E’ la domanda che circola in questi giorni, rievocata quando la presidentessa della giuria della 76esima edizione del Festival d’Arte cinematografica di Venezia, la regista Lucretia Martel, si è espressa sull’opportunità di non partecipare alla proiezione pubblica del film in concorso “J’accuse” diretto da Roman Polanski, il cui caso di violenza nei confronti dell’allora tredicenne Samantha Geimer (era il 1977) è ancora aperto.
La mia opinione, la mia risposta è su questo caso (ma anche in generale quando c’è da fare certi distinguo) molto chiara. L’artista è l’artista e solo per quello va giudicato quando ci si trova davanti ad una sua opera che nel caso del regista polacco è, indubbiamente, di altissimo livello. Come è stato detto, scritto, poi in questi giorni è altrettanto chiaro che dovremmo altrimenti rivedere la nostra opinione su tantissimi film (ma, uscendo dal campo della Settima Arte, anche in altre aree. Pensate al calcio e al caso Maradona) e i suoi autori, anche perché soprattutto la storia di Hollywood è piena di casi in cui dietro a grandi filmografie si nascondevano personaggi tutt’altro che impeccabili.
È vero, Polanski è colpevole e non ha scontato totalmente la pena ma questo non deve oscurare lo sguardo. Anche perché ora chi glielo va a dire alla Martel che “J’accuse” è stato immediatamente incensato dalla critica come un capolavoro e che ora non premiarlo sarebbe un vero crimine?
Stefano Cavalli