Il fascino della storia e delle tradizioni in un matrimonio da ricordare
25 Settembre 2019Lampredotto o trippa goriziana? A “Gusti di Frontiera l’ardua scelta!
26 Settembre 2019Vita, morte (privata e sportiva) e miracoli di Diego Maradona, umano non umano e giocatore più pagato al mondo catapultato nella “città più povera d’Italia e forse d’Europa” (Napoli), come sottolinea un giornalista francese all’inizio del film, per ribaltare l’ordine prestabilito, portando gli ultimi a sedersi sulle poltrone dei primi.
Potrebbero bastare queste poche righe per riassumere “Diego Maradona”, lungo documentario di Asif Kapadia (già dietro la macchina da presa per “Senna” e “Amy”), che racconta le gesta sportive e non del più forte giocatore di calcio di tutti i tempi che dai quartieri poveri argentini si trovò, nel giro di pochi anni, sul tetto del mondo circondato da molti soldi, belle donne e calore dei tifosi ma anche da personaggi malavitosi che lo avrebbero in breve condotto sulla via di un tragico tramonto.
Ci potremmo, appunto, fermare qua ma è quantomeno giusto sottolineare aspetti peculiari e qualità di questo documentario che ha, dentro di sé, molti meriti, primo fra tutti quello di tenere insieme tutto il materiale d’epoca di cui è composto, dandogli un senso che fa emergere vari aspetti della vicenda.
“Diego Maradona” è infatti, prima di tutto, una storia di contraddizioni: quella di una città poverissima che riesce ad attrarre il più pagato e talentoso giocatore dell’epoca, quella di uno sportivo che conduce una vita tutt’altro che salutare, quella di una Napoli che lo celebra fino all’ossessione salvo poi rigettarlo come un figlio ingrato. È poi una vicenda di riscatto, dove Diego interpreta il ruolo di Maradona, il capopopolo che conduce i diversi, gli oppressi, verso la vittoria, riscrivendo con un gesto sportivo gli equilibri di Paesi interi, passando dal Napoli all’Argentina che porta in trionfo nei Mondiali messicani dove sconfigge con l’inganno l’Inghilterra che pochi anni prima aveva militarmente annientato l’esercito sudamericano.
Infine è la storia della cavalcata miracolosa e disumana per il goal più incredibile della storia del calcio. L’idea di lasciare fuori campo gli intervistati esalta poi ancora di più il cuore della storia e il merito di Kapadia, oltre che in questa scelta, sta nell’aver recuperato, come da lui stesso raccontato in numerose interviste, materiale prezioso e largamente inedito, dandogli nuova luce.
Insomma, “Diego Maradona” non sarà certamente un documentario necessario ma è senza dubbio straordinario, dalle cui ipnotiche immagini emerge il ritratto di un’epoca. Lontana, selvaggia e (dunque) bellissima.
Stefano Cavalli