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28 Luglio 2021Intervista al giovane autore pistoiese Leonardo Biagini, che ha da poco pubblicato “Rousseau, l’uomo e il progresso” (Papyrus Communication, 2021)
Iniziamo spiegando come è nata la tua passione per la scrittura.
La mia famiglia ha sempre avuto questo tipo di interessi; penso ad esempio alla passione di mio nonno per autori come Schopenhauer, Bergson, Kierkegaard, che hanno influenzato la mia formazione. La passione per la scrittura , per ciò che è nascosto nell’animo dell’uomo, mi è stata inoltre trasmessa dallo zio Gigi Corsini, insegnante di filosofia a Berlino, autore di testi su autrici quali Marguerite Duras, Alexandra David-Néel.
In terza superiore, in occasione di un laboratorio di saggi brevi organizzato dalla Prof.ssa Ilaria Borracchini, scrissi un testo sui riferimenti massonici e cabalistici nel Pinocchio di Collodi.
Successivamente, mi sono laureato in Scienze Politiche – sebbene non fossi interessato a materie logico-statistiche, che pure tale percorso di studi includeva – e Jean-Jacques Rousseau, argomento di questo ultimo libro (gli altri sono “Discorso sull’animo umano, Enoch e la via allegorica dell’esistenza” e “Ultima Papyrus Papalis, Lettera ad un amico“, pubblicati rispettivamente nel 2019 e nel 2020, entrambi presso Papyrus Communication, NdR), è stato per l’appunto un autore trattato nelle lezioni di filosofia politica tenute dal Prof. Dimitri D’Andrea.
Sottolinei come l’opera di Rousseau sia multidisciplinare: si è dedicato a diverse discipline, influenzandone gli sviluppi.
Rousseau – seguendo un approccio che percepisco in sintonia con la mia sensibilità – si è interessato di musica, economia, pedagogia: cioè allo studio di materie diverse, accademiche e non, con il filo conduttore, e l’obiettivo, della conoscenza dell’uomo.
È interessante osservare quello che riferisci in merito alla “incoerenza”, che Rousseau manifestava, fra vita privata e pensiero. Rousseau “non si maschera e non mente”, dici, e a questo proposito citi anche Jean Starobinski: “chiunque abbia il coraggio di apparire com’è, presto o tardi diventerà come deve essere”.
Con la propria vita “incoerente” – pensiamo al famoso abbandono dei figli – Rousseau mostra per l’appunto cosa è l’uomo, il quale cerca di liberarsi dalle catene di un peccato originale allegorico che lo schiaccia, per distaccarsi dalla condizione animalesca dello stato di natura e porsi obiettivi in ambito spirituale, sociale, politico, religioso. In Rousseau c’è un binomio: società, da una parte, e Stato di Natura, dall’altra. Bisogna prendere da entrambi il giusto, per comporre un uomo che è al contempo terra e cielo; che è sì animale, ma anche un soggetto con fattezze divine, o perlomeno caratteristiche che lo collegano a qualcosa di superiore.
La concezione di progresso di Rousseau lo differenzia da molto pensiero illuminista, con il quale ha anche polemizzato in merito.

Leonardo Biagini con il suo ultimo libro
Rousseau critica l’enciclopedismo dei filosofi illuministi, in quanto approccio nozionistico, distaccandosi da Diderot e d’Alembert. Etimologicamente, la parola “progresso” – dal latino “progressus”, che significa “cammino”, “passo” – ha valenza neutra: a seconda delle scelte dell’uomo, il progresso può essere dunque una involuzione o una evoluzione. Evoluzione o involuzione da intendersi relative a vari ambiti: sociale, etico; anche empatico, in quanto l’uomo, conoscendo se stesso, le proprie sfaccettaure e i propri mali, impara a comprendere anche i propri simili.
Molto interessanti le tue notazioni in merito a”sogno” e “immaginazione”, da una parte, e arte, dall’altra: i primi vengono elogiati da Rousseau, la seconda invece criticata. Puoi parlarci di questo aspetto?
Sogno e immaginazione sono, per Rousseau, virtù elette, caratterizzate da dinamismo. L’arte – a prescindere dalle diverse interpretazioni che possiamo darne – è un concetto accademico, statico, che non nasce direttamente dall’animo dell’uomo. Sogno e immaginazione, dunque, in questa prospettiva, sono capacità da coltivare, mettendole anche in posizione gerarchicamente superiore rispetto all’arte o alle stesse scienze, le quali seppur “figlie di Dio”, sono spesso legate a un pensiero nozionistico e esteriore.
Le arti, infatti, nelle riflessioni che fai sull’opera rousseauana, sembrano intrinsecamente legate all’ansia di riconoscimento sociale e di conseguenza alla insoddisfazione.
Ciò ha a che vedere con lo scarto fra l’immagine sociale che ci costruiamo e ciò che siamo veramente. Rousseau ci dice che l’uomo, nello Stato di Natura, non aveva necessità di apparire in un determinato modo per imporsi agli altri o per piacere loro. Viceversa, l’uomo in società cerca all’esterno conferme alla propria identità, conferendo agli altri un potere che non hanno e dando così luogo a dinamiche di falsità.
La concezione antropologica di Rousseau lo contrappone al giusnaturalismo e al contrattualismo: pensiamo alla famoso concetto homo homini lupus, espresso da Thomas Hobbes. Rousseau auspica un ritorno a un uomo “puro”, e morale, che però viva in società, senza l’idea di un irreale ritorno alla natura. A questo proposito, definisci la posizione di Rousseau come un coniugare “la purezza della condizione prepolitica e l’intelligenza sviluppata nel corso del processo storico”.
Per Hobbes, il desiderio di sopraffare l’altro, il bellum omnium contra omnes sussisterebbe perché l’uomo è di per sè cattivo. Dal punto di vista di Rousseau – che personalmente condivido – Hobbes sbaglia ad asserire Homo homini lupus, cioè che l’uomo è lupo per l’altro uomo: così facendo, si attribuiscono all’uomo dello stato di natura, caratteristiche proprie all’uomo che vive in società. I mali che per Hobbes sono prepolitici, per Rousseau sono infatti post-politici.
Certo, Rousseau ipotizza lo “stato di natura” come concetto astratto e allegorico, assumendo che magari non è mai esistito. Da questa astrazione, però, si dovrebbero trarre alcune caratteristiche importanti, per realizzare lo stato di natura nella società. Non si tratta di “tornare a camminare a quattro zampe”, per usare le parole di critica a Rousseau da parte di Voltaire, bensì di favorire il sorgere di una società più giusta, che non crei conflitti.
In che modo, il superamento dell’ amour propre e una condotta di “autenticità” e “trasparenza”, potrebbero portare ad una società differente, priva di conflitti?
Amour propre, Amor proprio è un concetto legato all’ego, in parte connesso all’istinto di autoconservazione, e successivamente cristallizzatosi all’interno del processo sociale e divenuto così ego vero e proprio, apparire. In una società che andasse verso “autentiticità” e “trasparenza”, in una condizione nella quale conoscessimo i nostri mali e quelli altrui, cadrebbero le motivazioni stesse del conflitto: nel momento in cui comprendi te stesso, comprendi l’altro e, a quel punto, lo accetti e non hai da imporgli niente.
A proposito dell’influenza di Rousseau su diverse discipline, citi la Prof.ssa Elena Pulcini, la quale fa riferimento ad Axel Honneth : quest’ultimo opera una distinzione fra filosofia politica e filosofia sociale, in quanto la prima si occupa dell’ordine sociale, la seconda delle condizioni per la realizzazione dell’individuo.
Anche in questo, Rousseau è un precursore, la sua riflessione infatti si colloca al centro di un tema fondamentale per la la filosofia sociale, vale a dire la realizzazione dell’individuo all’interno del processo sociale.
Le copertine dei tuoi libri mi sembrano significative, in quanto esprimono profonda connessione con i contenuti in essi espressi: sia quella del libro su Rousseau sia quella del libro su Enoch, con un dipinto di Wassily Kandinsky paiono alludere a dimensioni spesso dimenticate della realtà, esoteriche.
Sì, per quanto riguarda il libro su Rousseau, si tratta della rielaborazione grafica di un’opera dell’illustratore britannico Eric Fraser: vi è raffigurata una figura umana che si nutre del grano divino, pur essendo avvinghiata dal serpente, simbolo di dannazione. Si ritrova il dualismo che abbiamo già citato: vita animale e vita sotto precetti divini. In quest’ottica, la parte animale, all’interno del nostro percorso di redenzione, svolge un ruolo, non va annullata. Nonostante le difficoltà, l’uomo può elevarsi dalla melma infernale, simboleggiata, in questa opera di Fraser, anche dalla madre col seno asciutto, una madre non più genitrice.
Per quanto riguarda la copertina di “Discorso sull’animo umano“, si tratta di Composizione X, di Kandinsky. L‘ho scelta in quanto una delle opere dell’autore che meglio riflette le dimensioni nascoste dell’animo umano: esso è composto da una parte da geometrie e matematiche perfette e dall’altra da irrazionalità, nulla, inconscio; queste componenti vanno tutte tenute in considerazione, senza combatterle, in quanto da una nasce l’altra.
Oltre che scrittore, sei collezionista di vinili e dj, allenatore e atleta di Kickboxing. Esiste una correlazione fra queste tue diverse attività?
Lo sport da combattimento, l’arte marziale ti insegnano a conoscere te stesso e come comportarti; in essi ci confrontiamo – fisicamente, psicologicamente, mentalmente – con ciò che ci fa più paura: noi stessi e gli altri. Pensiamo al principio del cuneo: immagazinare il colpo dell’avversario, attutirlo e restituirlo. Un concetto bellissimo, infinito: usare il male che ci viene inferto, per ricreare qualcosa. Beninteso, il male non esiste in realtà: è il principio della fenice che si genera dalle ceneri; è ciò che dice Percy Bysshe Shelley in Ode to the West Wind: “If Winter comes, can Spring be far behind? ” Inverno e primavera sono profondamente correlati: uno viene prima dell’altra e se non esistesse il primo, non esisterebbe nemmeno la seconda. Per questo c’è un forte legame tra male e bene, in realtà concetti fortemente neutri: uno genera l’altro, uno è madre dell’altro. Questa concezione – il male non è male di per sè, bensì principio fondamentale per creare qualcosa di nuovo – è per me alla base dell’attività sportiva, filosofica e anche musicale: il filo conduttore è infatti una musica dell’animo, che alterna note più o meno dure, per comporre tutta la nostra esistenza; “La Commedia umana“, direbbe Honoré de Balzac.
Jacopo Golisano