
La prima Radio era una rana
17 Gennaio 2019
Treno della memoria: la Shoah studiata sui libri, la Shoah vista nei campi di sterminio. Gli studenti raccontano
23 Gennaio 2019Il 15 gennaio 2019, siamo andate come ogni anno a ricordare i bambini morti nei campi di sterminio, di tutti i campi di sterminio, ma in particolare quelli assassinati nel campo di Auschwitz e Birkenau, perché in Pistoia c’è un piccolo monumento, con una grande targa, che li ricorda. Un monumentino che pochi conoscono anche perché poco visibile, che si trova al centro di una rotonda spartitraffico all’inizio del Viale Arcadia passando da Piazza della Resistenza. Nel passato ogni anno andavo da sola a portare un fiore e a fare qualche minuto di riflessione, avevo silenziosamente adottato il monumentino, ma poi ho iniziato a pensare che era giusto estendere questa esperienza ad altri: l’esperienza del commemorare e quindi ricordare, anche lontano dalle grandi celebrazioni. Da un paio di anni sono con me altre amiche dell’Associazione “Scarpette rosse n. 24”, titolo suggerito dall’omonima poesia di Joice Lussu, Associazione che si è costituita proprio con l’intento di non dimenticare mai l’orrore dello sterminio e soprattutto sollecitare le Istituzioni nella memoria dell’olocausto dei bambini simbolizzato da questo piccolo cippo che li ricorda. Così l’anno scorso abbiamo invitato altre amiche e, quest’anno, ci siamo ‘allargate’ ed hanno aderito al nostro invito la Comunità ebraica, era presente Stefano Bartolini, e l’Associazione culturale “Ipazia” con la sua Presidente Antonella Gramigna.
Una cerimonia breve ma intensa, fatta di fiori, di parole, di poesie. C’è stata anche molta commozione soprattutto quando Ilaria Barghini ci ha raccontato le vicende dei 20 bambini ricordati nel piccolo monumento. 20 bambini, 20 rose bianche che circondano il monumentino, 20 pietre d’inciampo. Bambini allontanati dai campi e destinati alle sperimentazioni del Dott. Mengele e dei suoi colleghi infami. Fra di loro c’era il piccolo Sergio, unico italiano, ed è facendo riferimento a lui che Ilaria Barghini di “Scarpette rosse n.24” ha iniziato il suo intervento che riporto integralmente.
“Il piccolo Sergio de Simone era stato condotto al campo di Auschwitz insieme alla mamma Gisella e ad altri suoi familiari. Insieme alle sue cuginette Andra e Tatiana, venne portato nella cosiddetta “Baracca 11”, dove il Dr. Mengele visitava i bambini e li sottoponeva ai suoi studi pseudoscientifci.
Un giorno, dal campo di concentramento di Neuengamme, vicino ad Amburgo, vennero richiesti “20 pezzi”, (così venivano chiamati i bambini), perché un certo dottor Heissmeyer intendeva eseguire esperimenti su di loro.
Mengele, perché non si diffondesse il panico, usò l’inganno per reclutare i piccoli da indirizzare al collega: disse al gruppo dei bambini della Baracca 11 che chi avesse voluto rivedere la propria mamma avrebbe dovuto fare un passo avanti. Sembra che una kapò avesse in precedenza detto loro di non fare quel passo, ma il piccolo Sergio e altri diciannove bimbi, di età compresa tra i 5 e i 12 anni, sopraffatti dal desiderio di riabbracciare la madre, quel passo lo fecero.
Affrontarono in uno stato d’animo trepidante quel viaggio fino al campo di Neuengamme; era il 29 Novembre 1944; per il piccolo Sergio era il giorno del suo settimo compleanno.
Purtroppo al loro arrivo non c’erano le braccia della mamma ad accoglierli, bensì un medico che desiderava proseguire esperimenti già falliti su animali, ma che era sicuro che su cavie umane avrebbero dato i risultati desiderati. Il folle progetto del dottor Heissmeyer era di realizzare vaccini di origine umana; tramite iniezioni sottocutanee del batterio vivo della tubercolosi era convinto che l’organismo dei piccoli avrebbe reagito producendo anticorpi in grado di inattivare il microorganismo. I suoi propositi si basavano su teorie già superate anche per l’epoca, ma ugualmente volle proseguire per quella strada, bramoso di diventare famoso per qualche nuova scoperta. I dati relativi agli esperimenti vennero riportati su cartelle e vennero anche fatte foto ai bambini, nel corso delle pratiche eseguite.
Alcuni giorni prima del termine della guerra, da Berlino giunse l’ordine tassativo di far sparire ogni traccia di tali esperimenti, compresi i bambini. I venti piccoli vennero allora portati in una scuola, che esiste ancora, Bullenhuser Damn, dove era stato disposto un distaccamento del campo di concentramento.
Nella notte tra il 20 ed il 21 Aprile 1945, i bambini vennero prima sedati, per facilitare le operazioni, quindi vennero impiccati uno ad uno, ad un gancio che era affisso ad una parete del seminterrato della scuola. I corpicini vennero poi cremati ed il Sergente SS che aveva presieduto all’eccidio incaricò il custode della scuola di distruggere la documentazione cartacea. Il custode però non eseguì quell’ordine; egli riunì e ripiegò con cura quei documenti, quindi li sotterrò nel giardino della scuola stessa.
Molti anni dopo, quei documenti vennero rinvenuti ed un giornalista, Gunter Schwarberg, ricostruì la storia dei bambini di Bullenhuser Damn e iniziò le ricerche per risalire alle loro famiglie.
I genitori del piccolo Sergio De Simone, sopravvissuti ai campi di concentramento, non seppero niente del loro figlio per molto tempo; il babbo morì nel 1964 senza mai avere avuto notizie di lui. Negli anni ottanta, mamma Gisella venne convocata dalla scuola Bullenhuser Damn di Amburgo: solo allora, a quarant’anni di distanza, seppe che il suo piccolo Sergio era morto e in quali tragiche circostanze”.
Terribile storia che ci richiama tutti a riflessioni, a condanne, a prese di posizione. La fine orrenda dei bambini, eseguita con fredda determinazione, ci dà la misura di dove un uomo a volte può arrivare quando odia, quando non è capace di sottrarsi all’indottrinamento. Solo il custode della Scuola ci dà un piccolo respiro di speranza, lui è tutti ‘i giusti’ che seppero operare secondo coscienza contrapponendo all’odio l’amore e il sacrificio di sé stessi, a volte pagato addirittura con la vita.
Lucia Focarelli