Il Radio “camaleonte”
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26 Luglio 2019Voglio raccontarvi una storia,
Le vicende di un giovane tranquillo, che ha dovuto affrontare le disavventure e gli orrori, comuni a coloro che hanno vissuto gli anni della seconda guerra mondiale.
Una storia conosciuta dai suoi familiari, ma sconosciuta a tanti e che può far capire i pericoli e i disagi di giorni oramai lontani.
Un periodo della nostra storia fatta di paura, coraggio, generosità ma anche di odio e violenza.
È la storia di Francesco Corazza, nato nel 1923 a Roma, ma trasferitosi a Pistoia con la sua famiglia e degli anni tra il 1944 e il 1945.
Un giovane semplice, come tanti coetanei, che, però, in quegli anni difficili e pericolosi si trovò coinvolto in avventure drammatiche, rischiando più volte la vita.
Francesco viveva con la famiglia presso la Stazione Ferroviaria di Valdibrana; qui il padre Germano era Capo Stazione. Aveva un alloggio di servizio nella piccola stazione che condivideva con la moglie Maria Scroccaro e i due figli: Francesco, appunto, e Egizio di nove anni. Tutti i ferrovieri erano stati militarizzati e presso la Stazione vi era un presidio di soldati tedeschi. Per lo più gente tranquilla, che aveva il problema di sfamarsi, a causa delle difficoltà di approvvigionamento. Spesso il pane nero dei militari veniva scambiato con altri prodotti alimentari procurati dalle famiglie dei ferrovieri.
Francesco era di corporatura esile, oltre che di bassa statura, comunque la chiamata al Distretto Militare era arrivata anche per lui. Era tra il 1941 e il 1942. Qui, il primo episodio fortunato; fu fatto rivedibile, non ritenuto idoneo al servizio di leva e rimandato a casa. I suoi compagni e amici partirono in guerra, ma di loro non tornò quasi nessuno, molti furono inviati in Russia e lì vi trovarono sofferenza e morte.
Nel 1944 Francesco aveva 21 anni, lavorava a Pistoia, quale tornitore presso la ditta Mandorli, in via Vergiolesi, (una fabbrica che oggi non esiste più) che operava per importanti commesse dell’arsenale di La Spezia.
Ne 1944, tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile, una mattina, il padre Germano e il suo collega della stazione di Valdibrana, videro transitare dei treni in direzione Nord, carichi di uomini. Tra questi riconobbero molti colleghi ferrovieri. I tedeschi avevano fermato il personale delle Ferrovie degli uffici di Firenze, addetti alla gestione dei biglietti e degli approvvigionamenti di materiale per tutta l’Italia, circa 1.500 persone. Erano stati caricati sui treni e diretti in Germania, per lavorare nelle fabbriche tedesche.
Alla vista di questa situazione, Germano e il suo collega, decisero di fuggire immediatamente per evitare la sorte dei propri colleghi.
Presero le rispettive famiglie e iniziò, così, una fuga senza una meta. Le due famiglie trovarono rifugio in località Corsini, sopra Candeglia, presso una famiglia di amici. Qui furono accolti e nascosti. Per timore, il giorno si nascondevano nelle fosse dei campi e solo la sera rientravano presso la famiglia che li ospitava. Furono ricercati accanitamente da uno dei soldati tedeschi che apparteneva al presidio presente presso la Stazione di Valdibrana, aiutato da un ferroviere fascista. Se li avessero trovati, sarebbero stati fucilati. In queste ricerche, una volta arrivarono vicino ai fuggitivi, a poco meno di centro metri, chiedendo informazioni e presentandosi come amici. Fortunatamente una persona interpellata comprese l’inganno e dette loro indicazioni errate, allontanandoli dal rifugio e salvandoli.
Nel mese di maggio, furono messi in atto dei rastrellamenti da parte dei tedeschi anche nella zona dove si erano nascosti, per impiegare uomini nei lavori. Mentre gli altri fuggiaschi riuscirono a nascondersi, Francesco fu preso e insieme ad altre migliaia di persone furono radunati in Piazza D’Armi a Pistoia, da qui, in una fila interminabile furono portati a lavorare sulla Linea Gotica.
Francesco per circa tre mesi lavorò a San Mommé, nella realizzazione di trincee e di altre postazioni difensive. In quel periodo godette anche di un giorno di licenza al mese e venne accompagnato da un giovane soldato tedesco, fino alla casa dove si trovavano i suoi genitori. In queste occasioni il militare, senza far domande, mangiava con tutta la famiglia di Francesco, era un momento di normalità anche per il soldato. In quei giorni difficili i bambini avevano un ruolo importante, come il fratello Egizio, di solo nove anni, che si poteva spostare senza destare sospetti, per cercare cibo e tabacco.
Successivamente il giovane fu trasferito a Porretta e da qui i suoi non ebbero più occasione di avere notizie.
Francesco era preoccupato e temeva un nuovo trasferimento, questa volta verso la Germania. Un giorno, nel corso degli spostamenti per il lavoro, a Porretta incontrò un appartenente all’Esercito della Repubblica Sociale, che aveva conosciuto a Valdibrana, tale Alfredo, che svolgeva la funzione di interprete con i militari Germanici. Questa persona fu subito cordiale con il giovane e dopo pochi giorni, tra i due si creò un rapporto di simpatia. Gli propose di fuggire quanto prima. L’interprete era bene informato su quello che organizzavano le truppe occupanti. Francesco, pur con timore, accettò la proposta di fuga. Solo dopo seppe che Alfredo era un partigiano infiltrato.
Un mattino, il giovane pistoiese, fu avvicinato dall’interprete; questi sapeva dove, il giorno successivo, sarebbe stato portato a lavorare insieme ad altri prigionieri: Le indicazioni che ebbe erano molto chiare. In un punto preciso del bosco avrebbe dovuto chiedere, alla scorta tedesca, di spostarsi tra gli alberi per un bisogno fisiologico e da lì gettarsi in un fosso non lontano. Francesco preparò le poche cose che potevano servirgli per la fuga e le nascose al meglio su di sé. L’ansia e la paura aumentavano con il passare delle ore. Quella mattina seguì le indicazioni che aveva avuto; tutto andò bene e trovato il fosso, vi si gettò. Con sua grande sorpresa lì vi erano due partigiani che lo attendevano e lo portarono in salvo.
Per una seconda volta, con questa fuga, aveva evitato la prigionia, rischi di rappresaglie e un trasferimento in Germania, pieno di incognite.
I partigiani lo accompagnarono in una grotta nella zona di Riola, sulle montagne e qui rimase nascosto, sopravvivendo mangiando pane e formaggio, che gli veniva donato dai pastori. Le giornate non passavano facilmente, doveva essere molto cauto negli spostamenti. La solitudine nella grotta, la precarietà per procurarsi da mangiare, il pericolo di essere scoperto, la voglia di avere notizie della famiglia e di ricongiungersi a loro, scandivano le ore del giorno e della notte su quelle montagne.
Una mattina presto si alzò e andò a lavarsi in un fosso dove scorreva dell’acqua. Improvvisamente sentì delle urla e degli spari. Preso dalla paura, si gettò a terra e rimase nascosto nel fossato per molto tempo. Se scoperto la sua sorte sarebbe stata morte certa. Le grida si avvicinavano e si allontanavano e con esse la paura e il terrore di essere scoperto. Dopo molte ore, quando tutti i rumori furono cessati, decise di tornare alla grotta. Qui aveva lasciato, appesi ad asciugare, l’unico paia di pantaloni di ricambio che aveva. I pantaloni erano bucati dalle pallottole del mitra che aveva sentito sparare. Ancora una volta la morte era passata molto vicino e solo un caso lo aveva salvato.
Solo tempo dopo, seppe che in quei giorni era stata compiuta la strage di Marzabotto e in altre zone della montagna bolognese erano stati compiuti rastrellamenti con crudeli rappresaglie e massacri.
Nel Settembre del 1944 Pistoia fu liberata dalle truppe alleate e, tra queste, i reparti Neozelandesi.
La famiglia di Francesco rientrò, così, alla Stazione di Valdibrana. Per i ferrovieri, con la linea interrotta, vi era solo un lavoro burocratico.
Anche Francesco, non senza rischi, e con l’aiuto di varie persone, riuscì a rientrare presso la famiglia nell’inverno del 1944.
Le sue avventure non erano terminate però. Il risentimento verso le truppe germaniche e l’esigenza di impegnarsi lo portarono ad una scelta importante e spontanea, come tanti altri giovani. Si presentò alle truppe Americane per arruolarsi negli ausiliari.
Presso la Villa Philipson, sulle colline nei pressi di Pistoia, il Generale Clark aveva installato il suo comando. Qui il giovane fu preso in forza tra le truppe che si occupavano di logistica e in particolare della installazione delle tende per i soldati. Iniziò così un nuovo periodo di vita per Francesco, al seguito delle truppe Americane, impegnate nel trasporto dei materiali e in particolare a disposizione del Generale Clark.
Sfondata, finalmente, la linea Gotica, l’esercito Alleato arrivò a Milano nel giugno del 1945. Nell’estate di quell’anno le truppe ausiliare furono congedate e finalmente Francesco fece ritorno a Pistoia dalla sua famiglia.
I tempi della guerra, delle privazioni e delle avventure erano passati.
Francesco riprese prima il suo lavoro di tornitore e, successivamente, dopo varie esperienze aprì una propria attività. Si sposò, ma nel 1980, a solo 57 anni, un tumore, lo ha portato via.
Il ricordo della sua storia, certamente non comune, densa di avvenimenti e di voglia di vivere arriva a noi grazie ai ricordi del fratello Egizio.
Ci viene consegnata come memoria del nostro paese e delle vicende drammatiche vissute da una generazione.
Maurizio Gori