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Per raccontarvi di quello che vi voglio raccontare devo inevitabilmente partire da un assunto su cui penso tutti si sia d’accordo: al cinema vanno poche persone, mediamente, e vediamo qualche pieno solo in occasione di grandi film per tutti. Ecco, immaginatevi che nei grandi Festival le sale sono piene anche per quei film che considerate delle mattonate noiosissime e per cui gli spettatori che pagherebbero un biglietto si contano sulle dita di una mano.
Ora continuate il lavoro di fantasia e pensate a questo contesto in cui io vengo convinto da un mio amico di visione ad andare a vedere la versione restaurata di “Goodbye Dragon Inn” cult cinefilo, presentato a Venezia nel 2003, che per l’occasione torna in versione restaurata con la presenza del regista in sala (ovviamente stracolma di persone). Il mio amico mi giura che è un capolavoro (io appunto non lo avevo mai visto) e che contiene la pisciata più lunga della storia del Cinema(!). Va beh, arriva la famigerata sequenza e lui in un orecchio mi sussurra: “Alla fine di questa scena applaudirò e tutto il pubblico applaudirà con me”. Finisce e lui alza le braccia in mezza alla sala unendole in un applauso. Risultato: il gelo più totale e io che, accanto, cerco di sprofondare il più possibile nella poltroncina con la speranza di scomparire.
Seconda scenetta: proiezione serale. Il film si chiama “Corpus Christi” e le premesse (parlo di ritmo narrativo) sono buone tanto che anche in questo caso la sala è pienissima ma la parte centrale si sgonfia, appiattendosi su sequenze lentissime e soporifere. Il pubblico a stento trattiene il sonno, alcuni se ne vanno, altri crollano inesorabilmente. Uno spettatore in particolare si rende protagonista di uno spettacolo nello spettacolo. Mentre le immagino scorrono, si lascia andare all’indietro iniziando a russare così forte da sovrapporsi al parlato dei protagonisti con il risultato, da comiche, di far scoppiare il pubblico in risate fragorose (considerate che il film era un dramma straziante attraversato solo da piccole punte di ironia) che ritornava serissimo quando l’assonnato si risvegliava.
Anche questo è (il) Festival.
Stefano Cavalli