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4 Ottobre 2019Verso la metà degli anni cinquanta il contesto storico della guerra fredda e la lotta di liberazione algerina dalla dominazione francese (guerra franco-algerina) nonché la lunga serie di attentati che ebbero seguito nel paese getta la Francia in una crisi politica di larghe dimensioni. Il cinema francese in quei tempi divenne sempre più documentaristico e foriero di una vera e propria idealizzazione di una morale nazionale.
La Francia, o meglio, il vivere dei francesi e la nuova generazione stava cambiando, tutto era rivisto in una maniera diversa, la politica, il lavoro, il modo di esprimersi, il modo di amare. Così fa capolino anche un nuovo modo di fare cinema che prende il nome della nuova gioventù francese e viene chiamato Nouvelle Vague (Nuova Onda). Gli strumenti di lavoro sono di fortuna e i luoghi dove girare sono i luoghi dove si svolge la vita quotidiana. I registi poco più che ventenni, impersonano la nuova gioventù, i nuovi tempi, il nuovo modo di pensare e di agire.
Uno dei maggiori esponenti e punto di riferimento della Nouvelle Vague è stato il regista francese Alain Resnais. Tutto il suo cinema è sempre stato innovativo e intelligente, molto creativo e raramente, nel corso della sua opera, Resnais ha deluso i suoi fans. Le sue prime opere riguardano una serie di cortometraggi sull’arte dedicati a Van Gogh, Gauguin, Picasso.
Nel 1956 gira un documentario sulla Shoah dal titolo “Notte e Nebbia” che ricalca la frase di lingua tedesca Nacht und Nebel che contrassegnò l’operazione di annientamento attraverso le camere a gas degli oppositori del regime nazista. Il campo d’azione della cinepresa è Auschwitz, luogo simbolo per eccellenza dello sterminio. Il film progettato dallo storico Henri Michel e patrocinato dal Comitée d’historie de la seconde guerre mondiale, insieme a Shoah (altro grandioso documentario che dura più di dieci ore, realizzato da Claude Lanzmann) rimane una icona delle pellicole che raccontano in maniera veramente realistica quello che fu il “male assoluto”, perpetrato nei confronti di milioni di esseri umani, nell’ultimo conflitto mondiale.
In seguito numerosi sono stati i film da lui diretti: Hiroshima mon amour (1959), La guerre est finie (1966), Mon oncle d’Amérique (1980), Mélo (1986) per citarne solo alcuni dei più famosi. Nutrita è la sua opera di documentari, cortometraggi e film collettivi. L’anno scorso al Festival di Berlino era stato proiettato il suo diciannovesimo film “Aimer, boire et chanter”, di grande sagacia, girato in tempi brevissimi e premiato come la pellicola più “innovativa”. Storia delicata che racconta i desideri di amore di tre donne, un film girato, nonostante l’età, ancora con grande vitalità e immutata passione.
E non per nulla il premio per “l’opera più innovativa” era andato a un uomo ultranovantenne, che da sempre sentiva il bisogno di tentare nuove vie di comunicazione e da sempre si divertiva a fare quello che faceva, segni inconfondibili di freschezza mentale, capacità espressiva e un immenso amore per il proprio lavoro.
Alessandro Orlando