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1 Gennaio 2019E’ morto Amos Oz, scrittore e saggista israeliano, giornalista e docente di letteratura all’Università Ben Gurion del Negev, a Be’er Sheva, noto come autorevole sostenitore della “soluzione dei due stati” nel conflitto arabo-palestinese fin dal 1967, quando combattè nella “Guerra dei sei giorni”, e successivamente sulle alture del Golan nel 1973, durante la “guerra del Kippur”: questa partecipazione diretta alla guerra, unitamente alla sua storia familiare e al suo percorso personale, hanno contribuito in modo determinante alla creazione del “personaggio” che tutto il mondo ha imparato a conoscere, attraverso i suoi scritti, che siano i romanzi oppure i saggi di letteratura, politica, sulla pace, oltre la grande produzione giornalistica.
Nato a Gerusalemme da genitori immigrati sionisti dell’Europa orientale, cresciuto in una famiglia politicamente orientata a destra, sostenitrice del Partito Revisionista Sionista, Amos, all’età di 12 anni, viene profondamente segnato dal suicidio della madre, evento con forti ripercussioni anche sul suo rapporto con il padre, molto conflittuale, che riesce ad elaborare nel libro di memorie “Una storia d’amore e di tenebra”. All’età di 15 anni si iscrive al Partito Laburista Israeliano e va a vivere in un kibbutz, decidendo di cambiare il cognome originario “Klausner” in “Oz”, che in ebraico significa “forza”: resta un militante del Partito Laburista Israeliano fino agli anni novanta, quando aderisce al Partito Meretz.
La produzione letteraria di Amos Oz è imponente e varia: in ciascuno dei suoi ruoli ha prodotto scritti tradotti e conosciuti in tutto il mondo, è stato sicuramente uno degli intellettuali più influenti e stimati di Israele. Oltre ai suoi romanzi, Oz pubblicava regolarmente saggi di politica, di letteratura e sul tema della pace: ha scritto molto per il giornale laburista israeliano Davar e per il quotidiano Yedioth Ahronoth. In inglese, i suoi scritti sono usciti su varie pubblicazioni, tra cui il New York Review of Books. Amos Oz è uno degli scrittori la cui opera è oggetto di studi approfonditi da parte dei ricercatori: presso l’Università Ben-Gurion nel Negev è stata creata una collezione speciale su Amos Oz e le sue opere e negli ultimi anni era considerato uno dei più probabili candidati al Premio Nobel per la letteratura.
E’ certamente rilevante il suo pensiero politico: Oz era notoriamente un “conciliatore” nella sfera politica e un social-democratico nella sfera socio-economica; è stato uno dei primi a parlare della “soluzione dei due stati” per il conflitto arabo-israeliano, ovvero la creazione e la convivenza , nello stesso territorio, di due Stati autonomi e indipendenti, Israele e Palestina, dopo la “Guerra dei sei giorni” alla quale aveva partecipato come combattente, e lo fece in un articolo del 1967, “Terra dei nostri Padri” sul giornale laburista Davar. “Anche un’occupazione inevitabile è un’occupazione ingiusta”, scrisse Oz che, nel 1978, è stato uno dei fondatori del movimento “Peace Now”. Al contrario di molti movimenti israeliani per la pace, Oz non si opponeva alla costruzione di una “Barriera di separazione israeliana”, ma riteneva che il suo tracciato dovrebbe essere più o meno quello della Linea Verde, cioè il confine esistente prima del 1967, in disaccordo con le colonizzazioni israeliane dei territori palestinesi, attuate successivamente al conflitto.
Perché ricordare Amos Oz? Certo per la sua produzione letteraria, fonte di conoscenza e di proficuo confronto per chiunque si avvicini ai suoi scritti, ma soprattutto perché ha parlato di “pace possibile” in un luogo del mondo dove pare che ciò “non sia possibile”, perché ha concretamente individuato e teorizzato un “metodo” per la soluzione del conflitto israelo-palestinese, attraverso “il riconoscimento dell’altro” come destinatario di “pari dignità di esistere” in quanto stato autonomo e indipendente: nei tempi che stiamo vivendo, segnati da divisioni sempre più profonde ad ogni livello sociale, da esclusioni sempre più emarginanti, da chiusure caratterizzate da egoismi e particolarismi che prevalgono sul bene comune della collettività, dalla “negazione dell’altro”, comunque caratterizzato, soltanto perché “diverso” e quindi potenzialmente “pericoloso”, il messaggio di Amos Oz è ancor più denso di significato e deve diventare un monito e un obiettivo da perseguire da “tutti gli uomini di buona volontà”.
Giovanna Maria Colomo