscevate già?
Lo conoscevo ovviamente da sempre come artista. Ci siamo conosciuti personalmente quando portavo in giro il disco Graziosa Utopia.
Da lì è nata la volontà di collaborare?
Diciamo di sì. È stato Gianni a propormelo. Da parte mia non glielo avrei mai chiesto, non me lo sarei mai immaginato: si tratta di personaggi di un livello molto più alto rispetto al mio. Comunque, quando è arrivata la sua proposta, ho detto: “Sì, speriamo di essere all’altezza.” Quando avrò pronto il disco, Lorenzo (Del Pero, NdR) sarà forse la prima persona che lo ascolterà. Tra di noi c’è un certo feeling, in lui percepisco maturità e sono molto interessato al suo giudizio.
Considerando la tua produzione nell’insieme, Noio, come impostazione, mi è sembrato più vicino a Odio i vivi. Meno viscerale e forse più articolato di lavori precedenti: penso soprattutto a Stavolta come mi ammazzerai? Che rapporto hai con i produttori, quando lavori a un disco?
Ho lavorato con grandi produttori: Taketo Gohara per Odio i Vivi, Luca Bossi per Stavolta, Graziosa Utopia e Fru fru, adesso Maroccolo. Con Luca – che è anche il bassista che suona con me, grande musicista – ad esempio portavo i pezzi in studio giorno per giorno e nel giro di due ore veniva fuori la linea di batteria. Con Maroccolo ho provato anche una certa soggezione, una soggezione che nasceva dall’ammirazione per una figura che ha fatto tantissimo per la musica. Dico sempre che una canzone è un malato terminale: sta lì, poi arriva l’arrangiatore che, con il suo intervento, o la tiene in vita, o l’ammazza definitivamente. Perlomeno, questo è il caso delle mie canzoni.
In Fru fru – il tuo ultimo lavoro da solista, risalente a due anni fa – ti sei spostato verso territori maggiormente pop…
In Fru fru forse l’arrangiamento non è proprio a fuoco, come se mi fossi messo un vestito non della mia taglia. Eppure sono stato io a mandare Luca in quella direzione. Comunque, non è stata una via sbagliata per tutti i pezzi: Edda o Abat-jour mi piacciono, ad esempio.
Quella di Fru fru, insomma, è una direzione nella quale non vuoi proseguire.
Diciamo di no. Non sono Jackson Browne…
In merito a questo, il tuo lavoro mi sembra davvero peculiare, difficilmente classificabile. Quando penso a te, per motivi filosofici e spirituali, prima ancora che estetici, mi vengono in mente figure come Fausto Rossi o Claudio Rocchi.
Beh, se mi accosti a questi qua, mi verrebbe voglia di andar fuori da qui volando… Come ho già detto, spero di non deludere con il disco nuovo e sono stato molto colpito dal fatto che Gianni mi abbia chiesto di produrlo.
Anche dall’esibizione di stasera emerge la potenza di quello che fai. Le tue canzoni, seppur colte da album e approcci sonori differenti, assumono, nelle esibizioni dal vivo, un certo sentire uniforme, una urgenza percepibile a pelle.
Sono contento, questo è un grandissimo complimento, anche perché quella chitarra e voce è la dimensione più difficile, per portare a casa un concerto. Lorenzo suona bene la chitarra: stasera, ad esempio, sulla sua canzone Ave Maria mi ha molto colpito. Per quanto mi riguarda, dal vivo sono solito anche mischiare le carte, cercare di imbonire il pubblico facendolo ridere.
A proposito di esibizioni, il video Edda – Prove del tour mondiale 2012, reperibile su Youtube, è a mio parere un capolavoro: dimostra la tua capacità di rovesciare il piano comunicativo, inventarti un universo e giocarci.
Quel video nasce dal lavoro che facevo a quel tempo, cioè montare ponteggi: avevo dentro di me una sicurezza, anche fisica, che mi faceva sentire figo, nel mio delirio. Da questo nasceva come una spocchia… In quel video, canto una canzone di Marina Rei, reinventandomi il testo.
Che impressione ti ha fatto Pistoia?
Non so come vi sentite dentro voi che ci vivete. Io – che ho sempre vissuto a Milano e adesso vivo a Bibbiena – dico che bisogna tenersele strette realtà come Pistoia: magari mancheranno tante cose, ma ce ne sono tantissime altre che fanno la differenza, a favore vostro.
Postilla:
Come dice il profeta William Burroughs, il linguaggio è un virus. Questo virus ci pervade e ci possiede: ci tocca in sorte di onorarlo, al meglio di come possiamo. Ho cercato dunque con fatica di spiegare qualcosa di Edda: ho cercato di spiegare qualcosa che va invece vissuto in prima persona. Ed è ciò che vi invito a fare.
Jacopo Golisano