L’inverno bianco nel Cantone di Vaud
11 Dicembre 2018Nella città dei Sassi si respira aria di Natale: tradizioni culinarie e di famiglia, tutti insieme a godersi lo spettacolo del Presepe vivente più grande del mondo.
23 Dicembre 2018Nimuel, 5 anni, scende la collina di rifiuti maleodoranti. È una delle tante che compongono la maggiore discarica delle Filippine, quella di Manila, dove giornalmente vengono riversate le 400 tonnellate di rifiuti che la città produce.
La chiamano Smokey Mountain (la Montagna Fumante di rifiuti). Nimuel si porta appresso due sacchetti di plastica enormi per il suo corpicino, dentro, in uno mette pezzi di metallo e vetro, nell’altro plastica. Pensa che deve fare presto a raggiungere l’ingresso, là ci sono i compratori che pagheranno 6 pesos per i suoi sei chili di “merce”, circa un quarto di dollaro. Niente. È lunga la strada verso l’ingresso. Un percorso accidentato attraverso un sentiero fatto di rifiuti diventati dura come l’asfalto per il passaggio continuo dei trattori e dei camion. Poi di nuovo in corsa per arrivare tra i primi dove gli autocarri scaricheranno il loro tesoro dall’odore insopportabile. Rovistare per primi è importante per raccogliere i pezzi migliori, per avere la prima scelta. L’aria è irrespirabile, i miasmi sono insopportabili. È un girone infernale dove le persone vivono in baracche pericolanti costruite con i materiali della discarica. Circa tremila famiglie, ventimila persone di cui un numero altissimo di bambini come Nimuel.
Li chiamano “Scavengers” cioè persone che cercano tra i rifiuti ma la parola ha anche il significato di animali, insetti che si cibano di rifiuti. Sono affetti da pustole e infezioni di ogni tipo difficili da guarire senza la possibilità di farsi visitare da un medico o di prendere alcuna medicina. In dicembre sulla Smokey Mountain non fa molto freddo, qualche volta piove, qualche volta tira vento, ci sono i monsoni e le condizioni meteo cambiano spesso. Quello che non cambia mai è la fatica. Una fatica bestiale, ogni minuto, ogni ora, ogni giorno. Tutti i giorni.
Non cambia il lavoro massacrante di Nimuel e di altri bambini come lui che non conoscono la scuola, una doccia calda, un pasto che non sia fatto di rifiuti ancora commestibili, un paio di scarpe, un minimo di dignità umana che quel lavoro da schiavi non potrà mai riconsegnare.
Giulio, 6 anni appena compiuti, guarda le lucine colorate dell’albero in salotto, ancora non c’è nessun pacchetto, li porterà tutti Babbo Natale il 24 notte. Ci sarà sicuramente una scatola di mattoncini colorati per costruire il camion dei pompieri tanto desiderato e poi una macchinina telecomandata come quella che si era rotta l’anno scorso. Per Giulio questo è un Natale speciale, ha iniziato ad andare a scuola e il papà, dopo quasi un anno dal licenziamento, ha nuovamente un lavoro. Insieme alla mamma hanno ritrovato il sorriso che sembrava perso per sempre. Giulio la notte della vigilia andrà con loro alla Messa e canterà con tutti gli altri bambini “Tu scendi dalle stelle”. Poi la mattina dopo, prima ancora di fare colazione, scarterà i regali e a pranzo farà festa coi nonni di fronte alla tavola imbandita del salotto. Infine, nel pomeriggio, una bella passeggiata in centro a vedere i presepi.
Giulio è felice.
Nimuel risale lentamente da solo la “grande montagna” dei rifiuti. È piovuto e il bambino arranca ad ogni passo scivolando sulla melma putrida e sui sacchetti di plastica bagnati. Mancano ancora molte ore per finire la giornata e tornare alla propria baracca di lamiera, senza acqua, senza energia elettrica, situata ai margini della più grande zona di slums di tutta l’Asia. Nimuel si rimette chinato a rovistare. Poco distante decine di altri bambini come lui fanno lo stesso. Ad un tratto è attratto da un pezzetto di plastica blu che assomiglia molto a una macchinina. È vero mancano le ruote, ma è ancora lucida, i finestrini non sono rotti e sul tetto, anche se storta, è attaccata una piccola antenna. Ci si può ancora giocare. Quel pezzo di plastica non sarà rivenduto. È bellissimo.
Nimuel è felice.
La vetrina davanti a me, anche se piena di luce e colori, sembra soccombere immersa nelle mille fantasie degli addobbi natalizi che illuminano le vie del centro. Io però non li vedo e un velo appanna lo sguardo.
Ho finito di leggere un articolo sulla Smokey Mountain e in testa ho voglia di scrivere qualcosa che faccia riflettere su questi giorni di festa ma intrisi di sfrenato consumismo. Ecco fatto, ne è venuto fuori un articolo che non è un articolo ma quasi un racconto e di nuovo le immagini di Nimuel e dei suoi piedini nudi che affondano in una poltiglia schifosa, mi passano davanti agli occhi.
Penso che in questo mondo, assurdamente globalizzato, c’è qualcosa che accomuna la vita di due bambini distanti tra loro migliaia di chilometri. Un gioco. Certo che quel piccolo pezzo di plastica color del cielo non è lo stesso, ma ha la stessa funzione. Per tutti i bambini del mondo un gioco è un gioco e basta. Rimane l’inaccettabile diversità delle condizioni di dove e come si gioca. Di dove e come si vive. Di dove e come si cerca di non morire. Di dove si cerca di sopravvivere con le unghie e con i denti fino al giorno dopo. Sempre. Non solo a Natale. Rimane la nostra indifferenza, ancora più caustica e graffiante in questi giorni frenetici che precedono il 25 dicembre. Un’indifferenza “sovrana” che volta lo sguardo e rifiuta persino la curiosità di conoscere.
Chiudere gli occhi fa diventare buio attorno. Per scacciare il rimorso. Per abitudine. Forse per nascondere la vergogna.
Rendersene conto potrebbe essere già un buon inizio. Proviamoci. Forse siamo ancora in tempo. Forse non è così tutto buio.
Buon Natale Giulio! Buon Natale Nimuel!
Buon Natale carissimi Lettori!
Alessandro Orlando