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11 Giugno 2019
Evgenija Gutnova
14 Giugno 2019La notte tra il 23 e il 24 giugno, è forse la notte più incredibile e magica dell’anno. E’ detta la notte di San Giovanni, secondo il calendario liturgico vi si celebra San Giovanni Battista, ma anche “notte di mezza-estate”, su questa tematica Shakespeare ha scritto un suo noto racconto, dove, il drammaturgo, affronta due temi: La Magia e il Sogno. La Magia intesa come “Amore” che con il suo potere riesce a risolvere ogni cosa.
È anche la notte del solstizio d’estate. La parola solstizio (nel gergo astronomico) identifica il giorno in cui il sole raggiunge la massima distanza dall’Equatore e ciò avviene all’inizio dell’estate quando il sole determina il giorno più lungo dell’anno. Il trionfo della luce sulle tenebre.
L’estate ha sempre rappresentato la Vita e il suo solstizio il culmine, dove si raccolgono frutti degli sforzi intrapresi.
In questo periodo dell’anno, i Druidi, gli antichi egizi, i Maja, i romani e molti altri, nei secoli, hanno costruito dei luoghi sacri, allineati al solstizio d’estate in cui venivano condotte delle cerimonie rituali. La notte di San Giovanni è anche celebre e resa ancor più magica dai suoi mille fuochi, tradizione antichissima tramandata dai Fenici che adoravano il dio Moloch. A Roma in particolare si celebrava la festa di Vestalia, con la guardia del fuoco sacro.
I fuochi di San Giovanni hanno radici profonde anche nella tradizione contadina. Trovarsi intorno ad un fuoco in quella notte era un momento importante per la comunità. Oltre a essere un rito propiziatorio per i raccolti, il fuoco metaforicamente riusciva a contrastare il male del mondo. I fuochi e i falò si accendevano negli incroci e nei campi e diventavano gli artefici dell’amicizia con la cerimonia del salto, tenendosi per mano e saltando tre volte il falò le persone sancivano i rapporti tra uomo e donna per tutta la vita, o la mattina dopo le persone giravano tre volte intorno le ceneri e se le passavano sui capelli e sul corpo per scacciare i mali. Al fuoco veniva attribuita una funzione catartica, era il mezzo con cui l’uomo esprimeva il suo bisogno di dominare le forze della natura ed esorcizzare l’ignoto. La luce che vince le tenebre.
Nella notte di San Giovanni, la rugiada che inumidisce i prati acquista miracolose facoltà rigenerative e rotolarsi nell’erba bagnata renderà il fisico sano vigoroso e attraente. Giovani donne vi si rotolavano se desideravano avere molti figli. Bagnarsi gli occhi con la rugiada manteneva la vista buona. Venivano stese delle lenzuola sull’erba per raccoglierla ed era miracolosa per guarire dai reumatismi. Durante questa notte si raccolgono le noci acerbe per metterle sotto alcool e farne il famoso liquore nocino. Le lumache, in questa notte assumevano un significato particolare, cucinarle e mangiarle avrebbero preservato dalla sfortuna e dal malocchio.
La tradizione vuole, che in questa notte si possano raccogliere le nove erbe magiche: a mezzanotte si raccoglie un rametto di Felce e lo si costudisce in casa per aumentare i guadagni. L’ Iperico, scacciadiavoli anti-malocchio, i suoi petali rossi erano ritenuti pregni del sangue del santo. L’Artemisia (Assenzio volgare) consacrata a Diana-Artemide. La Verbena, simbolo di pace e solidarietà. La Ruta, detta anche erba allegra perché era ritenuta potentissima contro la tristezza e l’ipocondria ed era anche un efficace talismano contro il maligno. L’Aglio, pianta che protegge dalle creature malefiche. Il nome in sanscrito significa infatti “uccisore di mostri”. L’Agnocasto, strofinato sulla pelle, esercita una forte repulsione sui serpenti e in tutte le bestie che mordono ed ha proprietà antiafrodisiache. La Lavanda, la sua spiga è considerata un amuleto che protegge da disgrazie, ossessioni e demoni ed è anche propiziatoria di prosperità e fecondità. Infine la Ginestra, era utilizzata nei riti funebri come pianta magica che aiutava l’anima nel viaggio verso l’aldilà. Sparsa come fertilizzante sui terreni sterili richiamando emblematicamente la nuova vita che nasce dalla morte.
La notte delle Streghe
Si riteneva che la notte di San Giovanni le streghe si riunissero e vagassero per le campagne alla ricerca di erbe che, come abbiamo letto sopra, raccolte in questa notte hanno un potere particolare e tutte le loro proprietà vengono esaltate al massimo potenziale.
Il mito della strega è secolare, e giunge sino a noi, nella forma che ci è data dalla tradizione popolare, essere soprannaturale o donna reale dotata di poteri straordinari, che pratica la magia nera e dirige i suoi eccezionali poteri a danno di altre persone. Prima del XII sec. Si distingueva tra persone umane dedite alla magia nera (malocchio, sortilegi, filtri, ecc..) e le “strigae”, entità soprannaturali in grado di volare compiere metamorfosi, capaci di rapire e divorare bambini. Solo dopo questo periodo nelle credenze popolari si andavano fondendosi queste due categorie di esseri ovvero, si iniziava a non distinguere più tra persone umane dedite alla magia nera, e gli esseri demoniaci di cui esse si servivano per attuare i loro sortilegi.
Nel dialetto beneventano non esiste la strega, ma la janara. È con tale nome infatti che indica la donna, che possiede poteri magici, conosce le virtù delle erbe, pratica alcune pratiche mediche.
La figura della Janara appartiene al patrimonio folclorico, la strega invece è una figura letteraria costruita in età classica e moderna, con caratteristiche ben consolidate, grazie agli scritti di esponenti della cultura clericale dal Medioevo in poi.
STREGA etimologicamente deriva da “stryx, strige, uccello notturno” che si riteneva succhiasse il sangue dei bambini nella culla e stillasse nelle loro labbra il proprio latte avvelenato. Era ritenuta una specie di Arpia, di vampiro, per tali caratteristiche il nome “strega” ha indicato le donne credute responsabili di aborti e infanticidi. Alla costruzione dotta del personaggio della strega concorrono vari elementi: la componente culturale classica, che parte da un culto di Diana-Ecate-Iside, divinità femminili che avevano rapporti profondi con la magia. La componente culturale clericale elabora i materiali folclorici attribuendo ad essi un valore negativo. Tutto ciò che non è culto cristiano degenera nell’eresia, perché solo Dio è buono. Ogni altra forma di religiosità sottende la presenza del diavolo. In questa visione la strega è l’opposto della Madonna, che è vergine e madre; la strega invece è lussuriosa e sterile, minaccia la capacità riproduttiva che infiacchisce con le sue arti, perciò è nemica dell’intero genere umano. Questa somma di credenze fu elaborata nel corso dei secoli, a partire da quel triste trattato che fu il “Malleus Maleficarum” (Il martello delle malefiche). Esso era un manuale per il perfetto inquisitore, che insegnava a riconoscere, interrogare e torturare una strega, sventando le numerose malizie di cui questa serva del diavolo era capace.
La Janara invece è una figura della tradizione popolare. Come tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente: positivo e negativo. Conosce i rimedi per le malattie attraverso la manipolazione delle erbe, ma sa scatenare tempeste.
Nella credenza popolare non si associa la janara al diavolo, ella non ha valenze religiose, ma solo magiche, come l’Uria (spirito protettore del focolare domestico), la Manalonga (una divinità femminile che se ti affacciavi ad un pozzo lei ti acchiappava e ti tirava giù), le Fate, (figure fantastiche un po’ capricciose che avevano poteri sulle forze della natura). Appartiene cioè ad un universo estraneo a quello umano e per questo temibile ed incomprensibile come tutto ciò che è diverso.
L’etimologia per il termine janara metteva in connessione tale nome con il latino “ianua” = porta, in quanto essa è insidiatrice di porte, per introdursi nelle case. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva a entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile fertile a quello femminile e sterile della janara, i grani di sale sono portatori di vita, poiché un’antica etimologia connette “sal” con “salus” (la dea della salute).
Janara o dianaria, aggettivo che deriva da “Diana” equivalente a “seguace di Diana”. L’antichissima divinità italica, dea federale dei Sanniti e protettrice della plebes romana, è chiamata da Cicerone dea della caccia, della luna e degli incantesimi notturni.
Sempre nel beneventano si diffuse la credenza che la notte di San Giovanni, come nella tedesca notte di Valpurga, (che si svolge la notte del 30 aprile e il primo di maggio) tutte le streghe esistenti si riunissero in un sabba sotto un albero di noce sulle sponde del fiume Sabato per venerare il demonio, di cui erano figlie, sotto forma di cane o caprone. Aggressive e acide, andavano a giro nude e avevano un aspetto mostruoso, queste riuscivano a volare grazie ad un balsamo particolare, un unguento composto da grasso vegetale, belladonna, stramonio, giusquiamo, cicuta e mandragora. Si pensava che provassero piacere nel cercare di soffocare i giovani durante il sonno, sdraiandosi letteralmente sul loro petto, da questo molti giovanotti si svegliavano di soprassalto accusando una difficoltà di respirazione e di pesantezza sul corpo.
Di sicura stirpe sannita era il vescovo San Barbato, colui che, ordinò l’abbattimento del noce. Nell’incavo del suo tronco si trovarono ancora scheletri di bambini e animali sacrificati, ma le sue radici sopravvissero, e diedero continuità al mito delle streghe di Benevento.
(Ricerca letteraria condotta da Amerigo Folchi)