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7 Maggio 2019Quattro chiacchiere con Francesco Principato, un’autentica promessa nell’arte del muralismo.
Oggi alla biblioteca San Giorgio ho incontrato Francesco Principato, un diciottenne studente pistoiese che ha di recente iniziato un’insolita impresa. Quale? Seguitemi e scopriremo assieme di cosa si tratta. Una premessa è però doverosa.
Solitamente mi capita di intervistare personaggi che hanno alle spalle esperienze, conoscenze, consapevolezze, successi, a volte errori o fallimenti e sui quali in qualche modo ho potuto documentarmi. Con Francesco invece mi trovo “spiazzato”. Non ha un profilo social nel quale “intrufolarsi” per tentare di capire chi sia veramente, e i suoi diciotto anni sono veramente pochi per avere da raccontare un passato “interessante”, e apparentemente altrettanto pochi da far immaginare un presente tale da poterci tirar fuori un’intervista che possa colpire i nostri lettori. Quindi partivo da zero pensando di dovermi inventare le domande facendo affidamento “al mestiere” e invece…
Francesco, dicci qualcosa di te.
Mi guarda senza alcun timore, come se fosse da sempre abituato a parlare di sé e a raccontarsi, e già questo dimostra immediatamente quanto sia forse “più grande” della sua età.
Ho diciotto anni – mi dice con voce sicura – sono di Pistoia e sono al quarto anno del Liceo Artistico dove studio arti figurative di scultura e pittura; e da circa quattro anni mi interesso di graffiti e muralismo.
Graffiti e muralismo… ripeto le sue parole senza ovviamente averne compreso la differenza, mentre ripenso ai soliti luoghi comuni che spesso ci accompagnano quando osserviamo un bello stabile verniciato di fresco sul quale qualcuno nottetempo ha apposto la propria firma sotto forma di un orribile e incomprensibile ghirigoro.
Ma intanto lui, giustamente incurante delle mie perplessità, prosegue nel raccontarsi.
È una passione che ho sviluppato dalla personale ricerca di unire il disegno a supporti sempre più grandi sui quali realizzarlo. Ti spiego meglio. – continua. – Spesso mi accorgevo di disegnare senza però arrivare mai a essere soddisfatto del risultato ottenuto a causa dello spazio limitato sul quale lavoravo. Infine, quando mi sono provato a operare su una parete, ho capito che quella poteva essere la mia dimensione ideale. Ovviamente questo in parte deriva dalla scuola che frequento e da quanto ci insegnano, ma soprattutto dalle mie grandi passioni per il disegno e per il graffito. Unendo e sommando tutte queste cose sono arrivato qua.
E più che lo ascolto, più mi rendo conto di quanto, rispetto a questo ragazzo, io sia del tutto inadatto e impreparato a parlare di questi temi, e quindi… improvviso.
Hai scelto di misurarti sui grandi spazi perché hai bisogno di inserire nelle tue opere tantissimi oggetti/soggetti oppure semplicemente per un discorso legato alla tua idea di pittura?
Decisamente la seconda – risponde senza alcuna esitazione. – Io penso che il muralismo, quale espressione artistica in un mondo nel quale siamo completamente immersi in video arte, fotografie, performance, installazioni, sia la vera continuazione dell’arte figurativa tradizionale come la intendiamo noi; e questo perché richiede tecnica, tanto studio e non può essere fatto con risultati apprezzabili da chiunque. Inoltre, essendo prevalentemente fatta da noi giovani, sono convinto che non abbia nessun limite al proprio messaggio. C’è chi la usa per schierarsi politicamente e chi invece per farne denuncia sociale. In ogni caso è un qualcosa di super attuale che unisce il bisogno di saper fare al voler dire. In più, a differenza di quanto è tradizione, risulta fruibile da chiunque dato che spessissimo è un’opera realizzata in spazi aperti e non occorre essere degli esperti per darne una valutazione, basta guardare.
Le tue ultime parole mi fanno venire in mente però che, come tutti possono guardarle, esiste anche la possibilità che vengano danneggiate con relativa facilità.
Sì ovviamente, ma questo sta alla realtà nel quale sono inserite e naturalmente anche questa possibilità viene messa nel conto dall’artista. Quel che però resta importante è proprio il fatto che un opera come quella di cui parliamo risulta comunque fruibile a tutti. Riguardo al problema che sollevavi personalmente credo che anche questo aspetto sia il bello del muralismo. Io cerco di fare delle cose belle, non lavorando sul significato delle immagini o sul loro concetto introspettivo, ma realizzo qualcosa e osservo come gli altri interpretano ciò che faccio, senza puntare alla preservazione dell’opera.
Fin qui abbiamo parlato di te e di quali sono i tuoi interessi. Ma in realtà siamo qua perché in questo momento stai realizzando qualcosa di molto particolare. Vuoi raccontarci cosa è?
Ho ricevuto l’incarico di dipingere un mio disegno sull’intera parete di una palazzina a Pistoia – risponde quasi si trattasse di un qualcosa che capita spessissimo a tutti.
Aspetta Francesco, andiamo per ordine – proseguo cercando di mettere ordine principalmente nei miei pensieri. – La parete appartiene a privati, però dà su uno spazio pubblico, parliamo di Piazzetta degli Incontri e per poter realizzare il tuo lavoro hai dovuto ottenere sia dal Comune di Pistoia che dalla Sovrintendenza i relativi permessi. Direi che già questo avrebbe scoraggiato i più. Come ti è venuta l’idea?
Avevo bisogno di esistere sul territorio – risponde con sicurezza e con naturale semplicità – perché faccio tanto, ma nel concreto non ho fatto ancora niente che possa aver raggiunto molte persone. Perciò, con in testa questa idea, ho predisposto un bozzetto dopo aver individuato lo spazio e con l’autorizzazione del proprietario dell’immobile mi sono presentato al Sindaco di Pistoia per illustrargli il mio progetto. Da lì il passaggio successivo è stato con la Commissione Paesaggistica per il relativo parere e successivamente con la Sovrintendenza dato che Piazzetta degli Incontri, sia pur luogo decisamente abbandonato, è tuttavia limitrofa alla terza cerchia muraria. Ammetto che questo iter è stato per me lungo e confuso, ma capisco che questi erano evidentemente i passaggi amministrativi necessari.
Mi accennavi al Sindaco. Qual è stata la sua prima reazione?
Mi è sembrato sinceramente interessato. E d’altra parte anche lui ha convenuto che oltre a realizzare un’opera pittorica, l’intento finale che più stava a cuore all’Amministrazione era soprattutto quello di riqualificare grazie al mio lavoro un’area cittadina decisamente degradata. Aggiungo inoltre che i proprietari di un altro edificio posto sulla piazzetta, a loro spese, hanno già deciso di installare dei lampioni per illuminare l’intera area, murales compreso ovviamente. Io onestamente non credo che realizzare un disegno su una parete possa essere considerata vera riqualificazione urbana, però se questo serve ad attirare l’attenzione della gente e a incentivare altri interventi simili a quello di cui stiamo parlando, allora il risultato va ben oltre l’opera dell’artista.
Concordo con te, ma soprattutto mi colpisce la disponibilità dimostrata dalle persone interessate. Autorizzare l’uso di una parete di casa propria gli uni, e impegnarsi economicamente gli altri per fare un qualcosa che spetterebbe alla parte pubblica, mi sembra un gesto di grande civiltà. E spero proprio che questo possa servire anche a evitare qualche azione incivile a danno dell’opera.
Come ti ho già accennato, io sinceramente non ho il timore che venga deturpato il mio lavoro. Lo dico perché vengo da esperienze legate ai graffiti, anche se non mi sono mai avvicinato agli aspetti illegali di quella disciplina e posso assicurarti che tra chi è interno a questo mondo esiste un grande rispetto per il lavoro degli altri. E poi – prosegue ridendo – conto molto sulla nuova illuminazione dell’area quale deterrente al vandalismo.
Prima ho ascoltato una cosa che mi è sembrata particolarmente interessante. Parlando di te hai detto «…il bisogno di esistere». Vuoi parlarmene? – e qui uno penserebbe che spiegare un pensiero come quello potrebbe metterlo magari in difficoltà, e invece… no.
Nasce dal fatto che a scuola, vivendo noi sotto l’ombra del Rinascimento, cosa bellissima che ci scorre nel sangue, si parla spesso della giovanissima età nella quale i grandi maestri dell’epoca tipo Leonardo e Michelangelo hanno iniziato ad andare a bottega e conseguentemente a realizzare i loro primi lavori. Partendo da questo pensiero e ovviamente senza accostarmi a loro, ho maturato la presunzione di iniziare a fare qualcosa per dimostrare che esisto. “Voglio fare qualcosa; dimostrare a me stesso che non è impossibile tentare di arrivare alla mia età persino a quei livelli stratosferici con lo studio e la dedizione.” Questo è stato il pensiero che mi ha stimolato a provarci. Aggiungo che un’altra componente che mi ha spinto ad andare a realizzare qualcosa nella città è stata il bisogno di evadere almeno in parte dall’ambiente scolastico dove studiamo tantissime cose che poi hanno scarsa applicazione nella quotidianità.
Una bellissima riflessione che mi porta a farti un’altra domanda: secondo te nel Rinascimento esistevano più possibilità di emergere dato anche il numero relativamente esiguo di coloro che “ci provavano”, oppure la possibilità di proporsi che tutti abbiamo oggi rende la cosa più semplice? Insomma, è solamente una questione di numeri?
Sicuramente nel Rinascimento era più facile formarsi. A scuola, questo è il mio pensiero, facciamo di tutto, ma non in modo particolarmente approfondito. E iniziamo a sviluppare un nostro pensiero artistico e tecnico verso i quattordici anni, mentre però ci insegnano che allora un bambino che dimostrava di avere un qualche talento già verso gli otto anni frequentava le botteghe dei maestri artigiani. Per quanto riguarda invece l’emergere, non credo che l’enorme esposizione mediatica alla quale siamo abituati renda le cose più semplici. Magari ti permette di raggiungere immediatamente un elevato numero di persone, ma che un eventuale successo derivi interamente dal tuo talento non è per niente scontato. Penso ad esempio a quanto avviene nella musica rap, dove qualche cantante diventa di colpo un artista semplicemente per aver messo in fila alcune stupidissime parole. Io ritengo che il termine artista sia spesso usato in maniera inappropriata.
Tornando al lavoro di cui parlavamo poc’anzi; qual è il tema che hai scelto? Ed esiste un significato che chi lo guarda deve estrapolare dal contesto visivo?
Il tema è naturalistico, sono figure di animali e piante. Se poi lo vogliamo accostare alle iniziative ambientali di questi giorni possiamo pure farlo. Ma la mia idea è quella di portare un pezzetto di natura incontaminata all’interno di un centro urbano. E poi io amo particolarmente studiare e riprodurre sin nei minimi dettagli piante e animali in modo da comunicare a chi guarda l’idea stessa della natura.
Guardando il tuo quaderno di appunti, ho potuto notare che è pieno di riproduzioni fedelissime di animali, tanto che ho avuto l’impressione di trovarmi davanti a un naturalista di tanto tempo fa quando tutto veniva riprodotto in maniera esattissima, in modo da poter essere successivamente studiato. In questo mi sembri bravissimo. È soltanto questione di capacità unita alla tecnica?
È sicuramente interesse unito alla tecnica; perché questa non va da nessuna parte se non viene preceduta da un approfondito studio di quanto intendi realizzare. La tecnica da sola non va avanti se alle sue spalle non esiste un pensiero.
Tornando a uno dei tuoi bozzetti, un uccellino, ho notato un’estrema attenzione ai particolari, tanto da rendere quasi “vivo” il soggetto. Ci avverto, da profano s’intende, un approfondito studio dell’anatomia dell’animale. È così?
Sì, a scuola è materia di studio, ma nel mio caso è questo il modo, che potrei definire forse da “anziano”, con il quale mi piace approcciarmi ai miei lavori: fare un preliminare approfondito studio di ciò che andrò a realizzare, partendo proprio, ad esempio per quanto riguarda quell’uccellino, dal suo apparato scheletrico.
Dato che sentirti parlare è decisamente interessante, facciamo un passo indietro tornando a un argomento che mi ha colpito: l’arte e il termine artista ai giorni nostri.
Quanto ti ho detto prima lo unisco alla riflessione su cosa è considerato ora arte. Il bello e il brutto di adesso è che tutto e niente è allo stesso tempo considerato arte. Il difficile secondo me è saper distinguere tra chi sa fare veramente e chi invece sa solamente vendersi bene o crede di saper fare. Come difficile è capire cosa è o non è vera arte. Ammetto però che questa è una riflessione piuttosto confusa persino per me e mi è difficile parlarne o stabilire chi è o non è un artista oppure cosa è un artista. Se poi decidiamo ad esempio che per artista si intende un innovatore, allora nella storia ce ne sono stati non più di quattro o cinque.
Rispetto invece al tuo percorso scolastico, come vi si inquadra questa esperienza?
Gli insegnanti apprezzano, però l’intero progetto è esclusivamente farina del mio sacco. E per scelta ho evitato di mettere assieme le due cose evitando di farle comunicare, perché ho deciso di mettermi alla prova su una superficie grande come sono i 90 metri quadrati della facciata su cui opero, cercando di prendermi il mio tempo e capire da solo quali sono le difficoltà e gli errori che potrò fare. Chiedo pareri, accetto ovviamente i consigli ma voglio evitare il più possibile di poter essere influenzato dalla scuola.
Mi aiuti a capire quali sono le difficoltà di operare su una superficie tanto ampia da non poter osservare il risultato come se fosse un foglio da disegno?
Mi sono approcciato a questo lavoro esattamente come fanno tutti i muralisti di qualsiasi livello essi siano. Partendo cioè da una quadrettatura della parete precisa al centimetro, dato che questo è un elemento basilare. La difficoltà poi è riuscire a mantenere le proporzioni. Tecnicamente poi la parte più importante è la cosiddetta “prima linea” sulla quale si costruirà tutto il disegno; ed è quella che manderà avanti tutto il lavoro. Se nasce male; se poni cioè delle fondamenta sbagliate è difficile riuscire a recuperare.
Questa è la tua prima esperienza su una superficie così ampia?
Sì, o già fatto altre cose tipo graffiti o murales – sempre su spazi autorizzati ci tiene a precisare – ma mai di dimensioni simili. Però posso aggiungere che con l’approvazione del Comune di Casalguidi sto già lavorando a un progetto grande il doppio di questo su una palestra. Il tema saranno dei pesci rossi.
A casa tua, in famiglia intendo, cosa pensano di questo tuo interesse?
Mi spingono a coltivarlo. I miei genitori sono entrambi architetti; il babbo in più è appassionato di storia e di musei, mentre la mamma lo è del disegno. Lei poi lavora nel campo del design e ha allestito svariate mostre anche a Firenze. E io devo moltissimo a loro e a tutto ciò che mi hanno insegnato e fatto vedere. Grazie a loro ho conosciuto ambienti e persone diverse, ho visitato musei e mostre, ho riflettuto e sono cresciuto. Mi ritengo veramente fortunato ad avere due genitori come i miei.
Queste parole ovviamente non possono che trovare la mia approvazione perché credo che per un genitore sapere di avere l’apprezzamento dei figli sia una delle più grandi soddisfazioni che si possa desiderare, dato che non è assolutamente facile essere babbo e mamma.
Sono d’accordo con te. Dopotutto è la prima esperienza anche per loro, dato che genitori si diventa.
Cosa pensi che i tuoi ti abbiano trasmesso maggiormente?
Il desiderio di viaggiare per andare a osservare qualcosa. Io amo partire anche per conto mio per andare nelle pinacoteche di tutta Italia. Guardo, studio, disegno. Sabato ad esempio ero a Milano alla Pinacoteca Ambrosiana.
Oltre a questa tua passione per l’arte hai altri interessi particolari?
Ci pensa su un attimo, poi sicurissimo esordisce con un chiarissimo no! La mia è una passione totalizzante sulla quale sono assolutamente focalizzato. I miei genitori mi hanno fatto fare tante cose, vari sport compresi, ma niente è riuscito a togliermi questa idea perché l’unica cosa della quale non mi stancherei mai è disegnare.
Questa, che come dici tu è un’esperienza totalizzante, ti complica i rapporti con i tuoi coetanei?
Affatto, anzi direi di essere veramente fortunato con gli amici perché ne ho diversi che come me hanno interessi simili e con i quali spesso vado a giro.
Sia a Pistoia che a Casalguidi disegni piante e animali. Perché non la figura umana?
È per un motivo tecnico. Io amo fare i ritratti, ne faccio tantissimi, però ritengo che come prime esperienze sia più facile dal punto di vista puramente tecnico realizzare su grandissime superfici degli animali. E questo perché la figura umana deve essere impeccabile, dato che anche una piccolissima imperfezione verrebbe immediatamente notata dato che tutti noi siamo abituati da sempre ad analizzarla. E poi tieni presente che per me è la prima volta e quindi ho bisogno di fare le mie esperienze prima di passare ad affrontare altri temi.
Nella tua opera esiste anche uno studio della prospettiva rispetto a chi osserverà il risultato finale?
C’è uno studio della dimensione delle figure perché noi umani percepiamo una possibile mancanza di proporzione tra i soggetti rappresentati. Inoltre occorre valutare lo spazio attorno all’opera. Nel mio caso non è grandissimo e quindi bisogna tener conto della distanza tra un osservatore e la parete. La mia composizione deve perciò considerare anche questo aspetto.
Hai degli accordi particolari con i proprietari dell’immobile sul quale stai operando?
Uno solo: il risultato dovrà piacergli, pena il rimettere la parete allo stato iniziale.
Immagino che siano per il momento opere realizzate tutte gratuitamente, nel senso che tu non incassi niente. Ma hai qualche contributo per coprire almeno in parte le spese?
Assolutamente no. Tutto è esclusivamente a mio carico. D’altra parte sono io che mi propongo. Diciamo che lo considero come un investimento sul mio futuro. E qui torniamo al discorso dell’esistere. Se quello che riuscirò a realizzare piacerà, vorrà dire che avrò raggiunto il mio scopo ed avrò qualcosa da mostrare. Poi ovviamente se la cosa andrà avanti il discorso potrebbe cambiare.
Immagino però che la molla sia qualcosa di diverso da una semplice operazione commerciale.
Ovviamente sì. Prima di tutto lo faccio per l’infinita passione che ho per questo genere di attività. Sono anni che approfondisco le tecniche disegnando per sette ore al giorno quasi fosse diventato per me uno sport. Ne sento il bisogno ed è come allenarsi con l’intento di migliorarsi.
Finisce qui la mia interessantissima chiacchierata con Francesco Principato, un ragazzo che mi ha dimostrato con le parole di essere forse ben oltre i suoi diciotto anni.
E dopo l’intervista, dato che vi eravamo vicinissimi, abbiamo fatto un salto alla Piazzetta degli Incontri per vedere il primo abbozzo di quanto verrà realizzato. E devo ammettere che anche se parliamo di un primo abbozzo, l’insieme che ho potuto osservare è veramente notevole
Io non mi intendo di pittura, graffiti o muralismo e non sono in grado quindi di dire se quello che verrà alla fine su quella parete sarà arte o meno, ma sono convinto che qualunque sia il titolo che vorremo dare al lavoro di Francesco dovremo comunque riconoscere che, grazie a lui e alla sua passione, una piccola parte della nostra città avrà un posto dove sarà bello andare, anche solo per guardare e giudicare.
E se poi qualcuno volesse dare una mano contribuendo economicamente alle spese che questo giovanotto sta sostenendo, credo proprio che verrebbe positivamente accomunato quantomeno al tentativo di recuperare a nuova vita uno spazio pubblico oggi decisamente abbandonato.
Enrico Miniati