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17 Maggio 2019
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2 Giugno 2019Leonardo rappresenta oggi l’archetipo dello scienziato e, come abbiamo approfondito nel articolo del 2 maggio 2019, egli attraverso l’ osservazione della natura e il rigore del metodo sperimentale che un secolo dopo Galileo teorizzerà, il tutto coadiuvato da una fervida fantasia, ha spaziato nella conoscenza e nelle applicazioni del mondo allora conosciuto anticipando di secoli il futuro dell’uomo moderno; questo tanto è più vero per una scienza che ancora oggi ha molto da essere esplorata: La Geologia. Ma come puntualizza Giuseppe De Lorenzo nel suo trattato “Leonardo da Vinci e la Geologia”(1920)e riporta il poster del convegno tenutosi a Firenze lo scorso 2 maggio, Leonardo da Vinci non ha fondato la scienza “Geologia”: i rivolgimenti della crosta terrestre, le rocce e i fossili, l azione dell’acqua, il moto del pianeta terra e del sole, il corso della luna, erano stati oggetto di tentativi di comprensione sino dall’epoca greco Ellenistica (Anassagora, Teofrato), poi filtrati dal dogmatismo della religione cristiana erano ancora presenti all’ epoca del grande scienziato. Ma Leonardo è uomo scettico verso la religione e ai dogmi che questa impone; il pianeta terra non è la creazione di un essere divino e i fossili non sono il prodotto di un immane diluvio universale:
“della stoltitia e semplicità di quelli che vogliono che tali animali fussi in tali lochi, distanti dai mari, portati dal Diluvio. Come altra setta d’ignoranti affermano la natura o i cieli averli in tali lochi creati per infrussi celesti” (Codice Leicester, f. 10r).
Inoltre Leonardo da Vinci è ignaro delle nozioni scientifiche del mondo antico, non conosce i suoi predecessori poiché la sua formazione, viste le umili origini, non passa da precettori che insegnano greco e latino; egli si definiva “omo sanza lettere” e in qual che modo si compiaceva di tale affermazione ma forse, in cuor suo, se ne dispiaceva. Ed allora più che in altri ambiti si può ammirarne le osservazioni profonde, la rigorosità del processo mentale e il suo genio. Leonardo, nei numerosi fogli che compongono i suoi manoscritti, esprime una serie di concetti, di intuizioni, anche spesso e volentieri ripetute che vanno dai dubbi della costituzione dei fossili come prodotto del diluvio universale, che ha depositato resti di conchiglie (che egli definisce “nicchi”) in cima ai monti alla descrizione delle pieghe degli strati che costituiscono i rilievi; analizza l’importanza delle piogge e le relazioni che queste hanno con le sorgenti, i fiumi e le aree sotterranee. Sempre osservando il suo ambiente natio ci descrive il passaggio dalle dimensioni maggiori a quelle minori dei sedimenti, dai ciottoli alle sabbie a alle argille, da monte a valle sino ai mari:
“Il fiume (che esce dai monti, pone gran quantità di sassi grossi nel suo ghiareto, i quali sassi sono ancora con parte dei suoi angoli e lati; e nel processo del corso conduce pietre minori con angoli più consumati, cioè le gran pietre fa minori; e più oltre pone ghiaia grossa, e poi minuta…” (Cfr. Madrid II, f. 23r).
Descrive quindi la cementazione della ghiaia e della arenaria a formare le masse rocciose che poi verranno sfruttate per la costruzione dei palazzi e delle chiese della città di Firenze e della Toscana. Nella analisi del percorso delle acque non può esimersi dallo studiare i processi di erosione dei rilievi e riconosce le stratificazioni uguali nei due fianchi di una valle incisa da un fiume. Quindi con le proprie capacità Leonardo osserva e spiega la costituzione geomorfologica dell’ambiente ma, e questo è un suo limite, non riesce a comprendere i motivi della formazione delle catene montuose, non inserisce nella sua disamina quelle forze endogene interne alla terra che sono il motore del pianeta:
Li monti son fatti da li corsi dei fiumi, li monti son disfati dalle piogge e dalli fiumi”.
Leonardo individua anche una analogia tra il corpo umano, il funzionamento dei suoi sistemi e la terra e i suoi processi naturali: come l’uomo ha il suo apparato cardiocircolatorio di vene e arterie cosi i fiumi lo sono per il nostro pianeta, il respiro del pianeta è il riflusso delle maree, l’anima sono i fuochi e le manifestazioni geotermiche: come l’uomo il nostro pianeta non è mai uguale a se stesso e muta continuamente. Questo continuo mutarsi del mondo, questo fluire delle cose ha sempre interessato Leonardo, ritroviamo questo pensiero anche negli scritti relativi allo studio dell’acqua, non solo come agente modellatore dei rilievi montuosi ma anche come fenomeno naturale in sé stesso con le sue volute le sue forme:
L’acqua che tocchi de’ fiumi, è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene: cosi è il tempo presente”.
Ed ecco che nel foglio di Leicester descrive i luoghi in cui è nato:
”dove le vallate non ricievono le acque salse del mare quivi i nicchi mai non si vidono; come manifesto si vede nella gran valle dell’Arno, disopra alla Gonfolina, sasso per antico unito con Monte Albano in forma d’altissimo argine, tenea ringorgato tal fiume in modo che prima che versassi nel mare componea due grandi laghi, de’ quali il primo è dove oggi si vede fruire la città di Firenze insieme con Prato e Pistoia, e Monte Albano seguiva il resto dell’argine insin dove oggi è posto Serravalle; del Valdarno di sopra, insino Arezzo, si creava un secondo lago, il quale nell’antidetto lago versava le sue acque” (Codice Leicester, f. 9r).
Quivi progetta opere idrauliche, idea la canalizzazione dell’Arno tra Firenze e Livorno soffermandosi sui fossili e sui terreni, ricostruendo un quadro geologico-geomorfologico di tutto il Valdarno e dell’Appennino settentrionale.
E come se non bastasse Leonardo ebbe a interessarsi di geologia applicata cioè di quella attività anche ingegneristica che studia le problematiche pratiche dell’uomo nella sua interazione con l’ambiente che lo circonda, comprende i relativi fenomeni geologici e trova la soluzione:
all’inizio del ‘400 a Firenze i frati francescani ricevettero in donazione dei terreni ed una piccola cappella sulle pendici settentrionali del Monte alle Croci, sul lato che, da Sud, guarda la città (piazzale Michelangelo, per intenderci). Si attivarono subito per ricavarne una chiesa e un convento dedicato a San Salvatore; ma già dai primi momenti della sua edificazione si registrarono episodi di instabilità della collina e conseguenti lesioni alle strutture in costruzione; per tutto il secolo successivo i frati si adoperarono per concludere i lavori e nel contempo tentare una ristrutturazione delle aree lesionate fino a che, nel 1499, il convento crollò, la chiesa subì danni notevoli e anche il campanile non fu risparmiato; prospiciente la base collinare dei Magnoli, sul lungarno Torrigiani fa mostra di sé il palazzo Capponi alle Rovinate (o delle Rovinate) costruito nello stesso periodo, nella prima metà del 400, il cui toponimo ancora oggi ricorda la frequenza degli smottamenti dell’area. Fu un vero e proprio disastro tanto che l’Arte di Calimala (la potente corporazione fiorentina dei mercanti tessili) si affrettò a nominare una commissione per lo studio del problema e l’individuazione delle possibili soluzioni. Essa era composta da un gruppo di insigni rappresentanti, tra gli altri, Giuliano da Sangallo, Jacopo del Pollaiolo e il “nostro” Leonardo da Vinci; tutti concordarono che l’ affluire copioso delle acque era una delle cause dei movimenti franosi della area e quindi dei problemi strutturali della chiesa, (…..“leverebbe l acque”; …… “leverebbe l acque e incatenerebbe la struttura”) ma ancora una volta colui che effettuò una disamina serrata della problematica e delineo le potenziali soluzioni in modo indiscutibile per la Chiesa di San Salvadore dell’osservanza oggi chiamata S. Francesco a’ Monte fu Leonardo da Vinci:
“quanto a’ S. Salvadore, et a’ rimedi di quello secondo ha dato il disegno e per quello si vede dà mancamenti dell’edifitij, e dall’acque, che vanno tra’ falde delle pietre in sino dove si fanno i mattoni, e quivi in parte sono tagliate le falde, e quella parte dell’edifitio, dove sono tagliate le falde, et il mancamento, e che rifendendo, e tagliando le falde si rimetterebbe. E tener nete le fogne”.
I dissesti della collina del Monte alle Croci erano infatti causati da due fattori principali: il primo era la presenza di cave di argilla ai piedi del versante, argilla che serviva per produrre laterizi nella fabbrica di mattoni ubicata nell’odierna via della Fornace (“in sino dove si fanno i mattoni”); al prelievo di materiale argilloso che scalzava gli strati alla base della collina si sommava la dispersione delle acque reflue delle fogne la cui manutenzione era pressoché inesistente.
La soluzione quindi era chiudere le cave, risistemare (“rifendendo”) il pendio, e manutenere (“nete”) le fogne……
Purtroppo “Nemo est profeta in patria”: Leonardo non fu ascoltato e i problemi di instabilità della chiesa e del convento San Salvatore non sono mai stati completamente risolti, anche se alcune modifiche nei successivi secoli (!!!) hanno prodotto un miglioramento della situazione; ma ancora oggi l’area è monitorata in tempo reale dall’università di Firenze con una rete di sensori con interconnessione wireless (termometrici, pluviometrici, misuratori di umidità e speciali dispositivi per la misura della velocità delle frane chiamati estensimetri).
Renato Vagaggini