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11 Dicembre 2019Conosco Massimo Passi da molti anni.
L’ho conosciuto per motivi di lavoro e con il tempo ho imparato ad apprezzarlo sempre di più.
Volendolo descrivere senza usare troppe parole che spesso servono soltanto a confonderci le idee, la definizione giusta da utilizzare per lui è: Massimo è una brava persona.
Bravo dal punto di vista umano, dei rapporti che riesce a intessere, dell’altruismo che profonde in ogni sua azione.
Bravo perché ha saputo creare dal niente – assieme a un’altra bravissima persona che oggi purtroppo non c’è più – un qualcosa di straordinario, destinato e dedicato ai più svantaggiati.
Bravo perché, scomparsa lei e superato quel grandissimo dolore e l’inevitabile senso di scoraggiamento che ne è seguito, ha saputo prendere in mano le redini della loro “creatura”, continuandone l’attività e il senso.
Bravo perché ha saputo superare anche la cattiveria degli umani, i quali, incuranti di coloro che sono i destinatari del suo operato, hanno più e più volte infierito stupidamente tentando inutilmente di piegarlo.
Ed è con grande piacere che per narrarvi del suo meraviglioso operare oggi lo incontro nella sua casa; rifugio tranquillo e sicuro per lui, i suoi gatti e i suoi cani, dove parleremo del suo progetto riuscito: la Cooperativa Sociale Il Poeta.
Massimo, toglimi una curiosità. Da dove deriva il nome della Cooperativa?
Dal nome della località dove avevamo un piccolo vivaio quando abbiamo iniziato la nostra attività. E fu la nostra fondatrice Patrizia Ricci che scelse quel nome, anche se all’inizio era incerta tra Il Poeta e Legge 180, che come tu sai è quella che ha rivoluzionato il modo di curare le disabilità mentali.
E quindi, citando questa legge fondamentale nel panorama sociale, umano e sanitario hai già aperto una porta su quello che è lo scopo della Cooperativa Il Poeta.
La nostra è una ONLUS di tipo B e siamo nati dopo aver partecipato a quella che era l’attività della storica associazione pistoiese Solidarietà e Rinnovamento. Ma ti dirò di più: la cooperativa è stata creata proprio grazie a un’intuizione di Angela Nisticò, presidente di Solidarietà e Rinnovamento, che ovviamente ringrazio e saluto.
Siete nati quando?
Celebriamo quest’anno il ventesimo anno di attività e il nostro scopo primario è quello di sostenere, aiutare, guidare, ragazzi e ragazze affetti da disagio mentale. E lo facciamo inserendoli nel mondo del lavoro, in modo da dar loro la possibilità di riacquistare gratificazione e sicurezza in se stessi, oltre ovviamente a una modesta soddisfazione economica. Il lavoro inteso come chiave per riallacciare rapporti con la società dalla quale a causa del loro disagio tendono inevitabilmente ad allontanarsi.
Lavoro inteso perciò quasi come rinascita sociale?
Esatto. Abbiamo con noi persone che se lasciate sole passerebbero le giornate a fissare un punto inesistente oppure a cercare un appoggio esclusivamente di tipo medico o farmaceutico. Noi tentiamo di superare tutto questo proponendo loro di rientrare a pieno titolo nella società, pur ovviamente conoscendo perfettamente quali sono i limiti che purtroppo impongono alcune patologie.
Se ho ben capito, più che un’attività, voi proponete un’alternativa al rimanere rinchiusi in un mondo lontano, serrato, e purtroppo troppo personale. Voi proponete come cura il contatto con altre persone.
Sì, e come ti ho detto lo facciamo attraverso il mondo del lavoro. In origine avevamo un piccolo vivaio che per cause varie abbiamo dovuto dismettere; oggi, sempre su quella falsariga, ci occupiamo di giardinaggio e di manutenzione del verde pubblico. E lo facciamo principalmente grazie ad accordi presi con ASL e COPIT. È a queste due realtà che io e i miei preziosi ragazzi dobbiamo molto.
Tu utilizzi spessissimo il termine “i miei ragazzi” riferendoti a coloro che operano nella cooperativa quasi fossero figli tuoi. Lasciamoli per un momento in sospeso e parliamo di te.
Sono nato 46 anni fa a Pistoia e mi sono avvicinato a questo mondo per un’innata voglia di aiutare chi soffre. Perché l’ho fatto? Perché quella del soffrire è una condizione nella quale purtroppo cadiamo tutti; dai semplici istanti di tristezza ai veri e propri stati negativi delle varie forme di depressione nelle quali è facile precipitare. E il tentare di aiutare chi soffre è un qualcosa che mi gratifica moltissimo. Serve studio, pratica ma soprattutto altruismo e voglia di darsi agli altri.
Io quando parlo della cooperativa, parlo al plurale dicendo… voi della cooperativa fate…, ma in realtà la sua vera anima e il motore che la fa funzionare è uno solo; e quello sei tu. Mi sbaglio? – La mia era una domanda precisa, tesa a far emergere quello che è il vero ruolo di Massimo, dato che sono perfettamente al corrente che senza di lui tutto questo non ci sarebbe. Ma ovviamente è un tentativo inutile, dato che lui preferisce rimanere “indietro”, lasciare ad altri le luci della ribalta, senza mai assegnare un valore eccessivo a quanto fa.
Io della cooperativa da circa 4 anni sono il Presidente, l’amministratore e il rappresentante legale. Prima di me aveva ricoperto questo ruolo Patrizia che era stata anche la fondatrice. Purtroppo quattro anni fa è venuta improvvisamente a mancare e come lei ha lasciato scritto, le sono subentrato. Patrizia amava moltissimo tutto questo e non ho potuto che rispettare la sua voglia di continuare su questa strada. Ci tengo però a dire che io non ho preso il suo posto. Quello sarebbe impossibile, perché lei era speciale. Ho semplicemente preso dalle sue mani le redini della cooperativa e ho cercato di proseguire la sua attività come lei avrebbe fatto.
Accennavi a Patrizia. Io come sai l’ho conosciuta per via del mio impegno professionale e so benissimo che era una persona eccezionale, piena di vita e di voglia di fare per gli altri. “La postina” la chiamavamo affettuosamente, dato che alternava il lavoro presso Poste Italiane all’impegno sociale a favore delle persone svantaggiate. La sua scomparsa è stata perciò per la cooperativa e per te in particolare un vero e proprio trauma. Hai mai pensato di mollare?
No, anzi. Nel momento in cui è venuta a mancare, il primo pensiero è stato proprio di continuare. Portare avanti questo piccolo gioiello di solidarietà era troppo importante. Soprattutto per i ragazzi che in quel momento erano con noi. Non potevo far cadere loro addosso, oltre al dolore per la sua morte, anche la fine di un percorso di riabilitazione. Erano sgomenti e pieni di paura, proprio come lo ero io, ma non sarebbe stato giusto farli tornare a “fissare quel punto”. Ho superato e soffocato il mio dolore personale ed è nel nome di Patrizia che ho moltiplicato il mio impegno.
Il vostro impegno è legato a un ambito esclusivamente cittadino?
No. In questi vent’anni di attività abbiamo avuto tante presenze provenienti da molti comuni limitrofi, Firenze compresa.
Torniamo adesso ai “tuoi ragazzi”. Alcuni li ho incontrati casualmente sul loro posto di lavoro e assieme ai giovani ci sono anche uomini e donne non più giovanissimi. Eppure tutti quanti sono per te semplicemente “i miei ragazzi”. Perché?
Li chiamo ragazzi perché sono loro la mia famiglia. Ma soprattutto perché chi soffre di disagio mentale torna immancabilmente nella dimensione di bambino. Che va protetto, accudito, accolto, ascoltato. Aiutato a crescere come si fa con i bambini. Patrizia si definiva la chioccia e li chiamava i suoi pulcini. Io li chiamo i miei ragazzi, i miei preziosi ragazzi.
Ragazzi che ovviamente hanno un nome. Vuoi dirmeli?
Certamente. Attualmente sono con me Pietro, Marisa, Giacomo e Domenico. E colgo l’occasione di questo nostro incontro per ringraziarli sinceramente di quanto fanno per la cooperativa e per quanto mi danno con il loro affetto.
La cooperativa si occupa di manutenzione del verde. Però hai accennato a un vivaio che adesso non avete più; hai detto che avete cessato con questa attività. Io ne conosco il motivo ed è l’ennesimo segnale di quanto questa nostra società sia pervasa dall’ignoranza. Vuoi raccontarci questa esperienza?
È stato incendiato da ignoti. – mi dice con disarmante semplicità, senza nessuna espressione negativa sul volto o nella voce – E purtroppo sono state diverse le situazioni dolose che nel tempo ha vissuto la cooperativa. Furti, danni, e infine quell’incendio. Tra l’altro quella notte è andato distrutto anche il nostro auto negozio che nel periodo autunnale utilizzavamo per arrostire e vendere le castagne in Piazza Mazzini o nelle fiere per incrementare il magro bilancio della cooperativa. E quello è stato un danno davvero irreparabile dato che non lo facevamo soltanto per un fine economico. Per i ragazzi essere lì con noi aveva dei notevoli positivi effetti terapeutici. Stare in una piazza servendo il pubblico, osservando la gente passare, scambiando quattro chiacchiere con gli sconosciuti, contribuiva a far riallacciare loro faticosamente dei minimi rapporti sociali. Tra l’altro eravamo diventati per tantissime persone sole un punto di riferimento. Erano ad esempio molti gli anziani che ci venivano a trovare semplicemente per stare lì a parlare mentre si scaldavano al fuoco del braciere. Poi dopo l’incendio la burocrazia ha fatto il resto e abbiamo dovuto smettere.
Parlavi di persone sole. Solitudine e disagio mentale sono vicine?
Assolutamente sì. Perché la solitudine rende tristi, rinchiude in un mondo troppo personale e avvicina rapidamente e pericolosamente allo stato depressivo. E questo vale per tutti, giovani e anziani. La solitudine è in qualche modo l’anticamera nella quale possono essere “coltivate” situazioni che a volte sfociano nel disagio mentale.
Hai fatto i nomi di quattro ragazzi. Ma quanti ne hai visti passare in questi vent’anni di attività della cooperativa?
Circa 200. E tutti con un progetto personale curato dalle varie ASL di provenienza. E la grande soddisfazione è stato vedere i risultati che siamo riusciti a ottenere. Qualcuno ha trovato un lavoro stabile, mentre altri addirittura si sono creati una vera e propria attività personale. Ma quello che consideriamo il vero successo è il fatto che durante tutto il periodo nel quale queste persone sono state con noi, non hanno mai ricevuto né un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) né un TSA (Trattamento Sanitario Attuale), indice di un ritrovato equilibrio psichico.
Possiamo affermare quindi che Il vostro scopo primario è principalmente quello di ottenere attraverso un’attività un vero e proprio risultato terapeutico?
È vero. Sembra quasi impossibile a credersi, ma con il lavoro, l’accoglienza e il rafforzarsi dei rapporti umani, la salute, compresa quindi quella psichica, migliora notevolmente. E, cosa da non sottovalutare assolutamente, per i miei ragazzi il vedersi retribuire sia pur con cifre modeste l’opera prestata ha un fortissimo impatto positivo.
Senti Massimo, tu non hai una preparazione medica specifica in questo settore, e quindi come riesci a cavartela?
Io non sono un medico, per quello ovviamente mi affido all’ASL. Però, dato che questo è il mio mondo cerco di documentarmi il più possibile leggendo, studiando e frequentando dei corsi, sempre restando ovviamente attento a non invadere il campo dei veri esperti.
Però con il tempo hai perfezionato un tuo metodo per approcciarti alle persone che si rivolgono alla tua cooperativa, vuoi parlarmene?
È un metodo molto semplice, ed è quello del rapporto umano. Cerco di farli sentire alla pari con me, li ascolto, e se necessario cerco assieme a loro di porre rimedio a quelle situazioni che maggiormente li destabilizzano. Ovviamente mi limito a quelle che sono le problematiche relative al mio settore; vale a dire le difficoltà lavorative, i rapporti con gli altri ragazzi, le piccole o grandi incomprensioni o le situazioni contingenti legate magari a un particolare episodio che per loro assume a volte una valenza negativa particolarmente rilevante. Insomma, parlare, ascoltare, anche abbracciare se necessario, è per me il metodo migliore per acquisire rispetto, fiducia e parità di rapporti. Tra noi non deve esserci alcuno “scalino”. E la cosa che più aiuta è il far sapere loro che su di me possono contare sempre. E questo vale spessissimo anche oltre le ore lavorative. Non è infrequente che si esca assieme, magari per una passeggiata o per fare due chiacchere. E in questo approccio conta moltissimo condividere non soltanto i momenti difficili, ma anche quelli positivi e le piccole soddisfazioni personali.
Qual è il rapporto tra cooperativa e istituzioni?
Con ASL, Società della Salute e COPIT, come ho accennato prima, le cose funzionano molto bene. Sono loro che permettono di mantenere in vita questo progetto. Tra l’altro rispetto ai rapporti con l’ASL io nei loro confronti rivesto anche il ruolo di coordinatore, quindi con un rapporto diretto in caso di problemi dal punto di vista sanitario delle persone affidatemi. E tutto questo con il tempo è andato sempre migliorando. Con il Comune invece è più difficile entrare in sintonia, e non soltanto per la Cooperativa il Poeta, ma anche per diverse altre situazioni simili alla nostra; ma non dispero. Mi basterebbe poter fare saltuariamente qualche piccolo lavoretto di manutenzione, tanto per dare ai miei ragazzi maggiori garanzie sul loro futuro. E dal punto di vista sociale sarebbe un grandissimo passo avanti.
Invece tra la cooperativa e le famiglie dei ragazzi come sono i rapporti?
È un rapporto molto bello. E ti confesso ridendo, ma anche con estrema soddisfazione, che qualche volta mi capita di dover stare più dietro a qualche genitore che non ai mie ragazzi. Sono molto coinvolti ovviamente e questo spesso sfocia in rapporti di vero e proprio volontariato all’interno della cooperativa. Altre volte invece divento per loro il tentativo finale di porre fine a situazioni critiche che possono manifestarsi tra le mura di casa, e in quel caso sono una risorsa senza alcun limite orario. Anche loro sanno di poter contare su di me. Hanno fiducia in me e in quello che come cooperativa facciamo.
Mi hai detto che ad agosto avete festeggiato i vostri vent’anni di attività. Dimmi la verità: sono stati anni lunghi?
Sono stati vent’anni di fatica, di problemi da superare, anche di dolore come ti ho raccontato. Però sono stati vent’anni pieni di gratificazioni. I risultati ottenuti con i ragazzi rendono questo periodo veramente fantastico. Qualcuno nel tempo ha ripreso a guidare l’auto, qualcuno ha allacciato rapporti amorosi, qualcun altro ha trovato la forza di lasciare la famiglia d’origine e andare a vivere per conto proprio. E c’è chi ha trovato un vero lavoro e chi invece con successo si è rimesso in gioco aprendo una vera e propria attività.
Massimo, a sentirti parlare in maniera così appassionata del tuo lavoro e di come senti “tuoi” i ragazzi che ti vengono affidati, parrebbe quasi di pensare che in fondo basti poco per poterli “gestire”. Gentilezza e rapporti umani sono l’unica cosa che serve in queste situazioni?
Assolutamente no. Tutti possono essere gentili e ben disposti, ma per operare in questo settore occorre anche tanta preparazione. Per questo io cerco di aggiornarmi continuamente partecipando come ho detto a corsi specifici, convegni, incontri.
Siamo in chiusura, e come faccio quasi sempre nelle mie interviste, chiedo anche a te se hai un sogno nel cassetto.
Uno solo. E riguarda sia Massimo Passi che la Cooperativa il Poeta. Il mio sogno è di continuare ancora per tantissimo tempo a occuparmi di questo bellissimo progetto. Del progetto e, ovviamente, dei miei preziosissimi ragazzi.
Quello che ho cercato di raccontarvi in questa intervista è l’uomo Massimo Passi. L’ho definito “una brava persona”, ma credo che questo non sia sufficiente a descriverlo compiutamente, perché si corre il rischio che quelle parole possano essere interpretate soltanto come un complimento dolce e forse un po’ retrò. Massimo invece è davvero speciale, come speciale è la sua cooperativa di piccoli poeti, anche se lo sono senza usare parole. E se le mie di parole non sono state sufficienti a descriverlo, per farlo userò quelle di chi ha saputo con la forza di un sorriso far felici milioni di persone. Ha detto Charlie Chaplin: Ci vuole un minuto per notare una persona speciale, un’ora per apprezzarla, un giorno per volerle bene, ma poi tutta una vita per dimenticarla.
E Massimo Passi è uno che non si dimentica.
Per arteventinews
Enrico Miniati