
Rivelazioni inedite di un giornalista su Carlo Levi “ un Torinese del Sud”
7 Maggio 2019
Giusi Bartolini, un coccodrillo con i capelli neri.
24 Maggio 2019Giuseppe Golisano un personaggio dalle mille anime nel campo dell’arte teatrale.
Conosco Giuseppe Golisano da molto tempo per aver condiviso con lui una piccola parte del mio ormai lontano periodo lavorativo. E lo ricordo con piacere per le sue indiscutibili capacità relazionali e per la passione che metteva in quella che era la sua principale attività, vale a dirsi occuparsi di una infinita serie di iniziative di socializzazione dedicate agli anziani. Ammetto però di non aver mai saputo cogliere e seguire quelle che erano le sue vere passioni.
Ed oggi, che in una veste completamente diversa da quella di un tempo, cerco con le mie interviste di dare corpo e vita ai personaggi che incontro, scopro con curiosità e con una buona dose di sorpresa la vera dimensione di Giuseppe.
E se avrete la voglia e la pazienza di seguirmi, vedrete che andremo alla scoperta di un personaggio veramente unico.
Chi è Giuseppe Golisano? – inizio l’intervista nel modo più classico.
Sul piano strettamente personale mi considero un immigrato – risponde sorridendo, facendo percepire in modo chiarissimo l’orgoglio neanche troppo nascosto per le sue origini. – perché sono arrivato qua dalla Sicilia circa cinquanta anni fa. E ammetto di essermi trovato sin da subito benissimo, riuscendo in breve tempo a trovare un’opportunità di lavoro e a costruirmi tutto attorno una serie di relazioni, anche affettive, che hanno ovviamente facilitato il mio inserimento nel tessuto cittadino. Molto lo devo ovviamente al lavoro che da “quasi sempre” porto avanti nell’Amministrazione Comunale pistoiese; come moltissimo lo devo a quella che è la mia grande passione, il teatro, che sin dal momento del mio arrivo in città ho potuto coltivare grazie a un gruppo teatrale – Gruppo Teatro Giovani – che si formò all’interno della Casa del Popolo di Bottegone, per poi trasformarsi una quindicina d’anni dopo nell’associazione culturale Zona Teatro Libero, ancor oggi esistente. Ed è ovvio che, pur svolgendo il mio lavoro con estrema attenzione, quello che più parla di me è proprio la parte dedicata al teatro.
Parlami dell’inizio di questa tua avventura in quello che era un qualcosa di sperimentale ed è successivamente diventato un’importantissima realtà nel campo culturale cittadino e non solo.
Fu quello un periodo caratterizzato da un’apertura totale, nella quale non facevamo ovviamente il teatro con la T maiuscola, ma andavamo invece alla ricerca di un qualcosa di minore, che fosse però inclusivo, partecipativo, mai escludente. Diciamo che lo scopo primario era quello di attrarre verso il teatro; far partecipare anche chi ne era del tutto estraneo e far conoscere un mezzo diverso pieno di potenzialità relazionali e comunicative. Insomma, un modo per passare il tempo in maniera diversa da quelli che erano i canoni abituali. E devo ammettere che è stata quella un’esperienza eccezionale, cresciuta nel tempo, e che ci ha portati oggi a essere la voce principale all’interno di un concorso teatrale amatoriale tra i più importanti che ci siano a livello nazionale, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione del pubblico, dato che oggi attrarre spettatori è purtroppo da considerarsi quasi la parte più complicata del fare teatro.
Come lo spieghi questo fatto che è purtroppo incontrovertibile?
Sappiamo bene che le iniziative, a qualsiasi livello, sono migliaia, mentre invece la platea degli interessati resta sempre la stessa in termini numerici. Quindi una possibile soluzione è creare un nucleo di spettatori fidelizzati, come noi abbiamo da anni, i quali, ovviamente in virtù di un’offerta valida, sono in grado di veicolare verso il teatro anche coloro che ne erano rimasti lontani. Rispetto invece al come ci siamo riusciti, sono convinto che ha dato i suoi frutti la scelta da noi fatta nel 2014 di diventare in qualche modo più selettivi, affrontando l’avventura di cimentarci in un tipo di teatro in grado di dare una vera risposta – per primo a noi stessi – rispetto a quello che eravamo in grado di fare e dare, iniziando a partecipare ai vari concorsi sul territorio nazionale, così da confrontarci con le altre compagnie amatoriali. E devo dire che quasi ovunque ci siamo presentati abbiamo riscosso un successo importante. E questo ci ha confermato due cose: che avevamo fatto bene a iniziare includendo nel nostro gruppo tutti coloro che desideravano farne parte – il tempo e la passione hanno poi fatto la cernita – e che stiamo lavorando altrettanto bene adesso che ci poniamo l’obbiettivo di dedicarci a qualcosa di un livello diverso da quanto facevamo all’inizio.
Avete, o avete avuto un repertorio base?
No, facevamo decisamente di tutto, dal cabaret agli spettacoli per bambini, dalle pantomime agli spettacoli classici. Magari posso aggiungere che quello che ci ha contraddistinto e che ancora è ben presente, è il fatto che nei nostri lavori il “fattore sociale” ha sempre avuto una parte di rilievo, così come, specialmente nei nostri primi anni, un ruolo importante lo ha avuto quello che era il “teatro politico”.
Chi scriveva i testi o la trama di quello che andavate a rappresentare?
Quasi sempre è stato un compito affidato a me, anche se da qualche tempo sto cercando di passare la mano a chi nel frattempo è maturato, dato che con il trascorrere degli anni si corre il rischio di diventare ripetitivi.
Torniamo per un istante indietro, perché vorrei che tu mi togliessi una curiosità. Tu ti sei occupato, oltre che di tutto quanto hai sinora raccontato, anche, di un qualcosa di apparentemente diverso: la socializzazione nel mondo degli anziani. Esiste un punto di contatto tra queste due realtà?
Sono due cose simili, dato che più o meno hanno le stesse modalità di realizzazione e visto che entrambe si prefiggono lo scopo di tentare di offrire il meglio sul piano dell’intrattenimento, del piacere di stare assieme, di regalare un momento di svago e di cultura. Cambia chiaramente la forma, ma il risultato per me è molto simile, perché scopo ultimo resta sempre quello di includere e incontrare la gente. E per quanto attiene nello specifico al mio impegno personale, ho sempre perseguito il fine di non fare per me ma per gli altri ai quali sto dando un servizio. Aggiungo che il buon rapporto e il tentare di capire le persone, chiunque siano, quali siano le loro storie e quali i loro problemi, oltre che servirmi ovviamente nel mio lavoro istituzionale, è stata una cosa che spesso ho provato a rappresentare nei miei lavori teatrali. Questo perché ritengo che in ogni rapporto umano mai debba esserci aridità o semplice senso del dover fare, anche se quanto stai in quel momento facendo è “soltanto” un lavoro. Moltissimo deve essere basato sulla voglia di comunicare, capire, stare assieme.
Parliamo adesso della tua passione per il teatro.
Quella c’è sempre stata, – afferma con sicurezza – pensa che io sono partito dalla mia Sicilia essenzialmente per fare l’artista dato che da anni facevo cabaret e mi cimentavo nelle prime esperienze di spettacolo. Per poter ambire a qualcosa di diverso, magari a livello professionale, avrei però dovuto trasferirmi in altre realtà più votate a questo genere, tipo Roma o Milano; solo che mi ero ormai talmente radicato in città che ho deciso di non stravolgere quella che era la mia vita, il mio desiderio di famiglia, i rapporti che ero riuscito con il tempo a costruirmi. E così eccomi qua con il mio bagaglio di esperienze. Con il senno di poi si potrebbe pensare che forse avrei dovuto tentare, dato che quello era un periodo nel quale, grazie anche alla nascita delle varie tv cosiddette “libere”, le opportunità sembravano non mancare, ma dato che non esiste riprova, è inutile stare a rimpiangere una scelta che comunque per me ha rappresentato soprattutto la famiglia. Magari mi rendo conto che spesso mi accade di notare che alcune delle cose che ho poi rivisto in televisione proposte anche da personaggi famosi, io le avevo già scritte diversi anni prima. Comunque, anche se non è diventata una professione, è stata ed è tuttora una parte importantissima della mia vita che mi ha permesso di esprimere attraverso il teatro quella che era la mia passione.
Hai fatto sempre soltanto teatro o hai provato anche con il cinema?
Principalmente teatro, dato che a livello amatoriale il cinema ha dei metodi operativi, ritmi esecutivi e soprattutto costi di realizzazione decisamente diversi dal teatro. Qualcosa però ho fatto anche in questo campo.
E che ricordo ne hai?
Ride beato tornando a pensare a quei momenti, prima di dirmi che: è stato molto ma molto difficoltoso, partendo dal fatto che, come lo ero io, anche gli attori non erano dei professionisti e per questo difficilmente riuscivamo a conciliare le esigenze tecniche di ripresa con la totale presenza di tutti i soggetti necessari per girare le varie scene. Però anche questa è un’esperienza che mi porto dentro e che mi è servita per il mio impegno in teatro.
Rientriamo nel campo che vedo tu prediligi, il teatro. Nella tua ultradecennale esperienza immagino che di “compagni di viaggio” ne avrai avuti moltissimi.
Molti veramente. E con estremo piacere ho visto diversi tra quelli con i quali ho fatto una parte di percorso artistico assieme diventare dei professionisti. Attori, doppiatori, registi; in questi anni ne ho conosciuti tanti e forse una parte del loro successo possiamo dire che è dovuta anche all’aver fatto parte della nostra compagnia.
Il tuo ruolo nel teatro è oggi principalmente quello di regista e di direttore artistico. Però hai anche recitato immagino.
Moltissimo. Ti ho già accennato che nasco come attore cabarettistico, e questo è stato il punto di partenza per cimentami poi spessissimo sulle tavole del palcoscenico in moltissimi ruoli totalmente diversi da quel cliché, finendo poi con il tempo per fare oltre che l’attore anche il regista di moltissimi dei nostri spettacoli. Oggi ho smesso di recitare, consapevole che portare avanti due ruoli, oltre che faticoso, è decisamente difficile. Corri il rischio di perdere concentrazione rispetto alla funzione che in quel momento stai svolgendo. Tra l’altro essendo anche autore dei testi, io non scrivevo e non scrivo tuttora i copioni in maniera dettagliata, ma semplicemente butto giù delle tracce che come regista poi sviluppo a mio piacere. Questo ovviamente come attore non è consentito.
Quanto è difficile scrivere?
L’ho sempre fatto e quindi mi viene naturale. E poi anche questo mi piace moltissimo, creare dal nulla o integrare qualcosa che già esiste dà grandi soddisfazioni.
Integrare?
Esatto. A volte mi è capitato di aggiungere a un testo “classico” alcune scene o battute che sentivo essere necessarie per il tipo di regia che stavo realizzando. Ad esempio nell’Uomo dal fiore in bocca… e gli altri di Pirandello, spettacolo che recentemente abbiamo portato a giro per l’Italia, io, diversamente da quanto aveva fatto l’autore, ho fatto parlare due dei suoi personaggi che nel testo originario non pronunciavano battute e ne ho aggiunto un altro assolutamente inventato. E devo dire che persino spettatori amanti del Pirandello classico mi hanno dimostrato il loro gradimento per queste “intrusioni”.
Tutto questo è bellissimo, anche se la trovo un’operazione oltreché difficile, estremamente “pericolosa”. Dar vita, dignità e parola a personaggi che un autore, nel nostro caso un “grandissimo”, ha relegato nel mutismo o in un angolo del testo, mi sembra un atto di grande coraggio.
Hai ragione, però la parola giusta da utilizzare per descrivere la mia operazione, non è “pericolosa”, ma direi piuttosto “coraggiosa”, perché quella aggiunta potrebbe apparire oltreché inopportuna, quasi la dimostrazione di un ego eccessivo da parte di chi vuole mettersi a confronto con autori affermati. Ma la tua è una domanda che anch’io mi sono posto quando ho scritto ciò di cui ti parlavo e per molto tempo quei testi sono rimasti chiusi in un cassetto, sino a quando ho deciso di provare a vedere quali potevano essere le reazioni a questa “intrusione”. E ricordo che al termine di uno spettacolo che facemmo a Montecatini, un professore di Torino, studioso e amante di Pirandello, mi fermò dicendomi di esser venuto pieno di scetticismo ad assistere allo spettacolo, ma di essersi poi completamente ricreduto. L’operazione gli era piaciuta moltissimo. La stessa cosa avvenne poi ad Albano Laziale durante un concorso, e anche allora la nostra esibizione con le integrazioni di cui ti parlavo piacque moltissimo. E grazie anche a questi apprezzamenti ammetto di aver visto svanire in parte la paura e le perplessità sull’operazione che sino ad allora avevo avuto.
Brevemente puoi dirmi di cosa parlano i personaggi prima muti?
Io scrivo ovviamente in italiano, ma qualcuno ha descritto il mio modo di raccontare tipicamente siciliano. E questo è ovvio date le mie origini. Questo fatto, in un’opera come quella di cui stiamo trattando mi ha sicuramente aiutato; inoltre io amo inserire nei miei lavori molto di quanto mi circonda, ho vissuto, ho visto vivere. Perciò quei personaggi rappresentano moltissimo delle vicende o figure reali con le quali ho vissuto: le mie zie ad esempio o fatti realmente avvenuti, logicamente rivisitati in modo diverso. Sono dei monologhi ma di circa dodici minuti e quindi di cose quei personaggi ne hanno dette. E il pubblico li ascolta con attenzione.
Perché si fa spettacolo?
Per la soddisfazione del riuscire, per l’apprezzamento che pubblico e critici ti dimostrano e per quella indubbia dose di egocentrismo che possiede chiunque tenta di fare arte.
Una domanda che recupero da quanto mi hai prima detto: tu nei tuoi testi introduci sempre una parte del tuo vissuto. È veramente così? Quindi fantasia ma anche tanta realtà.
Di solito si parte sempre da un qualcosa di personale. Pensa che il mio primo spettacolo aveva come titolo Emigrazione; emblematico dunque del mio percorso umano e di moltissimi altri immigrati come me. Il secondo I sopravvissuti, era un qualcosa di più politico, ma attualissimo per il periodo in cui l’ho scritto perché parlava di personaggi che si muovevano in uno scenario inventato durante il golpe cileno. E così in quasi tutto ciò che ho scritto e fatto, realtà e fantasia vanno di pari passo. Sostanzialmente direi che si parte sempre con il raccontare pezzi di sé, trasformati poi dalla parte fantastica, perché credo che non si possa esimersi dal farlo. A me capita che proprio mentre scrivo mi si presentino davanti agli occhi spezzoni di vita che sento di dover assolutamente riportare nel testo, esattamente come al momento sto facendo con un’opera nuova che sto scrivendo.
Della quale adesso devi assolutamente parlarmi.
Il titolo dovrebbe essere Amamarea e prende spunto da un lavoro di Tomasi di Lampedusa, Lighea, che volevo portare in scena ma che è decisamente difficile da realizzare. Partendo però da questa idea, piano piano, muovendomi proprio vicino ai temi che lui ha descritto tipo il grande amore o la passione impossibile che non riusciamo neanche a comprendere se sia vera o sia invece soltanto un frutto della mente, ho iniziato a scrivere, mettendo sulla carta moltissimo di me, dei miei momenti vissuti, di ciò che volevo e avrei voluto; dei miei sogni, delle voglie, delle condizioni. Insomma un testo in cui io ci sono completamente pur senza apparire. Il protagonista sarà un vecchio professore – e non a caso lo immagino vecchio, dato che anch’io sono arrivato a una fase della vita nella quale, come immagino succeda a tanti, penso a cosa è stato, a cosa volevo, a cosa vorrò – che cerca questo suo sogno continuo muovendosi lungo una spiaggia aspettando la bassa marea e andando alla ricerca delle cose. Cose del passato ma anche del futuro. E inevitabilmente in un lavoro del genere racconti di te, di quando eri bambino e poi adolescente, di nuovi amori, di antichi, di passioni e di amicizie. Un mondo di vissuto visto con gli occhi di un sogno.
Senti Giuseppe, faccio un passo indietro tornando a quando mi hai detto che per fare il salto verso il professionismo avresti dovuto partire per altri lidi. Ti domando allora com’è Pistoia dal punto di vista culturale?
Pistoia è ricchissima, specialmente sul piano teatrale. Basta citare ad esempio il G.A.D. Ma a Pistoia si può dire che il teatro sia sempre esistito. È una piazza attivissima con tanti gruppi che operano da svariati anni. E, citando il G.A.D., è proprio da quella scuola che sono partiti elementi importantissimi nel settore teatrale e non solo.
Le ultime due domande. La prima: cosa farai da grande?
Principalmente a breve il pensionato – risponde con un franco sorriso stampato sul viso – e poi immagino che grazie anche a questa maggior disponibilità di tempo, continuerò a occuparmi di spettacoli, senza tralasciare la possibilità di fare anche altro. A oggi diciamo che il mio obbiettivo è quello però di coltivare ancora questa mia grande passione che è il teatro.
La seconda domanda è questa: avevi da bambino un sogno nel cassetto?
No – dice senza peraltro dimostrare troppa convinzione e dopo averci pensato sopra un attimo –un vero sogno no, anche se ho sempre avuto questo interesse per il mondo dello spettacolo e dell’arte in generale. E poi far avverare i sogni lo sappiamo entrambi che è quasi sempre impossibile. Diciamo che il dna che mio padre mi ha trasmesso, dato che anche lui è stato un ottimo pittore, mi ha indicato una strada che col tempo è cresciuta sino a diventare una vera e propria passione, che mi ha dato e continua a darmi tantissime soddisfazioni. Quindi, anche se il mio essere attuale non è il risultato finale di un vero e proprio sogno di bambino, posso dire che sono pienamente contento di quanto ho con il tempo realizzato, partendo da quei lontani giorni nei quali guardavo a occhi spalancati mio padre dipingere.
Questo, e ovviamente molto altro ancora, è Giuseppe Golisano.
Enrico Miniati
- Giuseppe Golisano e Alessandro Fedi nella commedia L’avventuriero dell’isola azzurra” del 1983