L’uccellino della RAI : una specie protetta
25 Novembre 2018Perchè la “radio” si chiama così? Una questione irrisolta e tante ipotesi.
30 Novembre 2018La sequenza di eventi calamitosi che si abbatte a scadenze sempre più brevi sul territorio italiano ma direi anche nel resto del mondo ci inducono a una riflessione di ampio respiro: le nostre esistenze e i nostri comportamenti devono fare i conti con l’andamento del clima globale. Il clima ha sempre condizionato le attività umane ma, da circa 100 anni, in modo massivo da 50 anni, la sua evoluzione naturale è compromessa dalle emissioni antropiche di gas “a effetto serra”.
Le tonnellate di CO2 di origine fossile attualmente rilasciate in atmosfera hanno portato la concentrazione agli attuali 400 ppm (leggi: 400 parti per milioni) quando il valore massimo da 800 mila anni a questa parte è stato di 300 ppm. La conseguenza di questa immissione anomala è un aumento della temperatura globale dell’ordine di 1 grado che potrebbe arrivare, se non prendiamo provvedimenti, anche a 5-6 °C, e un aumento del livello marino di 0,3 mm – fino a 1 m nel 2100, sempre secondo i comportamenti che si vorranno percorrere.
Questo ha portato gli scienziati a coniare una nuova “era” chiamata Antropocene: dopo il Cretaceo, il Giurassico termini geologici che sono divenuti “familiari” per i nostri figli che giocano con i dinosauri oggi siamo in una nuova era geologica (dal greco anthropos: uomo –cene: periodo) ……. in cui il protagonista, nel bene e nel male è l’uomo.
La consapevolezza del rischio climatico è una sfida di proporzioni mai viste per la specie umana e la sua attuale organizzata società, è fondamentale per la per la presa di coscienza del carattere di bene comune del clima globale e le conseguenti urgenti scelte di mitigazione e adattamento.
Ecco quindi che il comitato intergovernativo dell’ ONU sui cambiamenti climatici (IPCC) dal protocollo di Kyoto (2005) fino alla conferenza tenutasi recentemente in Corea del Sud (2018) ha disegnato uno scenario tanto chiaro nelle sue linee quanto fosco nelle previsioni: l’intero pianeta, o meglio i suoi 196 paesi, dovrebbero contenere l’innalzamento della temperatura entro 1 grado a partire da “domani” (1 grado lo abbiamo già guadagnato in questi decenni); oltre questo limite si andrebbe al collasso degli ecosistemi, con aumento dei livelli marini, sommersione di aree costiere densamente abitate e migrazioni di popoli (a confronto quelle odierne sembreranno ben poca cosa….), riduzione dei raccolti a fronte di un aumento della popolazione ( 9,5 miliardi di persone nel 2050), maggior frequenza ed energia di eventi estremi quali alluvioni in aree urbane, temporali, bombe d’acqua, esondazioni, uragani e tornadi, inverni con temperature anomale in montagna, scomparsa dei ghiacciai, scarse precipitazioni nevose invernali, ritiro del permafrost, ondate di calore nei periodi estivi in pianura….desertificazione di ettari di territorio; Alcuni esempi concreti?: Venezia, Rovigo saranno, con questo trend, sommerse, ma anche le isole Fiji, Rotterdam e Miami andranno sott’acqua; fronti di ghiacciai si ritireranno ulteriormente, uragani della potenza di Katrina (New Orleans, 2005) e di Harvey (Houston, 2017) si abbatteranno sul territorio con maggiore frequenza e, se possibile, con maggiore intensità.
Il pianeta terra è malato. L’uomo in quest’ultimo secolo, anzi negli ultimi 50 anni, è all’origine della sua malattia, ma nel contempo è riuscito a elaborare una diagnosi. Perfetto. Ora passiamo alla cura. La terapia per evitare aggravi (si noti bene: non per ristabilirlo) dovrebbe essere tempestiva e qui abbiamo il primo scoglio, poiché i 196 paesi che siedono alle conferenze sui cambiamenti climatici non la pensano allo stesso modo: ci sono paesi come gli Stati Uniti che non vogliono sacrificare il loro benessere e la loro crescita economica per alcun motivo al mondo, ci sono altri paesi che solo recentemente hanno conosciuto un trend di sviluppo e certo non vogliono rinunciare accusando i paesi già sviluppati di aver portato il pianeta a queste estreme conseguenze; tutto ciò si traduce in una serie di dichiarazioni accademiche d’intenti senza alcun reale riscontro decisionale e tanto meno operativo.
Eppure le cure ci sarebbero, a partire da un abbattimento dei combustibili fossili e un uso massiccio di energie rinnovabili, un minor spreco delle risorse del pianeta, maggior investimento anche tecnologico nella ricerca di soluzioni ecocompatibili e infine, cosa non da poco, una nuova “forma mentis”: la rinuncia alla corsa forsennata al consumo e al superfluo e la cognizione che ogni cosa possa e debba essere riciclabile e riutilizzabile, come facevano i nostri nonni.
Tutto questo è una sfida epocale, di civiltà, tecnologica ma anche etica, se non fosse perché noi abitiamo il pianeta terra ma, come si suole dire, non è di nostra proprietà, siamo di passaggio e dobbiamo lasciarlo ai nostri figli, ai nostri nipoti, alle future generazioni e non possiamo consumarne tutte le risorse e ridurlo a una discarica.
Riuscirà l’homo Sapiens a invertire la tendenza e, soprattutto, a farlo in tempi brevi? È proprio il caso di dirlo: ai posteri l’ardua sentenza.
Renato Vagaggini