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23 Maggio 2019
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24 Maggio 2019Correva l’anno 1969 e, precisamente il 21 luglio, milioni di persone in tutto il mondo avevano un occhio rivolto al televisore e l’altro al cielo. Il motivo era semplice quanto straordinario: tre uomini, tre astronauti americani, stavano portando a compimento una delle più incredibili missioni della storia dell’umanità, lo sbarco sulla Luna. All’epoca il sottoscritto non era nemmeno nella mente dei suoi genitori (che, invero, ancora non si conoscevano) e nel mondo che mi si apriva davanti all’inizio degli anni ’80, quell’evento era già un fatto di cronaca in bianco e nero, impresso nella memoria collettiva del nostro Paese con le parole del telecronista sportivo Tito Stagno. Il futuro, ancora da scrivere, portava i colori caldi delle “Guerre Stellari” di George Lucas e quelli sgargianti di un “Ritorno al Futuro”; proprio il film diretto da Robert Zemeckis sembrava il traguardo più prossimo della nostra generazione, il domani a cui aspirare, quello in cui una volta diventati adulti avremmo viaggiato su macchine volanti e i nostri figli si sarebbero spostati su skateboard a propulsione, sospesi a mezzo metro da terra.
Ma se i nostri padri avevano visto l’immaginazione in celluloide prendere forma in maniera sorprendentemente rapida (“2001: Odissea nello spazio” usciva appena un anno prima dell’allunaggio), noi eravamo destinati a restare delusi, come elettori traditi dalle promesse dei propri politici. Il 2000 non sarebbe stato come ce lo avevano raccontato e le battaglie spaziali a suon di spada laser sono, ancora, quanto di più lontano si può immaginare.
È partendo da questa doverosa premessa che vi parlo di “The Mars Generation”, uscito in sordina due anni fa su Netflix, diretto da Michael Barnett e presentato pubblicamente a Pistoia alla Biblioteca S. Giorgio lo scorso 21 Marzo 2019, alla presenza dello sceneggiatore Michael Mahaffie, per celebrare i 50 anni dallo sbarco sulla Luna. Di cosa si tratta? Di un documentario che racconta l’addestramento di un gruppo di adolescenti americani durante lo Space Camp, che si svolge da anni allo U.S. Space & Rocket Center di Huntsville in Alabama e che li prepara ad una missione destinata a scrivere il futuro il della loro generazione: lo sbarco su Marte. Missione (im)possibile? Stando alle parole degli intervistati non è semplice farsi un’idea, perché al netto dell’entusiasmo di alcuni, ce ne sono altri che, molto più realisticamente, fanno un po’ di conti e guardando in faccia ad una società, dopo il sostanziale fallimento del progetto Shuttle, poco interessata a investire nel settore delle grandi imprese spaziali. Ma alla fine tutti, nel doc, hanno le facce convinte di chi ce la farà.
Il lavoro messo in piedi da Barnett e Mahaffie è molto bello e, alternando immagini dallo Space Camp a quelle storiche delle missioni della NASA, riesce nel tentativo di ricostruire un discorso tra presente e futuro dei viaggi oltre l’atmosfera che non vuole interrompersi. Detto questo, il punto è se veramente quella generazione di giovanissimi (parliamo di ragazzi e ragazze tra i 15 e i 18 anni circa) riuscirà davvero a portarci lassù, dove mai nessun umano è volato se non con l’immaginazione di tanti film dedicati al Pianeta Rosso. A margine dell’incontro lo sceneggiatore mi ha confessato che “arriveremo su Marte negli anni ’30 di questo secolo” e mi ha fatto il nome dell’imprenditore dell’”impossibile” Elon Musk. L’ho guardato con il sorriso disilluso di chi ha visto il proprio futuro diverso da come gli era stato “promesso”. Mentre scrivo questo articolo, però, lo sguardo mi cade su una compilation di Chuck Berry. La realtà dice che è lui l’autore di “Johnny B. Goode”, l’immaginazione che è un certo Marty McFly, il ragazzo che veniva dal futuro. E io, oggi, voglio credere a questa seconda versione, al sorriso entusiasta di quei ragazzi e a chi dice che tutto andrà esattamente come mi stanno raccontando.
Stefano Cavalli
- Biblioteca San Giorgio- Mahaffie