Buscetta. L’uomo che tradì la mafia.
È successo, ad un certo punto della proiezione de “Il Traditore”, che mi sono sentito schiacciato dalla potenza delle immagini e dei suoi interpreti. È quando il maxiprocesso entra nel vivo, quando nel confronto, Tommaso Buscetta (Pierfrancesco Favino), il traditore, e Giuseppe “Pippo” Calò (Fabrizio Ferracane) si trovano faccia a faccia; un passaggio che ricalca in maniera sorprendentemente aderente la realtà di come andarono le cose e in cui la mano di Bellocchio regista si fa invisibile, lasciando le luci della ribalta a due attori di straordinaria bravura. Momenti di rara bellezza cinematografica, in cui la tensione di quegli attimi è restituita e amplificata come soltanto la Settima Arte al suo meglio sa fare, frammenti di una confessione che sbugiarda e mette in imbarazzo coloro che sono chiamati a rispondere al banco degli imputati. “La mafia è finita” dirà più avanti, sempre in quel processo storico, Tommaso Buscetta a Salvatore “Totò” Riina. Il “boss dei due mondi” contro “il capo dei capi”. “Il traditore” contro “il tradito”. Ma chi è chi?
Perché per Buscetta, nel film di Bellocchio come nella realtà, il vero traditore non era lui che, estradato dal Brasile, raccontò al giudice Giovanni Falcone di Cosa Nostra e della sua struttura gerarchica. I veri traditori erano gli altri, Giuseppe Calò, Toto Riina e tutti i Corleonesi che avevano trasformato la Mafia in un’organizzazione sanguinaria che non si faceva scrupoli ad ammazzare anche i bambini. Lui, Buscetta, “uomo d’onore”, era cresciuto e credeva in una Mafia che aveva a cuore gli ultimi, poveri cristi dimenticati da uno Stato oppressore. È per questo che Buscetta, “l’infame”, ora parlava e si lasciava andare davanti ai giudici come un fiume in piena.
Non è dato sapere, con assoluta certezza, se per “Don Masino” (suo altro soprannome) non ci fosse anche un desiderio di vendetta contro chi, volendo prendere il sopravvento nell’organizzazione, gli aveva ammazzato undici parenti, ma su questo, né Bellocchio, né gli sceneggiatori (tra cui i bravissimi Francesco Piccolo e Ludovica Rampoldi), prendono posizione precisa, sfumando i contorni di una persona(lità) estremamente complessa. Ed è proprio questa capacità di regalarci un ritratto del genere che rende, assieme a tutto il resto, questo film, un grandissimo film. Pierfrancesco Favino, probabilmente nel ruolo della vita, è straordinario e non c’è nessuna valida ragione per la quale possiate perdervelo (in sala).
Stefano Cavalli