Se devo essere proprio sincero, quando ho dovuto inserire questo articolo/opinione, sono rimasto perplesso ed indeciso in quale rubrica, oltre alla mia, inserirlo. Ho optato per quella che riguarda la Storia, in quanto ogni modus operandi che diventa consuetudine accettata è uno spaccato del nostro vivere quotidiano e quindi anche della nostra Storia.
I tempi si sa, sono in continua evoluzione, un correre continuo verso chissà quali lidi, un flusso e riflusso continuo di mode, gusti e tendenze. Questo annaspare continuamente alla ricerca di novità rischia di partorire strane abitudini. Una di queste, oramai consolidata e che proprio non riesco a digerire, è l’insensata forma di spettacolo che si manifesta con gli applausi durante i funerali. Il dolore dei parenti, l’aria greve che si respira dentro e fuori della chiesa, la mestizia compatta del corteo, come per incanto spariscono, si dissolvono e fanno posto ad uno scrosciante applauso che coinvolge ed ammorba chiunque si trovi a seguire la funzione.
La cosa più seria che può succedere alla vita di un essere è quella di morire. Quando uno muore, muore e si deve tacere, sia che si tratti di militari morti in guerra, sia di vittime di incidenti stradali, sia di morti ammazzati o di anziani ultracentenari, perché la morte è dolore. La partecipazione alla cerimonia è già di per sé un atto di grande affetto per la persona scomparsa, non serve altro. Per dovere di cronaca il primo scrosciante applauso ad un funerale si verificò il 17 aprile 1967 durante il rito funebre del grande Totò. In seguito altri come il 26 settembre 1973 ai funerali di Anna Magnani. Quel battere di mani scoppiò all’improvviso come a sottolineare l’ultima triste apparizione in pubblico di questi due grandi artisti. Forse, estendendo oltremodo il concetto, in quel caso, un applauso non era fuori luogo, un senso l’aveva. L’applauso, al passaggio del feretro, stava come a sottolineare un grande, straordinario tributo al primo attore, e rimarco il termine attore, che appare per l’ultima volta sulla scena. Negli altri casi non serve. Lo reputo irriverente.
Mi domando: che ci sia scappato di mano il buon senso? Nelle società nere africane due sono i valori essenziali: il silenzio e il controllo di sé. Noi li abbiamo persi entrambi e sfrontatamente non vogliamo imparare nulla da quelle culture, anzi le disprezziamo e le distruggiamo.
Ricordo il funerale del medico di un piccolo paese di montagna dove, anni fa, mi trovavo a trascorrere ferie. Al passaggio del feretro qualcuno lo sfiorò, altri si fecero il segno di croce. Due gesti, due diversi comportamenti. E pur nella loro diversità, uno religioso e l’altro più laico, ugualmente reverenti per la morte. Uno a ricordare cristianamente la sacralità dell’evento, l’altro quasi a voler infondere, col contatto, il calore della vita. Qualcuno, infine, se ne stava in silenzio, con lo sguardo fisso e gli occhi lucidi. Nessun applauso a sciupare quel momento solenne, ma un composto contegno nei confronti di quella persona ormai scomparsa, quasi a volerne proteggere il ricordo.
Sono passati tanti anni e la società è cambiata molto negli usi e nei costumi, peccato che in questo caso sia cambiata in peggio, ma il male più grosso è che pochi se ne sono accorti.
Alessandro Orlando