L’Abetone festeggia i suoi campioni
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9 Dicembre 2019Velocemente un altro Natale si avvicina e sono passati più di dieci anni dall’inizio della crisi economica mondiale. È veramente cambiato qualcosa? Una visione d’insieme sembra provare il contrario.
…dedicato a chi il lavoro ce l’ha, a chi l’ha perso e a chi lo sta ancora cercando…
Uscendo respirò forte a pieni polmoni e guardò il cielo terso, da qualche tempo ormai, ai suoi occhi, esso appariva sbiadito e opprimente. Un vento leggero che odorava di neve annunciava che il Natale ormai imminente si sarebbe tinto di bianco. Chiuse con rabbia la porta dietro di sé. Meno stava in casa e meglio era, tanto tutto quello che essa racchiudeva, a breve non sarebbe stato più suo. “Son già passati tre mesi da quando è successo” pensò.
Era settembre, quando alla riapertura dopo le ferie, l’azienda meccanica dalla quale dipendeva aveva attuato la tanto temuta fusione con un’altra azienda del settore. Aveva licenziato senza tanti complimenti il personale in esubero facendo una bella sorpresa a tante persone. Moltissimi dipendenti si erano visti recapitare la famigerata lettera senza neanche un minimo di preavviso. Il cambiamento era già nell’aria da tempo però. Poco più di un anno prima la grande ditta aveva venduto le filiali ritenute meno produttive. Pacchetto completo, mobili, macchinari, operai e impiegati. Alternative zero, o ci stavi oppure potevi dare le dimissioni che subito venivano accettate. Tutto sommato a lui era andata bene ed era riuscito a mantenere il proprio posto nell’ufficio tecnico. Per un anno ancora, poi era avvenuta la maledetta fusione. A niente erano valsi gli anni passati all’interno della ditta, l’anzianità, l’esperienza. A nulla era servito l’intervento dei sindacati. Quando la crisi era arrivata ed era stata decisa la riconversione, niente e nessuno erano serviti ad assicurargli il posto.
Passò rasente i muri, e, quasi a nascondersi, tenne la testa bassa per paura di incontrare qualcuno che conosceva e che gli domandasse come andava.
Male, male, male, andava proprio male. Per lo meno se fossero stati solo lui e sua moglie si sarebbero arrangiati, ma con i bambini come avrebbero fatto? E la scuola? E i vestiti? E tutto il resto? Perché tutto il resto era tanto. Troppo. Tutto il resto era vitale. E come avrebbe fatto a cinquant’anni a ritrovare lavoro? E poi cosa sapeva fare lui oltre ad essere un bravo impiegato? E con la mente girava e rigirava nei soliti pensieri senza accorgersi che, un passo dopo l’altro, si stava inoltrando in periferia dove c’erano i cantieri in costruzione.
Difficilmente ai tempi d’oro si era spinto a piedi fino a quel punto, niente lo interessava di quelle zone; lui, da sempre, amava i negozi e le luccicanti vetrine del centro dove, all’uscita dal lavoro, curiosare e fare acquisti, ma adesso tutto era diverso e si sentiva come calamitato da quel posto lontano, ai margini della città. Chissà perché?
Gli edifici, ingabbiati da immense impalcature, erano tutti circondati da recinzioni di latta ondulata ad altezza d’uomo che impedivano la vista all’interno.
Ad una di esse però mancava un pannello e gli operai avevano provveduto a riempire lo spazio vuoto con delle assi di legno che lasciavano intravedere cosa stava succedendo all’interno del cantiere.
Era suonato mezzogiorno ed un gruppo di muratori stava mangiando. Gli uomini avevano apparecchiato fuori sotto una improvvisata pensilina, su delle rudimentali assi di legno. Vicino a loro, in un bidone di ferro, stavano bruciando delle cassette da frutta. Ognuno aveva steso il proprio tovagliolo sul quale era posata una gavetta con dentro il cibo. Bottigliette di vino e lattine di birra stavano in bilico sulle tavole instabili dell’improvvisato bancone.
La costruzione di cemento si stagliava contro il cielo mentre mucchi di sabbia e cataste di mattoni coprivano alla vista le baracche e i macchinari del cantiere.
L’operaio si accorse della sua presenza, si alzò e gli venne incontro. «Cosa vuoi?» L’uomo era un po’ calvo ed aveva proprio sulla fronte due schizzi di calcina. La barba non fatta gli dava un’apparenza trascurata, ma due occhi scuri e pieni di vita stemperavano quell’aspetto.
Si meravigliò del fatto che il muratore gli avesse dato del tu. Doveva ancora abituarsi ad un mondo diverso, meno impostato, meno finto, ad un mondo nel quale una parte di società faceva miracoli per arrivare a fine mese e mettere insieme il pranzo con la cena. Una parte di società che non buttava mai via gli avanzi del cibo, che utilizzava il pane di ieri, che faceva risuolare le scarpe, che non andava in ferie. A quella parte di società che lui conosceva poco e alla quale aveva pensato sempre in maniera distratta.
«Cerco lavoro» due sole parole di risposta che vennero fuori a forza, metalliche, inaspettate, rassegnate. Quasi a sancire uno stato di fatto senza alcuna speranza. Si sorprese di averle dette. Due parole buttate là tanto per riparare al suo comportamento di prima, inconsciamente un’ancora di salvezza. «Non abbiamo bisogno di nessuno, ma prova a tornare più tardi forse il “caporale” qualcosa ti trova» rispose l’uomo. «Grazie» sussurrò e voltandosi riprese a camminare. Nella mente i bambini, la moglie, lui. Lui forse si sarebbe arrangiato, ma gli altri, come avrebbero fatto, come li avrebbe aiutati?
«Aspetta! Forse qualcosa da fare c’è» La frase arrivò lapidaria e come colpito da una frustata si girò. Accelerò il passo dirigendosi verso il muratore. Forse si era consultato con gli altri, o forse, ci aveva ripensato. Chissà?
«Se hai voglia di faticare per un paio di settimane il lavoro c’è, poi vedremo. L’impastatrice di calcina e il trasporto dei mattoni agli operai, quaranta euro il giorno, paga a fine giornata. Puoi cominciare subito».
Il pomeriggio passò in fretta, il tempo era cambiato e tirava un ventaccio pungente, gli occhi si erano arrossati e le mani dolevano, come anche le braccia e le gambe, ma aveva di nuovo un lavoro. Era già buio da un pezzo ed aveva iniziato a nevicare bagnando i vestiti quando l’uomo gli dette venti euro dicendo «Domani mattina alle sei di fronte al cancello, si inizia a lavorare subito, e ricordati, se arrivi in ritardo te ne torni da dove sei venuto.» Aveva freddo e fece un gesto inconsueto per lui tirandosi su il bavero della giacca per pararsi da quei fiocchi che si posavano sul collo e dentro l’anima. «Sarò puntuale» rispose e si incamminò verso casa. Le luminarie dei negozi splendevano per le vie della città. Non teneva più lo sguardo basso. Con un lavoro gli sembrava di essere simile a tutti gli altri, di aver riacquistato la propria dignità. E poi c’erano quei venti euro che teneva in tasca. L’indomani sarebbero stati quaranta ed era solo l’inizio.
Quasi cadde inciampando nell’anziano mendicante seduto per terra vicino ad un portone. Si voltò, e gli occhi dell’altro si fissarono nei suoi. Si leggeva una vita di stenti, trascorsa con lo stesso stato d’animo che lui aveva avuto negli ultimi mesi. Tuttavia il mendicante non aveva un tetto, una moglie ad aspettarlo la sera e il sorriso dei bambini. Quell’uomo stava peggio, molto peggio di lui. Quell’uomo era solo. Solo con la sua povertà. Si commosse, si chinò e sorrise, intanto le persone continuavano a scivolare veloci lungo il marciapiede fingendo di ignorare la presenza dei due. Strinse forte le mani dell’uomo fino a sentire le sue dolere nuovamente e disse “Buon Natale”. Si rialzò continuando a sorridere e riprese a camminare. L’importante era aver riacquistato la fiducia nel futuro, aver ridato vita alla speranza. Il ripetere un gesto che fino allo scorso Natale era diventato ripetitivo e senza senso, in quel preciso contesto assumeva ben altro significato, diventava l’inizio di qualcosa, quasi un passaggio ad un nuovo modo di vivere. Dare tutto quello che possedeva in quel momento nella gratuità di un gesto d’amore verso il più debole. Adesso si sentiva veramente più forte, col cuore via via sempre più leggero. Più forte, più felice. I capelli erano bagnati e le spalle della giacca erano bianche dai fiocchi di neve che adesso cadevano fitti ma che importava.
Il mendicante aprì le mani e rimase a guardare meravigliato quei venti euro pensando a quel tipo strano con i pantaloni sporchi di calcina. Alzò gli occhi per cercarlo tra la frenesia della folla che sembrava camminare impazzita ma quell’uomo, quello sconosciuto signore in giacca e cravatta era ormai irraggiungibile.
Oramai si era assentato da tutte quelle luci.
Natale 2007 / Natale 2019