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7 Giugno 2019Se passate dal centro di Pistoia, fate un salto in via Carducci dove, poco prima dell’incrocio con via del T, troverete lo studio artistico di Giusi Bartolini. Non potete sbagliarvi, dato che la prima cosa che attraverso la grande vetrina vedrete, saranno, esposte in bella mostra, le sue coloratissime opere. E non abbiate timore; entrate a curiosare, ci troverete tantissime cose interessanti, ma soprattutto troverete lui (o meglio, lei): il nostro coccodrillo con i capelli neri.
È ovvio che scherzo – rispetto al coccodrillo – ma per capirne appieno il senso, seguitemi in questa chiacchierata con l’artista pistoiese Giusi Bartolini.
Giusi, parlaci un poco di te pittrice.
È una domanda difficile alla quale dover rispondere con poche parole. Diciamo che sin da piccola io sentivo di dover dipingere. Però poi, come spesso accade, la vita sceglie diversamente. Ho fatto prima il liceo classico, poi mi sono laureata in Scienze Politiche, con tesi in Storia dell’Europa Orientale e infine ho iniziato a lavorare, cosa che faccio ormai da ventidue anni, in un istituto bancario. Quindi, come vedi, niente di particolarmente “artistico”. Però, “dentro”, ho sempre sentito che quella non era la mia unica strada, che comunque in qualche modo andavo cercando. Da ragazzina ci provavo realizzando dei disegni per mia madre che era insegnante e che lei utilizzava per le sue lezioni, e poi “massacrando”, bonariamente si intende, tutti i malcapitati che mi capitavano a tiro ai quali facevo delle buffissime caricature. E ti assicuro che era difficile sfuggirmi (mi dice ridendo soprattutto con gli occhi). Fino a quando una sera di qualche anno fa, parlando con un amico musicista – aggiungo che sono una grandissima appassionata di musica classica e di arte in generale – questi, anche abbastanza bruscamente, forse stanco di sentirmi parlare di cosa avrei veramente voluto essere, non mi ha “invitato” a comprarmi pennelli e colori provando così a trasformare in fatti le parole.
Quindi quelle parole sono state l’inizio?
Esatto. Invece che comprare pennelli e colori, ho però iniziato con l’acquistare dei pennarelli speciali – quelli usati per i fumetti manga – con i quali ho realizzato una serie di illustrazioni che hanno poi fatto parte della mia prima mostra. In contemporanea, prendendo a modello il gatto nero di un amico compositore, ho creato il personaggio di Swrap the Cat, un gatto direttore d’orchestra che passa il suo tempo a combinare dei guai. A lui ho affiancato un coccodrillo, Crack the Crock, con una bocca esageratamente piena di denti, e una “donnina” con i capelli neri tagliati a caschetto – e qui ogni riferimento a me non è per niente casuale, dato che entrambi sono la mia rappresentazione. Eravamo nel 2011 e quei fumetti pubblicati sulle pagine di facebook hanno sin da subito attirato una grandissima attenzione, tanto che, grazie all’interessamento di una famosa pianista – Leonora Baldelli – rimasta favorevolmente colpita dalle mie strisce, nel 2013 sono stata invitata dall’Amministrazione Comunale di Citerna (Perugia n.d.r.), a partecipare con 40 mie opere a una rassegna dal titolo “E se le donne…”, dove il mio gatto musicista ottenne un grande successo. Ecco, diciamo che tutto è iniziato così.
E poi? Ovviamente non ti sei fermata qua.
No, tutt’altro. Quello è stato l’inizio; poi, sempre grazie ai social nei quali continuavo a mostrare, oltre al gatto e ai suoi due amici, anche altre mie opere, sono stata invitata da varie gallerie d’arte a fare delle mie personali e dalla scrittrice pistoiese, Laura Vignali, a realizzare alcune vignette per un suo libro giallo edito da Edizioni Atelier a seguito del quale è iniziata una bella collaborazione con l’amica giallista.
Tutto facile quindi?
Tutt’altro, purtroppo faccio piuttosto fatica a lavorare su progetti non ideati da me e devo ammettere di non sentirmi perfettamente a mio agio nel realizzare opere su commissione. È anche per questo motivo che dopo le prime realizzazioni ho iniziato a lavorare soltanto su cose mie, affinando l’esperienza su tutta una serie di tecniche, dalla pittura acrilica, ai pastelli morbidi, al collage spaziano, al collage ed alle bombolette spray, non disdegnando di sperimentare qualche strana vernice o resina particolare trovata magari da Brico o in qualche mesticheria specializzata in hobbistica o decoupage. E con le bombolette, a parte l’odore da carrozzeria che riempie tutto l’atelier e che mi resta addosso, tanto che mio marito mi dice spesso che prima o poi se ne tornerà a Sesto Fiorentino, penso di aver trovato il modo di esprimermi che in questo momento più mi si addice. Tra l’altro io non amo le cornici e i vetri a corredo delle opere, e per questo motivo utilizzo delle tele con un bordo alto che, una volta dipinto, continua a mostrare l’opera anche sui quattro lati.
E qual è la tua sensazione rispetto al gradimento del pubblico?
Una volta aperto l’atelier e dopo aver cominciato a ricevere le prime visite, ho preso atto della diversità dei gusti di chi entrava, ma anche dell’apprezzamento per i miei “quadri fumetto”. Io li chiamo così perché nelle mie tele quasi sempre unisco quelle che sono le mie passioni: la musica lirica, il Giappone, la Russia o comunque l’oriente e naturalmente Swrap the Cat e i suoi amici. Si tratta di tele o cartoni dove vengono rappresentate scene di opere liriche o balletti classici che hanno però come protagonisti i miei personaggi.
Fin qui la Giusi artista. Tu però fai anche qualcosa di profondamente diverso, perché ufficialmente sei una bancaria. Come si conciliano la professione con la passione?
Sono oggettivamente due mondi lontani, però il fatto di avere alle spalle una sicurezza economica, che non dipende dalla mia arte, mi rende molto più serena e libera di lasciare spazio alla fantasia e alla passione, cosa che sicuramente sarebbe più difficile se avessi l’urgenza di trarne un ritorno commerciale.
Giusi artista, Giusi bancaria, ma anche donna che è stata alle prese con grossi problemi di salute. Te la senti di parlarcene? E quanto aiuta in una esperienza per certi versi tragica come è stata la tua, avere, oltre naturalmente agli affetti familiari, una qualsiasi passione?
Se è vera passione è la chiave di tutto, perché sono convinta che in certi momenti serve una motivazione per andare avanti. Quando ho seriamente temuto che non mi restassero più di due anni di vita, io ho subito pensato, oltre ovviamente a stare con i miei cari, a fare tutto quanto avevo sino a quel momento soltanto “sfiorato”. Leggere le montagne di libri che ho in casa, ascoltare finalmente i mie CD che compro in maniera compulsiva ma che poi per motivi di tempo spesso non ascolto, e infine dipingere per pura passione tutti i quadri pensati e ancora non realizzati. Ti sembrerà strano ma durante il sonno dell’anestesia ho avuto la sensazione di sognare dei bei progetti per nuovi quadri, che naturalmente ho poi subito realizzato. La prima cosa che ho fatto poi, a due giorni dalle dimissioni dall’ospedale, è stata precipitarmi al teatro alla Scala di Milano per assistere all’opera Chovanscina di Musorgskij, una delle mie opere preferite.
Essere lì quel giorno era proprio necessario?
Sì, perché ero assolutamente determinata a valorizzare al massimo tutto il tempo che mi sarebbe rimasto a disposizione cogliendo tutte le occasioni che avrebbero potuto non ripresentarsi mai più’. La musica classica e l’opera sono poi il “carburante ” della mia arte perché mi evocano le idee migliori.
Scusa se ti interrompo, ma credo che a questo punto avremo indubbiamente stimolato nei nostri lettori la curiosità di sapere come si è evoluta la tua vicenda. In pochissime parole puoi rassicurarli dicendo che è tutto risolto?
Certamente, l’esito dell’esame istologico, dopo circa un mese, ha rovesciato la diagnosi infausta che pareva scontata al momento dell’intervento e così oggi posso dire di essere guarita e di stare bene.
Cosa si prova davanti a quanto ti è capitato?
Una gioia enorme, è evidente. Per me e per chi, come mio marito e mia madre mi sono sempre stati vicinissimi. Alla fine resta però anche uno strano senso di sbigottimento rispetto a questa situazione quasi che fosse stato tutto un tragico scherzo. «Ma come?» mi sono chiesta. «Non è vero niente? Non devo più morire così presto?». E allora scatta la decisione di far sì che questa esperienza sia di stimolo per cambiare alcune cose, cercando finalmente di dare priorità ai miei veri interessi.
E quindi? Come ci si riesce? La incalzo, curioso di sapere come si supera una prova così terribile.
Cercando di coglierne il lato positivo: comprendere davvero come improvvisamente il nostro tempo possa finire, deve spingerci a cercare di valorizzarlo al massimo. Ho compreso che tutto quello che avevo fatto fino a quel momento non era tutto quello che avrei potuto fare e adesso, trovandomi di nuovo un’aspettativa di vita senza una vera scadenza, ho deciso di tener conto di questa lezione e di impegnarmi al massimo nei miei futuri progetti, soprattutto in campo artistico.
Ammetto che non mi era mai capitato prima di affrontare un tema simile, e devo convenire che difficilmente di fronte a fatti quali quello di cui mi parla Giusi si è in grado di dire qualcosa che non siano le solite banalità. Tanto più che lei racconta di ciò che le è capitato con una forza e una chiarezza che sembrano rendere i fatti molto meno dolorosi rispetto a quanto è lecito immaginarsi che invece siano. Ed è anche per questo, che preferisco riportare la nostra chiacchierata su posizioni più… “semplici”.
Quando sono entrato nel tuo studio, ho incontrato tua madre, che mi hai detto essere sin da subito una tua convinta sostenitrice, tanto che è stata lei a spingerti a realizzare l’atelier. Ma tu hai anche un marito, che, oltre ad aver vissuto tutto il tuo dramma, ha visto anche con il tempo trasformarsi in un’artista la donna che aveva al fianco. Parlami un poco di lui.
È una persona fantastica. Un “buono”, come si dice. Ha accolto tutto con estrema pazienza e disponibilità, tranne forse una volta, quando, dato che io dipingevo dappertutto – allora lo facevo in casa nostra – ebbi la malaugurata idea di farlo sul letto, finendo per rovesciarci un grosso barattolo di vernice nera. «Basta» sbottò. «Io torno a casa mia, a Sesto Fiorentino» mi minacciò, senza ovviamente farlo. È un grosso aiuto per me, perché è paziente, mi asseconda in tutto ed è contento di quanto faccio. E poi, dato che parla benissimo tre lingue ed è un esperto di informatica, lui è anche quello che cura le mie pagine social.
Parliamo adesso delle tue tele e dei tuoi tre personaggi. Mi hai detto che spesso vi trasporti quella che è la tua grande passione, vale a dire il mondo della musica classica e dell’opera lirica.
Fondamentalmente quei personaggi che appaiono in quasi tutte le mie realizzazioni, vale a dire il gatto Swrap the Cat e gli altri due, il coccodrillo Crack the Crock e la donnina di nome Giusi con la bocca strapiena di denti al pari del coccodrillo, creati per far parte di un fumetto, hanno finito per diventare una parte integrante anche dei miei lavori su tela. Almeno uno di loro è “reale”, vale a dire esiste un vero gatto nero al quale mi sono ispirata, e come ti ho già detto è il gatto del mio amico compositore. Gli altri sono di mia invenzione ma sono due figure da sempre, chissà mai perché, accostate alla mia figura. In particolare il coccodrillo però è un soggetto che ben si presta, per la sua conformazione fisica, a diventare un personaggio buffo, nonostante sia un animale decisamente pericoloso. Per farlo basta metterlo – diciamo dipingerlo – in piedi. Diventa lungo lungo, con delle gambette cortissime e un muso altrettanto lungo. Ed ecco che a esempio vestito da ballerina in un quadro che si rifà ai balletti classici diventa un elemento dirompente. Oppure travestito da albero di Natale o in mille altre situazioni che riesco a inventare per lui finisce sempre per trovare il suo spazio giusto. Il terzetto descritto si presta poi benissimo a raffigurare scene ispirate alle opere liriche dove spesso ci sono due protagonisti “buoni”, il soprano ed il tenore, ed il baritono che invece fa la parte del “cattivo”.
Quindi l’idea è rendere meno seria una materia già di per sé piuttosto seriosa, introducendo degli elementi che potrebbero far benissimo parte di una favola?
Esatto, è proprio questo il concetto. Io ho avuto anche delle esperienze di insegnamento musicale con i bambini ed ho capito che con un approccio giocoso si riesce a creare interesse verso qualunque cosa. L’approccio sorridente alla cultura e all’arte è una necessità che deriva proprio dal mio carattere. Dietro ai miei quadri di ispirazione musicale, anche se spesso hanno come protagonisti i buffi personaggi citati, c’è pero un grosso lavoro di studio e di ricerca perché voglio che la loro ambientazione sia assolutamente coerente con le scene come vengono rappresentate in teatro. Ultimamente mi sto dedicando anche a lavori di altro tipo, come i soggetti floreali che io chiamo ” Nature quasi morte” ma anche qui devo sempre cercare di introdurre qualche elemento di ironia e di leggerezza.
Giusi e il Giappone e Giusi e l’oriente. Perché?
In parte per via della mia laurea, ma onestamente perché amo moltissimo le opere che parlano di luoghi, personaggi e ambienti giapponesi, russi o comunque orientali. Così come amo i colori dell’arte e dell’artigianato di quei luoghi. E poi devi ammettere che una scena della Butterfly nella quale al posto di Pinkerton o della protagonista troviamo i miei personaggi assume una veste decisamente particolare.
Guardandomi attorno però vedo anche tele nelle quali i tre sono scomparsi. È difficile rinunciare a qualcosa che rappresenta te stessa?
Sì, ammetto che lo è, ma è un processo di crescita. Ed è difficile lasciarle fuori perché le tre figure diventano quasi una sorta di alibi; maschere dietro le quali posso comodamente nascondermi.
Siamo quasi in fondo alla nostra chiacchierata. Giusi i tuoi progetti futuri?
Ho davanti a me una bellissima pagina bianca tutta da scrivere, rappresentata dai sei mesi di aspettativa che mi sono concessa dal lavoro di banca. E dato che ancora sto metabolizzando quanto mi è accaduto, quest’arco di tempo che mi pare enorme sarà per me un’ulteriore occasione di scoperta. Vedremo di quante cose riuscirò a riempirlo. Diciamo che questa ritrovata disponibilità del mio tempo mi procura una piacevole sensazione di incertezza. Comunque per parlare di cose pratiche ho in cantiere una prossima mostra della quale ancora devo definire i dettagli e voglio continuare nell’opera di promozione dei miei lavori che assieme a mio marito sto portando avanti. E, proprio per dare vita a un sogno che ho sempre avuto, vorrei finalmente poter fare, nel prossimo autunno, un viaggio in Giappone.
Quindi non è sbagliato dire che la malattia ha risvegliato il desiderio di fare veramente quello che spesso rimane relegato nei sogni?
Mi ha fatto capire che se è possibile non si deve aspettare. Il domani potresti non averlo e allora bisogna approfittare al massimo del presente.
Chiudiamo questa intervista con le mie due domande classiche racchiuse in una: avevi un sogno nel cassetto? E se sì, lo hai realizzato?
Diciamo che come obbiettivo di minima il mio sogno l’ho raggiunto. A un certo punto della vita ho avuto il coraggio di definirmi un’artista e sono contenta di aver avuto occasione di dimostrare che lo sono nei fatti.
Mi induci però a farti una nuova domanda. Come ci si convince di essere qualcosa di diverso da quanto si è dimostrato nel corso di una vita lavorativa?
Nel mio caso è accaduto il contrario. Io sono sempre stata sicura fino da bambina, che questa fosse la mia vera natura. Fino a qualche anno fa è mancato soltanto il coraggio di tirarla fuori e renderla pubblica. Forse per il contesto sociale nel quale ti trovi inserita, soprattutto per quanto riguarda il lavoro e le abitudini, ma anche e soprattutto credo per le proprie insicurezze. Però il coraggio alla fine bisogna trovarlo.
Il tuo messaggio finale a chi ci leggerà?
Tentate subito di realizzarvi in quello che desiderate; non aspettate, perché spesso i problemi che ci poniamo sono soltanto degli alibi che ci creiamo per impedirci di metterci in gioco. E questo per la paura di fallire.
Grazie Giusi per il tempo che mi hai concesso, e ammetto che parlare con te e i tuoi tre “compari” è stato un vero piacere. Non immaginavo che un coccodrillo, sia pure con i capelli neri, potesse nascondere tante sorprese.
Enrico Miniati