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15 Novembre 2018Matera è un esempio lampante della definizione di geosito: località area o territorio in cui è possibile individuare un interesse geologico o geomorfologico per la conservazione (W.A. Wimbledon, 1996); in effetti rappresenta la geodiversità di un territorio, intesa come gamma dei caratteri geologici, geomorfologici, idrologici e pedologici caratteristici. All’ interno della preservazione di tale patrimonio è insita anche la tutela della biodiversità e degli ecosistemi che oggi, più che mai, sono a rischio.
A dire il vero questa definizione, per Matera, è quantomeno “riduttiva” poiché tali caratteri di pregio, geologico-geomorfologici, distinguono in maniera così peculiare il sito da condizionarne l’assetto paesaggistico e la sua stessa riconoscibilità, e questa volta con la “partecipazione”, diciamo così, dell’uomo (si parla in termine tecnico di “impatto antropico”) senza però quegli aspetti perniciosi e devastanti che la sua attività in genere comporta, anzi sfruttando eco compatibilmente le risorse e adeguando le proprie esigenze all’ambiente.
Ed ecco che l’insediamento urbano deriva da varie forme di civilizzazione succedutesi nel tempo: da quelle preistoriche dei villaggi del periodo neolitico, all’habitat della civiltà rupestre di matrice orientale con i suoi camminamenti, canalizzazioni, cisterne; dalla civitas fortificata occidentale dei normanni-svevi (XI-XIII secolo), alle espansioni rinascimentali (XV-XVI secolo) e alle trasformazioni urbane barocche (XVII–XVIII secolo), passando poi dal degrado igienico-sociale del XIX e XX secolo, addirittura allo sfollamento negli anni cinquanta, fino alla rinascita dagli anni ‘80. Ed allora si comprende perché Matera e i suoi “sassi” sono statti accolti dal Patrimonio mondiale dell’Unesco, inseriti all’interno della World Heritage List.
Matera con i suoi “sassi” si trova su un alto morfologico che si affaccia su quella che è detta la “Gravina”, una profonda incisione con pareti incassate subverticali di decine metri scavate dai corsi di acqua nei milioni di anni, lungo la quale è possibile osservare la successione delle rocce formatesi durante l’evoluzione geologica dell’area: a fondo valle si notano le rocce risalenti al Cretaceo superiore (65-88 milioni di anni fa) appartenenti alla Formazione del “Calcare di Altamura”.
Sono rocce carbonatiche calcaree d’origine marina sedimentate e compattate nel corso del tempo geologico; a questa formazione si sovrappongono i depositi datati Pliocene superiore-Pleistocene (2 – 1 milioni di anni fa) della Formazione della “Calcarenite di Gravina“; anche questa è una formazione carbonatica di origine marina con caratteristiche più variabili così come più variabili sono gli ambienti di formazione. Nella parte più alta dei versanti sono ancora osservabili le “argille Subappennine“, risalenti al Pleistocene inferiore ed i “sedimenti sabbioso-ghiaiosi terrazzati” del Pleistocene inferiore medio, sono i depositi più recenti di riempimento dei bacini.
La Gravina di Matera nasce circa un milione di anni fa con l’inizio dell’emersione dell’area appenninica ed il progressivo abbassamento del livello del mare. Sulle superfici emerse scorrono i primi corsi d’acqua che cominciano l’attività di incisione dei sedimenti più teneri del recente Pliocene-Pleistocene; il progressivo sollevamento delle aree emerse aumenta la forza erosiva dei corsi d’acqua su rocce calcaree anche più dure; tutto questo giustifica la morfologia oggi presente costituita da solchi vallivi profondi. Inoltre e le rocce hanno perso la propria compattezza per effetto dei fenomeni di fratturazione e di carsismo ipogeo (sotterraneo). Un altro fattore importante è stato la fratturazione dei sistemi di faglia dell’area appenninica che ha condizionato lo sviluppo idrografico dell’area.
(da Tropeano M. -2003°- Matera: una serie di geositi urbani o una città geosito? – Geologia dell’Ambiente, suppl. al n.1/2003, 231-238. modificato)
La vasta diffusione di insediamenti umani si è realizzata sul versante destro della gravina dove la spessa copertura calcarenitica incisa dai corsi d’acqua ha consentito l’esposizione di più versanti facilmente accessibili all’uomo.
A questo ha ovviamente contribuito il fatto che le rocce calcarenitiche sono meno compatte e più lavorabili e ne sono prove grotte, primitive abitazioni sotterranee, fino a sofisticate strutture urbane costruite con i materiali di scavo e addirittura complessi monastici scavati nella roccia.
Oltre a questo aggiungerei, la scarsa permeabilità delle rocce stesse consentiva all’uomo, scavandole, di realizzare cisterne per la conservazione dell’acqua, bene alquanto prezioso a quei tempi quanto oggi.
Renato Vagaggini