Il poeta pistoiese Gabriele Carradori ricorda il Maestro Pier Luigi Zollo a 14 anni dalla scomparsa
Lettera al Maestro d’Arte fu una poesia, nata veramente,molti anni fa, come una lettera di un giovane aspirante artista pieno di domande che ebbe la fortuna di incontrare nel suo cammino, nel momento più duro della propria vita, il Maestro Pier luigi Zollo e con lui il Teatro della Scuola Costiana. Un metodo quello di Orazio Costa, appreso da Zollo all’Accademia Nazionale dell’Arte Drammatica Silvio D’Amico, che permetteva di raggiungere un rapporto simbiotico tra voce e corpo dove la Parola era da quest’ultimo accompagnata e descritta da una accurata mimica che quasi rendeva visiva la battuta e l’attore terminava colorandola con toni e pause, dando l’impressione che l’astratto, la fantasia prendesse forma.
Una consapevolezza della Parola e della tecnica di espressione dunque che Zollo padroneggiava in maniera indiscussa, permettendogli di spaziare dal teatro, (memorabile la sua ultima interpretazione di Michelangelo presso il Teatro Italiano di Fiume), al cinema,(Cose di cosa nostra, 1971 diretto da Steno) agli sceneggiati tv in rai, ( cito Nero Wolf, Maigret etc.), doppiaggio, con quella naturalezza di chi sembra, non solo aver compreso i meccanismi del linguaggio, ma attraverso questi aver la chiave di accesso alla più intima natura di ogni personalità, e di poter riprodurre qualsiasi maschera dello stato umano.
Una personalità burbera, che spesso non mancava di indisporre molte persone che vi si avvicinavano e anche per la sua scarsa propensione a chinare la testa davanti a certi meccanismi dello spettacolo e della società, non è stato sempre valorizzato, anche dai suoi concittadini, come avrebbe meritato, ma al contempo dotato di una bontà ed un umanità tale, nascosta dietro quella sua barba e sguardo accigliato, che di buon grado, gli ha permesso in lunghi anni di laboratorio, Pistoia, Montecatini, Agliana, come in scuole per non citare l’impegno sociale da lui devoluto presso l’AIAS (oggi MAIC) o il corso di teatro radiofonico nelle sedi RAI di Firenze per ipovedenti, condividere questi “segreti della comunicazione” con, a prima vista, più improbabili attori, le persone spesso più bisognose.
Sono passati quattordici anni dalla sua scomparsa e da quella lettera, molte altre poesie sono state scritte da quel giovane attore che grazie gli insegnamenti del Maestro Zollo ha potuto affinare le sue capacità espressive prendendo, a poco a poco, maggior sicurezza di sé, tanto da fargli trovare il coraggio di mostrarsi al pubblico come scrittore, con la consapevolezza, lui come altri che hanno scelto di proseguire una carriera artistica, di essere depositari di una responsabilità di sapere da passare ad altri, come noi prima, improbabili artisti.
Grazie Maestro
Gabriele Carradori
LETTERA AL MAESTRO D’ARTE
Scrivo a te
Amico lontano
Scrivo a te
Un pugno di emozioni
Con questa penna in mano
Che nel girare su di un bianco foglio
Par di volermi dimostrare
Che lei saprebbe come togliermi
Da questo confuso campo
Dove mi soglio aggirare
Per vie di cuore o
Per vie di testa
So io ragion che animo fa barcamenare?
Sai tu
Che mille e maggiori strade di me avesti
Quant’è dolce crearne di nuove
E per queste conoscere luoghi e persone
Non ancora macchiate d’umani pesti
Saria questa di vita l’ultima fiamma?
Sicché se per muover le nostre galassie
Altre ne dobbiamo immaginare
Per che strada sai menarmi
Se convincer mi vuoi che tutto
Non è un sogno
Dal quale stupiti ci si desta
Quando l’ultima ora
Ci taglia la testa?
Più e più volte
Pregai questo
A cristo nostro signore
Con un modo ed una devozione
Che solo a gente di chiesa
Ne ricordo un simil fervore
Maxima cosa
Perdere nell’oblio
Le proprie pene
Ingannarsi e stare bene
Sebbene si può stare
Quando il proprio nome
Si va dimenticare
Ma leggero
Nel mio fantasticare
Per una via apertami da un abbraccio
Dimentico ogni fatica
Dimentico ogni impiccio
E parmi più leggero dell’are terrestri
E beato dondolo in dolci lusinghe
È il cuore che m’innalza alle volte celesti
Saria Maestro, la droga dei poveri
Di stessa natura
Di morte e cadaveri?
Che se avessi cercato
Per mia vita intera
Ragione e giustizia
Per ogni colore
E per ogni bandiera
Appesantendo in si tal modo
Il mio animo
E il mio cultural panno
Questo improvviso svolazzare
Che prende la mia persona
E rendermi pare
Si gioioso e si bello
Tra l’umana specie
Mi chiedo…
Saria ragion di gioia o di danno?
E più mi confondo
A trovar risposta
E più confusa
È la mia testa
Che a lei pongo in esame
Questo malanno:
Sia più giusto il peso
Del dolore
O d’amor il dolce inganno?