La 71° edizione del Festival di Sanremo è alle porte e come ogni anno, sicuramente con maggior forza e pervasività da quando esistono i social, si scatenano le solite e ormai stancanti lamentele di chi dichiara pubblicamente che (anche quest’anno) non seguirà la manifestazione.
Che lo si guardi o meno, però, “Sanremo” è un evento che per almeno una settimana, quella di svolgimento, invade la vita di tutti noi italiani, con dibattiti che partendo dalle dirette fiume si allargano ai salotti televisivi.
Un evento unico nel panorama italiano (ma non solo) che pur assomigliando a qualsiasi grande show televisivo “nazionalpopolare” ha caratteristiche tutte sue, a partire da una rigida impostazione basata su una collaudata dinamica di presentazione dei brani e dei suoi interpreti fino alle inevitabili polemiche.
Perché Sanremo è Sanremo. Ma da quando questa definizione è entrata a far parte del nostro lessico comune, sia che del Festival se ne parli bene o se ne parli male?

Fiorello e Baudo-Sanremo 1995
Correva l’anno 1995 e quell’edizione del Festival, fra le più seguite fino a quel momento (con la ventiquattrenne Giorgia vincitrice con il brano “Come saprei” e il famoso tentativo di suicidio di uno spettatore), fu anche quella che vide come sigla di apertura “Perché Sanremo è Sanremo”, rap melodico scritto da Pippo Caruso e cantato dal figlio di Bruno Lauzi, Maurizio. Il successo del brano fu tale da essere ripreso nelle edizioni 1996, 2002, 2007 (tutte, compresa quella del 1995, condotte da Pippo Baudo) e sfido chiunque a dire che nella propria vita non ha mai usato, anche in senso dispregiativo, il titolo di questa canzone come espressione per parlare del Festival.
Uno slogan che ancora oggi risuona nelle conversazioni e che per molti sarà per sempre l’unica vera sigla di “Sanremo”.
Perché Sanremo è Sanremo. Anche in quest’anno terribile che vedrà il teatro/cinema Ariston svuotato del suo pubblico.
Stefano Cavalli
