
“CARTA” la prima edizione a Forte dei Marmi
22 Giugno 2019
Ecologia, ambiente, lavoro, territorio: convivenze difficili, ma non impossibili
24 Giugno 2019Barbiana non è un paese, non è nemmeno un villaggio. Barbiana è una chiesa con la canonica e un piccolo cimitero. Le case, una ventina in tutto, sono sparse nel bosco e nei campi circostanti, isolate tra loro.
In questi giorni sono salito nuovamente su, da qualche anno lo faccio regolarmente quando si avvicina l’anniversario della morte di Don Lorenzo Milani, il 26 giugno. È un appuntamento fisso. I motivi sono diversi. A volte chiedo al Priore un consiglio, altre mi faccio aiutare in qualche scelta, altre ancora semplicemente per sentirlo vicino e parlare con lui dell’anno che è passato. Questa volta, visto anche che siamo nel periodo delle prove di maturità, la ragione è stata quella di parlare un po’ di scuola.
Come sempre mi sono tolto la giacca e la cravatta per salire a Barbiana. È un comportamento, quando vado a trovare il Priore, che seguo rigorosamente. Quel prete, considerato da tutti una persona scomoda, aveva in uggia qualsiasi etichetta.
Il sentiero è in discesa, poi pianeggiante e poi leggermente in salita ed ecco, come per incanto, appaiono la Chiesa, la canonica e poco più avanti, scendendo nuovamente, il piccolo cimitero dove è sepolto Don Lorenzo.
Sono arrivato che stava calando la sera e cominciava a fare un po’ fresco. “Ciao Priore – gli ho detto – come va? Sai di questi tempi sono un po’ triste perché penso spesso a come va il mondo e a come, insieme al mondo, è cambiata anche la scuola da quando la facevi tu. Però, sai Priore, mi consola il fatto che ci sono tantissimi insegnanti che con grande impegno e professionalità, in condizioni impossibili e con retribuzioni che nulla hanno di europeo, la scuola la mandano avanti ogni giorno, tutti i giorni dell’anno. E vogliono bene ai bambini e agli studenti, li fanno crescere, li istruiscono, valorizzano il loro operato e li formano perché possano avere speranze per il futuro.”
Penso a questo mentre sono di fronte alla tomba di Don Lorenzo. Poco più in là riposano la governante Eda con la mamma Giulia che i ragazzi chiamavano “nonna” e Michele Gesualdi, uno dei primi sei allievi della Scuola di Barbiana. La tomba del Priore è semplice, scarna, di marmo bianco. Un mazzo di fiori fresco, messo da poco. Forse è stato uno dei suoi ragazzi che è venuto a trovare il Priore. Uno di quei figli di contadini per i quali aveva speso la sua vita di educatore e di sacerdote. Mi risuona nella mente una delle più belle frasi che abbia mai pronunciato: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze…”
Il silenzio sovrasta, però se tendo l’orecchio sento le voci di Francuccio, di Michele, che ho conosciuto tardi e che se n’è andato troppo presto ma con il quale, fortunatamente, ho avuto modo di parlare molto di Don Lorenzo, di Mauro, di Edoardo, di Gostino, di Carla, di Lucianino, quello del ponticello nel bosco. Voci, tante voci gioiose e in sottofondo, più pacata e con il suo inconfondibile accento toscano, mi immagino quella del Priore che spiega un articolo di giornale e lo commenta con i ragazzi. Le voci e la parola. Anni interi spesi a predicare ai propri ragazzi l’importanza delle parole. Parole che servono a convincere, a spiegare, a condividere, ad amare. Adesso no, adesso manca il tempo, la pazienza e la capacità di ascoltarli. Prevale l’ossessione di finire i programmi e i rapporti sulle valutazioni si impongono su di una considerazione attenta e responsabile del vissuto di ognuno. La storia di ogni bambino è diversa e diversi sono i suoi punti di partenza. La scuola attuale è una scuola che corre senza freno e che adduce come giustificazione ai propri errori la continua ricerca di innovazione seguendo riforme e metodi che, nonostante mi sforzi, non mi sento di condividere. Il rinnovamento non può e non deve essere il comune denominatore per affrontare i tanti problemi della scuola. Una scuola lasciata al buon senso di migliaia di docenti che, dopo anni e anni di messa alla prova, ancora fortunatamente non si vogliono arrendere.
Il dire e non dire, il fare e disfare, il tornare e ritornare sulle proprie posizioni, rimpallandosi problemi e questioni, non porta da nessuna parte. È un dato di fatto che gli ultimi cambiamenti del sistema scolastico, colmo di promesse non mantenute, tagli e revisioni continue, hanno reso l’attività degli insegnanti una cosa difficilissima. Formazione, Educazione e Cultura sono silenti, come sospese, in attesa di una svolta che non arriva mai.
In un mondo globalizzato nel quale la cultura dell’inclusione dovrebbe crescere giorno per giorno, la scuola italiana rischia di diventare, se non l’ha già fatto, il primo livello di discriminazione sociale senza che possa garantire a tutti in ugual misura il diritto all’apprendimento. La scuola primaria non è esente da questi problemi anzi…
Hai voglia di inserire insegnanti di sostegno, che spesso arrivano verso la fine del primo bimestre, un solo insegnante con una classe sempre più multietnica, strapiena di scolari, alcuni con problemi comportamentali non sempre riconosciuti e la riduzione continua di risorse, non può garantire a tutti lo stesso traguardo.
Come sempre chi ne soffre di più è il debole, l’ultimo, chi non ha punti di riferimento. Le riforme passate sono nate già sconfitte. La scuola italiana anziché essere una fabbrica di futuro per le giovani generazioni, assomiglia sempre di più a una terra di missione. Una terra inospitale dove molti docenti e moltissimi dirigenti scolastici si attengono scrupolosamente a rendicontare risultati e numeri a loro imposti da ordini che arrivano dall’alto, perdendo il vero senso dell’insegnamento, che è anche condivisione di un lavoro comune necessario per il raggiungimento di un qualsiasi traguardo educativo.
Mi domando come sia possibile valutare il profitto per mezzo di asettici calcoli percentuali come se la persona da giudicare fosse un pezzo di legno accatastato insieme a tanti altri.
È una corsa quotidiana per tappare buchi e spezzoni. Manca la compresenza, i supplenti, la flessibilità, i sostegni. Spesso non ci sono strutture adeguate, non sempre ci sono laboratori e le classi sono sovraffollate. Scelte poco lungimiranti, quasi sempre di natura politica, hanno ridotto la scuola ad essere un soggetto senz’anima nella quale gli insegnanti, nonostante abbiano pochi mezzi e poche risorse alle quali attingere, continuano a fondere il proprio lavoro con i dettami della loro coscienza.
Si è fatto quasi buio e il silenzio dei boschi mugellani pesantemente mi avvolge. È calato ormai da tempo il sole. Riesco a vedere a malapena la catena dell’Appennino, immaginando la valle della Sieve e l’altro fianco del monte Giovi.
Mi muovo circondato dalla bellezza della natura ed appare ai miei occhi l’essenza delle cose semplici, la loro importanza, l’attimo da cogliere, il segno nascosto da scorgere, lo scatto inatteso ma costante della vita che scorre. Scopro in questo silenzio il dono delle parole, quelle parole tante care al Priore, la loro importanza, da dove vengono, dove si dirigono, cosa costruiscono, come si formano e come formano chi le sa usare. La loro bellezza.
Prima di voltarmi lancio un bacio e con la mano un ultimo saluto, mi devo affrettare verso la macchina se voglio arrivare alla statale prima che scenda la notte.
Continuo a riflettere.
La mia lunga frequentazione dei luoghi del Priore riporta alla mente l’astrolabio costruito dai ragazzi, la piccola piscina in cemento, i tavoli consunti, la lavagna, le panche, le sedie, diverse l’una dall’altra, diverse come lo erano i ragazzi, uniti solo dal fatto che erano figli di contadini.
Poi rivedo una tavoletta di legno. Una tavoletta di circa 40 centimetri per 25 sulla quale di colore rosso c’è scritto “I care”. Se ne sta là inchiodata su di una porta bianca dell’aula che serviva anche da laboratorio, vicina alla cucina. È qualcosa di semplice ma racchiude in sé una forza straordinaria. È un invito a resistere, ad andare avanti, a sperare, a condividere e a credere che il ruolo dell’insegnante possa essere determinante per cambiare un sistema.
Continuare ad essere, prima che educatori, missionari in una terra che apre le porte al domani. “Un domani nel quale – come diceva il Priore di Barbiana – l’unico vero rimorso della scuola e della famiglia, ma innanzitutto della nostra società, sarà per i ragazzi che avremo perso”.
Alessandro Orlando
- …non è nemmeno un villaggio…
- I tavoli e le sedie
- L’Astrolabio
- La cucina
- Don Lorenzo con i ragazzi
- …mi interessa…..
- La piscina