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Descritto in molte maniere, il Sogno americano, quello che in molti hanno nei decenni accarezzato, non poteva trovare sintesi migliore nelle parole del cinico e caustico autore di “Fight Club” e se difficile è trasformarlo in realtà, non altrettanto semplice è incontrare chi lo ha realizzato partendo da una piccola città come Pistoia. Il miracolo è avvenuto grazie al Festival cinematografico pistoiese Presente Italiano che non solo ha deciso di ospitare il giovane direttore della fotografia Marco “Toma” Tomaselli, pistoiese trapiantato a Los Angeles, come uno dei relatori nella sezione Conversazioni sul Presente, ma gli ha affidato anche la presidenza della giuria popolare che ha decretato il film vincitore. Fra i lavori più importanti a cui Tomaselli ha preso parte si ricordano il documentario “Friedkin Uncut” e “Chiara Ferragni Unposted”, presentati rispettivamente alle edizioni del 2018 e del 2019 del Festival Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Noi di Arteventi News lo abbiamo incontrato proprio in occasione della quinta edizione del Festival e gli abbiamo rivolto alcune domande, partendo da quando tutto è cominciato.
Come nasce la tua passione per il Cinema?
È nata piano, piano e pur essendo sempre stato quello che in inglese si chiama storyteller, un narratore di storie, non ho mai pensato “Ah, voglio fare questo!”. Quando avevo 18 anni ho fatto un corso serale di fotografia base ad Agliana di un anno e da lì mi sono avvicinato al mondo della fotografia. A Natale di quell’anno, parliamo del 2007, mi sono potuto comprare una piccola macchina che faceva foto ma anche video e ho pensato di buttarmi anche in quel settore che è comunque in qualche modo legato al mondo della fotografia. Da lì ho incominciato piano piano a cercare lavori a livello pistoiese, soprattutto per band musicali indipendenti. Ho iniziato a intraprenderla come attività principale e un po’ alla volta sono cresciuto con lavori a Firenze, Lucca, per Patrizia Pepe, Lelli Kelly. A quel punto ho capito che c’era la possibilità di fare qualcosa in questo ambiente.
Quando c’è stato il tuo primo contatto con le produzioni statunitensi?
Ero arrivato a un punto che lavoravo durante l’autunno, l’inverno e parte della primavera solamente come videomaker per aziende con budget molto bassi, dove dovevo fare da regista, sceneggiatore, direttore della fotografia, tutto in uno. Arrivavo, giravo, tornavo a casa, montavo e consegnavo. In quel momento quella era per me una specie di maledizione perché io volevo solo curare la fotografia nei video ma guardando a ritroso è stata una sorta di benedizione perché mi ha dato la possibilità di capire il funzionamento dei diversi dipartimenti. So un po’ di cose sull’audio, un po’ di cose sul montaggio, un po’ di cose sulla regia, e oggi sono tutte armi che utilizzo per fare prodotti di qualità sempre migliore, pensando ad esempio già magari al montatore e assicurandogli tutto il materiale di cui avrà bisogno. Poi nella seconda metà dell’anno, in estate, arrivavano le grandi produzioni dall’America. Parliamo dei periodo tra il 2010 e il 2012 circa. Non molti progetti, magari due o tre ma lunghi, in cui potevo capire come funzionava il lavoro di squadra, produzioni in cui c’erano dalle venti alle trenta persone coinvolte ogni volta.
E come nascono queste tue collaborazioni?
Per caso. Io giocavo a football americano a Firenze e un produttore italo-americano che da ragazzo aveva giocato a football in Italia ma poi si era trasferito nuovamente negli Stati Uniti, a Los Angeles, si trovava in Toscana per la realizzazione del cooking-show “Extra Virgin” con Debi Mazar e Gabriele Corcos che andava in onda su Cooking Channel. Aveva bisogno di un po’ di manodopera locale, assistenti di produzione ed era andato dall’unica persona che conosceva a Firenze ovvero il mio coach. Lui ci chiese se fra i componenti della squadra c’era qualcuno interessato ad andare a dare una mano e io ero l’unico che fra tutti si poteva prendere del tempo per andare a lavorare in una situazione del genere. L’anno dopo tornarono, fui nuovamente assunto e il produttore americano di “Extra Virgin” fece il mio nome ad altra gente che veniva da Los Angeles. Questo mi permise di lavorare al video di Madonna, girato a Firenze, “Turn up The Radio” anche se sempre come semplice assistente di produzione o al massimo assistente di camera. Successivamente l’estate dopo arrivarono a Firenze quelli del programma televisivo “Jersey Shore”.Fu un’esperienza un po’ più tosta perché la produzione era di due mesi, c’erano molti più soldi dietro, c’erano un centinaio di persone a lavorarci e io praticamente ero nel turno di notte dalle 7 di sera alle 7 di mattina. Erano principalmente americani ed in quell’occasione ho stretto amichevoli rapporti con la troupe americana, soprattutto con l’aiuto di un regista che l’anno dopo tornò per sposarsi a Firenze. Gli girai il video e lui rimase colpito dalla qualità del mio lavoro. Io, ammirato dalla professionalità degli americani e dalla loro mentalità diversa da quella italiana, volevo andare a lavorare a Los Angeles. Mi disse “Vieni, stai a casa mia, mi dai una mano su qualche piccolo lavoro e nel contempo vedi qual è la situazione a Los Angeles”. Questa cosa succedeva nel Luglio del 2013, andai lì per tre mesi ed ebbi la fortuna di incontrare una persona che è tutt’ora il mio manager e grazie al quale ottenni il visto lavorativo. A Novembre ero nuovamente a Los Angeles con le carte fatte.
Lati positivi e lati negativi della tua esperienza a Los Angeles?
A Los Angeles io conoscevo solo una casa di produzione, legata a quella persona che mi aveva aiutato all’inizio, ma loro facevano solamente Reality show americani, la mia strada era il Cinema. Quello che mi offrivano mi garantiva molto lavoro ben retribuito ma io non mi volevo sedere su una comoda poltrona ed ero sicuro che un’altra strada se pur difficile mi avrebbe portato maggiori soddisfazioni. Mi ritrovavo però a partire da zero e questo è sicuramente un lato negativo. Partire da zero lì è tosta, le persone che conoscevo non erano nel mio mercato e quindi fondamentalmente ho iniziato spulciando gli annunci su Internet. L’altro lato negativo è che comunque qua la competizione è assurda. C’è gente giovane, senza famiglia, che arriva da tutto il mondo. Persone che sono pronte a concentrarsi esclusivamente sul mondo lavorativo e disposte a tenere un ritmo di lavoro insostenibile, almeno per il lungo termine. Per questo io definisco Los Angeles una giungla da questo punto di vista, una giungla urbana. Di positivo c’è sicuramente la velocità con cui tutto avviene e la mancanza di sovrastrutture. Qua puoi essere anche uno sconosciuto, ma se hai un buon showreel con te e cercano una figura nel ruolo che ricopri ti assumono senza bisogno di nessuna raccomandazione.
C’è qualche consiglio che puoi dare a chi vuole intraprendere un percorso simile al tuo? Magari specializzarsi in una determinata nicchia…
Io sono dell’opinione che non è mai buono piazzarsi in un certo tipo di mercato e basta. A me piace esplorare. C’è stato un periodo nel quale ho girato diversi video musicali, un altro in cui andavano i cortometraggi, però questo per me è un lavoro in cui fai bene a non smettere mai di guardarti in giro perché è un settore infinito. Ora sono un po’ nel mondo dei documentari e della fiction. Questo binomio è perfetto per far crescere la parte psicologica nelle storie di fantasia. Vai fuori nel mondo a girare documentari, vai ad osservare com’è la realtà perché hai bisogno di assorbirla, conoscerla, per poi poter essere in grado di replicarla quando ti capita un film con uno script, ad esempio, con una storia d’amore. Tu devi sapere di cosa si sta parlando, nel profondo. Tutti sanno cos’è l’amore ma qui si parla di affrontarlo in maniera più profonda. Un conto è capire un determinato sentimento, un conto è ricrearlo in maniera da far credere alla gente che sia vero. Questo è l’aspetto prezioso del lavoro documentaristico. Nel documentario impari quello che puoi mettere in pratica nella fiction.
Per restare aggiornati sui progetti di Marco “Toma” Tomaselli potete seguire il suo profilo Instagram: @TOMAcinematographer http://www.instagram.com/tomacinematographer/
Stefano Cavalli