
Gavinana in festa per Francesco Ferrucci; l’intervista impossibile
30 Luglio 2019
L’ADMO. Un amico che ti può salvare la vita
14 Ottobre 2019È l’impronta di un ranocchio (frog) che rappresenta graficamente il sogno di Lorenzo e Matteo Zelari, due giovanissimi imprenditori pistoiesi.
Giovanissimi, ma già talmente affermati da aver meritato recentemente l’importante riconoscimento del “Pegaso d’Argento”, un riconoscimento che viene annualmente assegnato per la miglior idea imprenditoriale under 30 della regione Toscana.
E under 30 i due lo sono veramente, dato che Matteo di anni ne ha 19, mentre Lorenzo appena 17.
Anni pochi, ma idee tantissime e soprattutto molto chiare.
Ma chi sono veramente i due cugini Zelari? E qual è stata la loro idea vincente? Ne abbiamo parlato a lungo in una bella mattina di settembre comodamente seduti nel confortevole ambiente del Caffè Marini.
Io di marketing e imprenditoria ne so ben poco, ma sentendoli parlare devo dire che loro due invece sono preparatissimi, hanno la capacità di essere chiari nello spiegare e dimostrano di avere persino il dono della sintesi.
Da dove cominciamo? – chiedo, ben sapendo che comunque spetterebbe a me condurre l’intervista.
Non certo dalla fine, – risponde sorridendo Matteo, il “più vecchio” dei due. – Di quella parliamo dopo.
Non gli dia retta – lo corregge Lorenzo. – Per “fine”, lui intende dire il nostro nuovo progetto, ma ha ragione, di quello è giusto parlare dopo aver detto come tutto è iniziato.
Perfetto. Partiamo dunque dall’inizio. Ditemi qualcosa di voi due.
Io studio Economia a Bologna – inizia Matteo – e giusto ieri ho superato un ennesimo esame. Io invece sono al quinto anno dell’I.T.I., specializzazione Elettronica. – ribatte l’altro cugino.
E prende vita in questo modo un’intervista a tre voci, dove i due giovani ovviamente “tengono banco”, dimostrandosi entrambi ottimi oratori e per nulla impacciati nel raccontare a uno sconosciuto qualcosa della loro vita. Parlano di sé, ma soprattutto del loro essere giovanissimi imprenditori, “portatori sani” di idee innovative.
Sin da bambini siamo sempre stati molto uniti – dicono alternandosi nel formulare a due voci un medesimo pensiero – e possiamo dire di aver sempre fatto tutto in perfetta sintonia. Tra noi c’è ovviamente affetto, ma anche molta stima e questa crediamo sia l’arma vincente.
Quindi tra voi non c’è un vero “capo”? – gli domando con la chiara intenzione di provare a cercare una crepa in questa dimostrazione di unità d’intenti.
Assolutamente no! – è la risposta decisa – Ovviamente parliamo, discutiamo, ci confrontiamo, ma ogni cosa è sempre decisa in comune. Anche se… – dice sorridendo sornione Lorenzo.
Anche se? – domando curiosissimo.
Anche se a volte lui non vuole ascoltare il mio… istinto.
È vero – ammette Matteo, – alcune volte ha avuto ragione e io non l’ho ascoltato, ma in fondo sono soltanto… dettagli.
Adesso ragazzi dovete spiegarmi questa cosa, però prima andiamo al perché stiamo facendo questa intervista. Voi, oltre che studenti, siete già ben avviati nel campo imprenditoriale. Avete creato un vostro marchio, un brand come si dice in gergo, siete abbastanza famosi tra i vostri coetanei e avete trovato un modo di procurarvi un ritorno anche economico proponendovi come ideatori di icon da riprodurre sulle t-shirt. Volete parlarmene?
Certamente. Tutto è nato quasi per gioco, il giorno che alcuni amici ci hanno chiesto se fossimo in grado di dare loro delle idee relativamente alle nuove divise della loro squadra di calcetto. Badi bene che erano soltanto delle chiacchiere tra amici, niente che potesse veramente far presagire che saremmo arrivati poi ad avere successo. Non avevamo nessuna competenza e nessuna preparazione, ma soltanto qualche idea che dopo pochi giorni abbiamo loro proposto e che sono piaciute. Da lì è iniziato tutto.
Quel “tutto” che vi ha portato a prendere poi dopo un paio d’anni un riconoscimento importantissimo come il “Pegaso”.
Sì è vero. Ma non creda che sia tutto semplice come appare. C’è voluto del tempo, tanti errori, una buona dose di autocritica da parte nostra, molti consigli da chi ne sa più di noi e la voglia di non fermarsi davanti agli ostacoli. E non dobbiamo dimenticare i 147 euro avuti dai nostri genitori – conclude Lorenzo.
147 euro?
Esatto. È la cifra che nel 2016 abbiamo investito per iniziare e che ovviamente non avevamo. Non sembrano molti, ma rispetto al nostro sogno, allora abbastanza indeterminato, erano comunque tantissimi.
E quindi?
Dicevamo delle divise da calcetto. Fatte quelle e visto che sembravano piacere, abbiamo provato ad “allargare il giro” e a lanciare una nostra linea. Cosa che però all’inizio non ha funzionato nella maniera che speravamo. Come accade per moltissime cose della vita, l’improvvisarsi non paga. Noi non siamo grafici, non siamo stilisti, non siamo esperti di marketing e non abbiamo ad esempio nessuna esperienza né nel tessile né nel mondo degli spedizionieri. E quindi abbiamo rischiato di naufragare immediatamente dopo essere partiti. Perciò ci siamo guardati attorno, valutato quali erano i nostri errori e abbiamo provato a contattare un esperto, Marco Graziano, un validissimo grafico, il quale, quasi inaspettatamente ha accettato il nostro invito a dare vita alle nostre icon da riprodurre sulle t-shirt. Ovviamente questo non poteva bastare e assieme all’apporto del grafico è iniziato il nostro lavoro sui social. Il classico Facebook, un nostro sito web dedicato, il passa parola, un punto vendita a Montemurlo. E qui torniamo a ciò di cui le parlavo prima. – interviene Lorenzo interrompendo il cugino.
Dai, racconta allora.
Le icon di cui dicevamo, sono la rappresentazione caricaturale di cinque famosissimi personaggi: Jimi Hendrix, Steve Jobs, David Bowie, Einstein e Dan Bilzerian.
Dan… Bilzerian? – domando. – E chi è?
Lo vedi? – esclama il più giovane rivolto al cugino. – Sono tutti personaggi cult, come si è soliti definirli. Solo che io ne avrei fatti quattro, non cinque, perché quello che mi lasciava perplesso era proprio Bilzerian, che è un personaggio popolare, ma… particolare e che tra i cinque è infatti quello che è piaciuto di meno. Ma lui… invece… – conclude ridendo soddisfatto, indicando Matteo che a sua volta se la ride beato.
Sono i rischi d’impresa… – tenta di giustificarsi senza ovviamente averne bisogno.
Con piacere sto notando che tra i due sembra esistere veramente un rapporto molto stretto. Ma soprattutto i ragazzi sembrano essere ancora al di fuori di logiche legate al solo profitto o al successo per il successo. E l’impressione che, non conoscendoli, ho dei due, è quella di due giovani che si stanno veramente divertendo per quanto fanno, pur dando la netta sensazione di essere davvero convinti di poter realizzare completamente ciò che hanno in mente di fare.
Mi dite che cosa rappresenta il vostro marchio? Frog, ranocchio, è forse un acronimo di qualche frase… misteriosa?
Assolutamente no. Non vuol dire niente di particolare. Semplicemente ci piaceva e quella zampetta di ranocchio è rimasta subito simpatica a moltissimi. All’inizio era soltanto Frog, poi abbiamo aggiunto Tuscany People per dare una immagine anche territoriale al nostro brand. In fondo la nostra regione ha estimatori in tutto il pianeta e di conseguenza è un bel biglietto da visita.
E dopo il vostro primo successo è cambiato qualcosa tra voi e i vostri coetanei? Siete imprenditori, avete vinto un premio, possedete un marchio tutto vostro. Come viene vissuto tutto questo dagli amici?
In maniera diversa. Alcuni ci scherzano sopra, altri provano a “salire sul carro” – ma non parliamo dei veri amici – altri ancora fanno in modo da non dare peso alla cosa ignorando cosa abbiamo fatto. Ma sostanzialmente non è cambiato moltissimo.
E voi? Siete cambiati?
Si guardano un momento tra loro, quasi a cercare di capire se sono sempre gli stessi amici-cugini di un tempo non lontano, poi ammettono con sincerità che ovviamente sì, qualcosa è cambiato.
Sì, è cambiata la nostra determinazione nel portare avanti un progetto che almeno sino a ora ha funzionato. Siamo sempre gli stessi, con i soliti amici, il piacere della famiglia, e lo studio al primo posto come obbiettivo; ma tutto questo viaggia in parallelo con la nostra voglia di fare e di proporre le nostre idee. Sì, forse stiamo diventando degli imprenditori.
Prima avete ammesso di non avere specifiche esperienze. Come vi definite quindi?
Noto che a questa domanda forse non erano preparati. Si guardano, aspettano un istante e Matteo prova a rispondere.
Può andare “Progettisti di idee?”
Sì, mi piace – approva Lorenzo – in fondo è proprio questo che adesso facciamo.
È una bella definizione che merita però di essere approfondita. Come è legata al vostro brand?
Dopo il successo delle t-shirt abbiamo deciso che non era soltanto quello ciò che volevamo fare, intendiamo dire la vendita delle magliette. Avevamo ricevuto delle offerte molto importanti da parte di aziende che volevano rilevare il nostro marchio, ma abbiamo deciso che non era per i soldi che avevamo lavorato. Frog era il nostro ranocchio e tale doveva restare. Solo che non ci bastava aver creato delle icon da appiccicare su un capo d’abbigliamento e quindi siamo passati oltre. E questo “oltre” è oggi indirizzato nel campo della scuola, pur ovviamente mantenendo un rapporto stretto con il nostro inizio.
Un tema importante la scuola, ma anche molto vasto. Come si coniuga con l’imprenditoria?
L’dea è di far comprendere ai responsabili degli istituti superiori l’importanza di creare, scuola per scuola, una propria diversa linea di abbigliamento e oggettistica personalizzata, che, riportando il logo dell’istituto, la renda unica e riconoscibilissima. Un qualcosa di simile a quanto avviene nei college anglosassoni.
Molto interessante. E trovate un riscontro nelle istituzioni scolastiche?
Sinora sì, e non neghiamo di essere già avviatissimi. Abbiamo in atto dei rapporti molto proficui con diversi Presidi non soltanto di Pistoia, e questo è dovuto in modo particolare al fatto che ci stiamo avvalendo dell’apporto di veri esperti nel settore. La nostra idea, lentamente ma in maniera costante, sta diventando una realtà importante nel campo scolastico. Marketing, oggettistica, abbigliamento e la realizzazione di eventi sono attualmente il nostro campo. E tutto quanto funziona veramente alla grande.
Ma i soggetti fruitori, intendo dire gli studenti, come riuscite a capire se le vostre idee hanno il loro apprezzamento?
Facciamo delle indagini di mercato. Abbiamo messo a punto delle schede riguardo alle nostre singole proposte che sottoponiamo preventivamente ai ragazzi. In base alle loro risposte decidiamo quali sono da scartare o modificare e quali invece da proporre a chi poi dovrà decidere.
E in tutto questo la famiglia c’entra?
Certamente. Come vedi (finalmente e quasi senza volerlo, sono entrambi passati al tu) siamo molto giovani, e quindi non sappiamo quasi niente di tantissime cose. Noi abbiamo idee, progetti, ambizioni. Ci mancano altre armi quali ad esempio l’esperienza che spesso riusciamo a trovare in famiglia. E poi non siamo così smaliziati come forse possiamo apparire. I nostri genitori rivestono perciò una grandissima importanza per noi e i loro consigli o suggerimenti fanno parte della nostra crescita.
Parlavate di eventi. So che ne avete già realizzati alcuni che hanno avuto un notevole successo. Uno in particolare si è tenuto proprio qui, al Caffè Marini, e aveva come scopo primario quello di raccogliere fondi da devolvere in beneficienza al Reparto di Ematologia di Careggi, a Firenze. Veramente un nobilissimo scopo. Esiste un motivo per aver scelto quello specifico reparto?
Sì, esiste, ma non è importante che si sappia il perché. Siamo però orgogliosi di averlo fatto e che tantissime persone si siano unite a noi per questo scopo.
Un’ultima domanda prima di lasciarvi andare. Vi state avvicinando a professionisti. Questo è naturale in ogni progetto di crescita, ma non temete che affidarsi a persone “navigate” possa in qualche modo snaturare la vostra idea originaria?
Ridono di gusto alla mia provocazione. E io con loro. Sono giovani, ma sembrano sapere benissimo cosa vorranno fare “da grandi” e guardandoli ho la netta sensazione che difficilmente siano disposti a lasciarsi privare di un sogno.
Il ranocchio è solo nostro – rispondono – e al momento niente riuscirà a togliercelo o a modificare il suo essere. Non vogliamo e non possiamo permetterlo, anche perché dobbiamo ancora rendere ai nostri genitori quei famosi 147 euro.
Per Arteventinews
Enrico Miniati