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17 Gennaio 2020Viviamo In Positivo. E a riuscirci ci aiutano Ivana Trombatore e Antonio Morello dei VIP Firenze OdV.
L’incontro con i miei due intervistati avviene stavolta in un luogo insolito. Insolito perché si tratta del bar di un importantissimo ospedale fiorentino, quello di Torregalli. Ma non vi svelo subito perché siamo lì; lo scoprirete leggendo cosa ci siamo detti.
Ivana, VIP non significa assolutamente Very Important Person, ma…?
Significa Viviamo In Positivo, il cui concetto è in estrema sintesi la filosofia che accomuna le 65 sedi VIP esistenti in Italia che appartengono alla Federazione Nazionale VIP Italia OdV. Noi apparteniamo al gruppo di Firenze.
Ancora però non mi hai detto cosa si cela dietro a quella sigla e ai valori che rappresenta.
I valori sono tanti, sintetizzati in 7 fondamentali. Diciamo che il principale, quello che ci lega tutti, è insito nel nostro nome, Viviamo In Positivo, cioè cercare di trovare il lato positivo in tutte le cose che facciamo e che ci accadono, tentando di tirare fuori il meglio da ogni cosa. E poi c’è il motivo per il quale siamo qui: la clownterapia, il volontariato clown che noi realizziamo anche in questo ospedale.
Clownterapia. A grandi linee molti sanno cos’è, ma potete spiegare meglio?
Adesso intervengono a turno i due giovani, proseguendo l’una il discorso dell’altro.
Chiariamo subito che noi dei VIP siamo tutti volontari – dice Antonio – ed è per questo che il nostro impegno preferiamo definirlo “volontariato clown”. Anche perché chiamarlo “terapia” può dare adito a equivoci o malintesi. Siamo dei volontari, come ho appena detto e nessuno di noi ha intrapreso questo impegno come un’attività vera e propria. Esiste invece chi fa della clown terapia una professione, ad esempio chi opera presso l’Ospedale Meyer e non solo, ma in questo caso si parla di veri e propri artisti che affiancano a doti umane e specifiche cognizioni psicologiche una preparazione di tipo circense che non è limitata soltanto alla veste del clown. Neanche a Patch Adams (colui che si ritiene il fondatore della clownterapia) piaceva tantissimo la definizione “terapia” poiché il termine riconduce allo stato di malattia e quindi pone su piani diversi i pazienti ed il personale sanitario ed i vari interlocutori, compresi i volontari. Lui definiva ciò che stava facendo come “apertura totale”, “prendersi cura”, “rompere gli schemi” apparentemente granitici della gestione del paziente in corsia. E quindi in questo dibattito, la differenza sta molto nei due modi di operare. I professionisti possono intraprendere e seguire anche un percorso terapeutico per disponibilità di tempo, per collaborazione con l’equipe di cura; il mondo variegato del volontariato invece no, anche se poi le due cose spesso si avvicinano. Ovviamente occorre dire che i volontari, a differenza degli altri, prestano servizio nei momenti liberi dalle rispettive attività. E questo limita la possibilità di programmare interventi a medio o lungo termine. In alcuni contesti è invece necessario operare con un sistema molto più programmato, per cui diventa necessario avvalersi di chi opera la terapia del sorriso a tempo pieno. Si pensi ad esempio alle strategie di “accompagnamento al dolore” che si applicano nei confronti dei piccoli pazienti, sia questo causato da un semplice prelievo che da altri tipi di intervento. Oppure alla presenza di Clown dottori nella fase dell’addormentamento pre-interventi chirurgici e a quella del successivo risveglio. I Clown Volontari di VIP Firenze non possono garantire questa progettualità.
Per motivi di preparazione?
Anche – prosegue Antonio – è un mondo variegato anche questo, e tante sono le sfumature che fanno la differenza. Per alcuni per essere un Clown di Corsia occorre essere medico, per altri essere psicologo, per altri ancora un clown circense o artista. Ed è per questo che il nostro impegno ha dei limiti ben precisi – continua Ivana – chiari ruoli ed obiettivi, che esulano dalla professionalizzazione di cui parlava Antonio.
Quindi, tornando a parlare della vostra attività quale VIP nei luoghi di cura, possiamo escludere il carattere sanitario.
Se per carattere sanitario si intende l’applicazione di un protocollo o trattamento terapeutico certamente sì. Seppur alcuni di noi lavorino in ambito sanitario, quando vesti i panni del clown, devi dimenticare il ruolo che ricopri nel mondo lavorativo. In quel momento lavori sull’accoglienza, l’empatia, l’esperienza, la professionalità, sempre mettendo in campo il clown.
Il concetto è abbastanza chiaro, anche se è risaputo che far sorridere o dare un momento di gioia vale spesso quanto una medicina.
Ci sono delle discipline mediche – dice Ivana – che spiegano quali sono i risvolti positivi sull’organismo generati dal sorriso e dal ridere, e altre studiano gli effetti causati dai diversi stati d’animo in un paziente ospedalizzato. Perciò il confine sulla definizione “terapia” è davvero molto labile. Diciamo che noi cerchiamo di tirar fuori dalla condizione di “ospedalizzato”, spesso vissuta in maniera negativa, coloro ai quali ci rivolgiamo, siano essi bambini, adulti o anziani.
Allo stesso tempo però non siete dei semplici animatori.
Assolutamente no! – risponde Antonio deciso – A noi possono tranquillamente dire: «No non voglio partecipare», ma chi è lì in quel momento sa che spesso quel no non è un rifiuto totale. E qui sta la nostra professionalità e sensibilità. Noi non dobbiamo far ridere o divertire per forza, occorre valutare sempre se nel momento in cui ci proponiamo esistono realmente le condizioni per farlo. E questo lo verifichi “sul campo” dato che ovviamente non sappiamo quali siano le reali condizioni di chi avremo davanti. E poi le modalità di attirare l’attenzione possono essere le più svariate, però bisogna saperle calare nel contesto in cui ti trovi. A volte bastano delle semplici bolle di sapone per trasformare quel no iniziale.
Questo vostro modo di operare prevede però che abbiate una particolare preparazione.
Sì – risponde Ivana – abbiamo un percorso formativo che prosegue nel tempo, ben oltre il corso base iniziale. Abbiamo delle linee guida e dei programmi di formazione che accomunano tutti quelli che operano all’interno delle varie VIP. La nostra attività formativa è densa di incontri, allenamenti e corsi specialistici. Insomma, è una formazione continua e condivisa. Basti pensare che ogni stanza, ogni incontro è un mondo tutto nuovo, da scoprire e non usiamo alcun canovaccio; perciò è indispensabile avere una grossa capacità di improvvisazione che si acquisisce soltanto con il tempo e l’esperienza.
Quindi siete ferrati in più discipline?
Di base sì – risponde stavolta Antonio – anche se a un clown non occorre saper cantare bene o essere un bravo giocoliere, perché è proprio l’opposto che scatena il divertimento. Sono proprio le “figuracce” che servono a coinvolgere chi incontriamo. D’altra parte, noi non andiamo a fare spettacolo, non facciamo nessuna performance, ma proponiamo in punta di piedi la nostra presenza prendendo a volte spunto dai presenti per creare l’empatia necessaria.
Ivana, quanto aiutano il trucco e il naso rosso da pagliaccio nell’affrontare ciò che vi trovate davanti dato che quelle che frequentate sono situazioni dove spesso il dolore è di casa?
Sicuramente tanto. Aiuta moltissimo entrambi, clown e paziente. Indossati i panni del clown ci si dimentica immediatamente di tutto ciò che si era prima di entrare in servizio. Trucco e naso rosso trasformano istantaneamente Ivana in Trottolina, che è il mio nome Clown, e questo serve a creare il necessario, seppur breve, distacco, perché l’essere in quel momento un clown ti regala libertà e leggerezza. E come diceva Antonio, in quel momento sei libero di sbagliare senza provare per questo alcun timore, cosa impensabile nella vita quotidiana, dove devi essere “performante” al massimo e gli errori difficilmente sono ammessi. Questo vale anche per le persone che incontriamo, dato che reciprocamente non esiste alcuna forma di giudizio o valutazione. Inoltre, in quel momento il clown ha dinnanzi a sé delle persone, non dei pazienti, ciò fa molta differenza nel rapporto che si instaura tra le parti.
Voi avete detto che fate attività con ogni fascia di età, è giusto?
Esatto. Anche se spessissimo ci rendiamo conto di essere utili più agli adulti che non ai bambini perché troppo presto dimentichiamo di esserlo stati. Una delle cose che più ci gratificano è rendere, per qualche momento, a chi ci ascolta la dimensione del fanciullo che era.
Quando accennavo al naso rosso, intendevo chiedere anche un’altra cosa. Come si fa a “non portare via” ciò che è dentro un ospedale? Come si supera la fase post clown?
È quel naso rosso che in qualche modo ci tutela; – risponde adesso Antonio – ci abitua a non avere giudizio né su di noi né su ciò che è attorno a noi. Il mio personaggio si chiama Merengue e lui, proprio perché è soltanto un personaggio, “non vede” ciò che ha addosso il suo pubblico. E quel dolore che indubbiamente esiste, non lo vive come potrei viverlo io. Non si sofferma su ciò che ha davanti. E anche se piange Merengue lo fa per far ridere. Però è ovvio che questo non è sufficiente a lasciare tutto dietro le spalle. Ed è per questo che alla fine di ogni servizio è obbligatorio un momento di condivisione in cui devono venir fuori i problemi, i malesseri, i dubbi, le sensazioni provate. Condividere con il gruppo ciò che si è provato aiuta a superarlo.
Parli di gruppo. Vuol dire che non operate mai da soli?
Esatto, – continua il discorso Ivana – mediamente siamo in tre, mentre in altre situazioni dove i presenti possono essere numerosi, il gruppo aumenta.
Il rapporto con medici e infermieri in generale com’è? Come vengono vissute le vostre “intrusioni”?
Partiamo da una premessa – mi risponde –: le Asl della Toscana hanno, tra le loro varie mission, anche quella di rendere l’ospedale il più aperto, amichevole e familiare possibile. E questo dunque si sposa perfettamente con quella che è la nostra di missione.
Anche se – si introduce nel discorso Antonio – la presenza o meno dei clown in reparto la decide il singolo primario. E accade a volte che la visione dell’ospedale, quella della Asl e quella del primario non coincidano. E questo si traduce nel fatto che all’interno della stessa struttura alcuni reparti ci accolgano e altri invece no. Discorso diverso è invece quello con il personale medico e infermieristico che trova positiva la nostra presenza. D’altra parte, è proprio dal personale che riceviamo gli input precisi su quali stanze eventualmente evitare a causa di situazioni particolari.
Facciamo un passo indietro Antonio. Mi hai detto che esistono dei professionisti anche in questo campo. Scusa, ma chi li paga?
Ovviamente non la Asl o le Aziende Ospedaliere. Non esiste infatti questo ruolo così particolare tra il personale dipendente, né esiste una forma di cura chiamata clownterapia. Quindi accade che siano altre le forme remunerative per chi fa questo lavoro. E quasi sempre di questo si occupano le varie Fondazioni o in qualche caso gli sponsor.
Ivana, ho letto che VIP Firenze organizza ogni anno corsi per aspiranti clown. Addirittura quest’anno avete dovuto chiudere le iscrizioni per raggiunto limite dei posti disponibili. Perché questa grande richiesta?
Il numero chiuso è necessario per far sì che i corsi di formazione siano efficaci. Per il 2020 infatti ne abbiamo in programma due. Accogliere e formare nuovi Clown è vitale per l’associazione, dato che, come detto, siamo tutti volontari, per cui talvolta i nostri impegni personali non ci permettono di assicurare la necessaria continuità temporale alle attività associative. Senza dimenticare che esiste sempre la possibilità di arrivare un giorno e sentire che è giunta l’ora di dire semplicemente basta. Sapersi ascoltare è una caratteristica fondamentale per chi opera nel mondo del volontariato in generale e nel nostro mondo in particolare. Occorre quindi avere ben chiaro qual è il proprio limite e il proprio confine. Rispetto al perché del gran numero di richieste le risposte sono molteplici. Dalla voglia di darsi agli altri, al mettersi in gioco, al cercare all’interno di situazioni complesse, quali quelle in ospedale o comunque in strutture sanitarie, qualcosa di profondamente diverso e meno alienante rispetto al proprio vissuto quotidiano. Qualcun altro afferma persino di venire in ospedale con noi per fare del bene a se stesso.
Antonio, voi ogni mese di settembre partecipate a una iniziativa nelle piazze di Pistoia dove non esiste una sede VIP. Perché questo connubio?
Per una tradizione di collaborazione a carattere nazionale tra ADMO, l’associazione donatori di midollo osseo e VIP Italia. Per una serie di circostanze ADMO Pistoia e VIP Firenze si sono trovate in sintonia ed è così nato questo rapporto. E il rapporto continua anche attraverso gli incontri di formazione che per noi organizza ADMO Pistoia. L’importanza della donazione del midollo è risaputa e noi ci prestiamo con estrema gioia a fungere un poco da “richiamo” per chi passa nelle piazze in occasione delle iniziative di sensibilizzazione sul tema. Facciamo da supporto, dando anche delle minime informazioni di base.
Siamo quasi alla fine. Mi dite il perché dei vostri nomi d’arte?
Trottolina – risponde per prima Ivana – perché, potendoci “battezzare” da soli, generalmente scegliamo un nome che in qualche modo ci rappresenti, che racconti chi siamo. Ed è su quello che giochiamo. Un nome che in realtà è molto di più.
Merengue invece – riprende Antonio – nasce per caso quando feci il corso base e mi fu chiesto di “entrare in scena” con nome, camminata, motivetto da clown. Un qualcosa di tremendamente difficile in quel momento, che mi fece sentire perso. Attinsi allora alle lezioni di danza merengue che proprio in quel periodo stavo facendo per diletto e di colpo trovai nome, camminata e motivetto.
Senza con questo voler lanciare particolari messaggi, i clown Trottolina e Merengue cosa si sentono di dire a coloro che andranno a trovare in corsia?
Godetevi la loro presenza. – risponde sicurissimo Antonio – Godete quel momento e gettate addosso a loro tutto ciò che provate, positivo o negativo che sia. Il clown è lì per “raccattare” tutto.
Godeteveli – concorda Ivana – e con la loro presenza diventate per un momento dei VIP e vivete in positivo quei momenti.
Ivana Trombatore e Antonio Morello sono due persone “normali”, che per alcuni straordinari momenti delle loro giornate diventano due “portatori sani” di allegria, che in fantastiche ore dedicate agli altri diventano dei clown che assieme ad altri compagni d’avventura “vagano” per le corsie degli ospedali o delle case di cura tentando di regalare un sorriso a grandi e piccini. E per farlo si trasformano magicamente in Trottolina e Merengue. Ma come loro sono migliaia in tutta Italia altri e altre che, scendendo in campo con il loro alter ego clown, fanno ogni giorno quest’opera meravigliosa. E non cambia poi molto che siano volontari o professionisti. Far ridere, sognare, far dimenticare o ritornare fanciulli anche solo per un breve istante chi in quel momento ha dentro di sé soltanto la voglia di fuggire, credo sia qualcosa che non ha prezzo. Ed è per questo che non mi resta che dire grazie a nome di tutti a Trottolina e Merengue, gli amici che ho intervistato, in attesa di incontrarli di persona il prossimo settembre in una piazza della mia città.
Per arteventinews
Enrico Miniati