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29 Maggio 2019Ingannevole è il titolo più di ogni altra cosa. Perdonatemi questa parafrasi del film diretto dalla nostrana Asia Argento e passato, con scalpore, proprio al Festival francese nel 2004 ma qualcuno potrebbe credere che chi scrive, i film vincitori a Cannes 2019 li abbia visti e che il ragionamento parta da questo presupposto. Non è così. Non ero sulla Costa Azzurra a pazientare in fila per entrare in sala ma molto più sommessamente mi trovavo nella grigia e piovosa Montecatini Terme (Pistoia) a raccogliere i preziosi assaggi festivalieri composti da “Dolor y gloria” di Almodovar e “Il traditore” di Marco Bellocchio.
Questo però non mi impedisce di poter ragionare un po’ sui titoli che hanno portato a casa un premio nella serata finale e che fortunatamente (questa è la cosa importante) potremo vedere tutti sui nostri schermi. Da dove partire dunque? La scelta più semplice è dal film di Almodovar perché è l’unico abbiamo già potuto ammirare in Italia, incoronato per la magistrale interpretazione di Antonio Banderas. Diciamolo, nessuno può negare l’intensità emotiva condensata nel personaggio di Salvador Mallo, ufficialmente alter ego del regista. Per l’amato mugnaio del Mulino Bianco che conosce Almodovar almeno dal 1982, l’anno di “Labirinto di passioni”, non è stato ragionevolmente difficile calarsi nel personaggio, riuscendo così a cogliere lo spirito più intimo dell’autore de La Mancia.
Proseguendo la carrellata ci spostiamo sul vincitore assoluto di questa edizione. È “Gisaengchung”, film dell’acclamato regista internazionale Bong Joon-ho, mix insolito di commedia e thriller che strizza l’occhio al cinema del nostro Pier Paolo Pasolini e al suo controverso “Teorema”. Curiosamente però non è l’unico riferimento italiano. L’altro e ancora più esplicito è infatti l’inserimento di “In ginocchio da te” nella sequenza finale. Credeteci o meno ma ora la neo-Palma d’Oro ha un unico sogno: conoscere finalmente Gianni Morandi che, a sua volta, si è detto sorpreso della presenza di questo suo pezzo nel film e speranzoso di essere invitato a cantare in Corea del Sud, patria del regista. Il film uscirà in Italia il prossimo autunno con il titolo internazionale “Parasite”, distribuito dalla genovese Academy Two che ha coraggiosamente scommesso sull’opera di Joon-ho ancora prima che ricevesse l’ambito riconoscimento.
“Secondo posto” con il Grand Premio della Giuria per “Atlantique” che aggiorna e amplifica lo spunto su cui si basava “Atlantiques”, cortometraggio del 2009 sempre diretto da Mati Diop. Il tema centrale è quello dei migranti e questo film si segnala anche per un piccolo ma significativo record: è il primo presentato in concorso al festival diretto da una donna di colore. In questo caso i diritti sono di Netflix, quindi lo si vedrà solo su piccolo schermo, salvo una breve distribuzione limitata in qualche sala.
Ex-equo va invece il Premio della Giuria a “Les Misérables” e a “Bacurau”. Il primo ruota intorno ad un banale episodio che però fa esplodere la tensione nel quartiere francese di Montfermeil (la stessa città dove è ambientato il romanzo omonimo di Victor Hugo) sorvegliato a vista dalla polizia. Anche questo lungometraggio è basato su un corto omonimo, ispirato in quel caso alle rivolte delle banlieu parigine nel 2005 e lo vedremo durante l’anno in corso, ancora però con una distribuzione da definire.
Il secondo film, “Bacurau”, è una produzione franco/brasiliana che ci fa volare in un piccolo paese immaginario nello stato sudamericano (Bacurau, appunto) dimenticato dal mondo e in cui la violenza ben presto prende il sopravvento. Una storia i cui colori e toni sono apparentati con l’apocalittico “Mad Max: Fury Road” di George Miller e la promessa, da quanto si intuisce, è quella di un viaggio cinematografico piuttosto adrenalinico. Anche questo, ancora senza una distribuzione ufficiale, è destinato ad arrivare sicuramente sui nostri schermi.
Premio per la regia per gli amatissimi (sulla Croisette) fratelli Dardenne, il cui “Le jeune Ahmed” ci mette faccia a faccia con il fascino del radicalismo islamico e le sue conseguenze irreversibili. Nelle sale italiane sarà portato da Bim ed è pronosticatile che lo vedremo fra Ottobre e Novembre 2019, classica vetrina temporale per i film autoriali.
Chiudiamo con “Portrait de la jeune fille en feu” di Céline Sciamma (premio per la miglior sceneggiatura) che parte come “Lezioni di Piano” e finisce come un inno femminista di libertà e “It must be Heaven” di Elia Suleiman (menzione speciale della giuria), commedia palestinese sul significato di casa che sarà distribuito sempre dalla lungimirante e sopracitata Academy Two.
Come interpretare questo palmares che si mostrerà pienamente sotto i nostri occhi nei prossimi mesi? Sicuramente ne esce un quadro composito e complesso che però sembra volerci stimolare su temi precisi e sempre attuali come quelli delle differenze di classe sociali e sul desiderio di ribaltare l’ordine tradizionale. Storie di disgraziati, emarginati ai confini del mondo che in questo pianeta (ri)cercano la loro identità e un posto dove poter stare in pace. Ogni mezzo, poco importa quale, è giustificato per poter ottenere questi obiettivi, che sia nella messa in scena dei ricordi di infanzia (“Dolor y Gloria”) o in una machiavellica strategia per poter prendere possesso di privilegi fino a quel momento negati (“Parasite”). “Misérables” in subbuglio e paesani pronti a rivendicare la propria esistenza e identità (“Bacurau”); storie di invasori e invasi, definiti da labili differenze reciproche.
Curiosi? Non resta che appuntarsi questi titoli e aspettarli alla loro uscita. Sarà sicuramente un’occasione per riparlarne ancora.
Stefano Cavalli