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18 Novembre 2018Gian Paolo Mazzei. Si definisce un artigiano, ma in realtà è il regista dei grandi eventi legati all’immagine.
Avete presente le classiche sfilate di moda con bellissime modelle che sembrano essere uscite da un libro dei sogni? Quelle con le musiche di sottofondo, le luci, i colori, gli abiti meravigliosi e per lo più importabili da quasi tutti, tranne che da quelle fate che per l’occasione li indossano con la stessa disinvoltura con la quale io potrei portare dei jeans e una maglietta? Quelle sfilate che si svolgono in incredibili e inavvicinabili location, piene di giochi di luce ed effetti sonori spettacolari? Quelle che alla fine di tutto vedono entrare in scena i protagonisti della moda internazionale che distribuiscono, sommersi da un mare di applausi, garbati inchini e misuratissimi gesti di ringraziamento? Insomma, quelle passerelle che noi comuni mortali possiamo permetterci di vedere soltanto in tv?
Sì? Benissimo, perché oggi ne parlerò proprio con uno dei maggiori registi di moda del nostro tempo. Il pistoiese D.O.C. Gian Paolo Mazzei, che di quelle sfilate è non soltanto regista, ma molto spesso, assieme alla sorella Paola, anche sceneggiatore e curatore del cast. Vi immaginate che difficoltà enormi deve affrontare? Pensate a uno di noi, costretto a dire di no a una di quelle splendide, eteree e irraggiungibili fanciulle. Roba da non dormirci più la notte per quasi tutta la vita.
Eppure, nonostante faccia un mestiere incredibilmente difficile e vicinissimo al paradiso della moda, quando lo incontri, ti accorgi che è assolutamente diverso da tutto quanto quel mondo illusorio potrebbe far pensare.
Ci vediamo a metà mattina al Caffè Marini, un locale adattissimo per fare con tranquillità e in un ambiente confortevole la nostra chiacchierata destinata a diventare quello che state per leggere. E subito rimango colpito dalla sua cortesia, disponibilità e signorilità. Gian Paolo Mazzei è uno di quei personaggi che del “personaggio” hanno moltissimo, ma che riescono a liberarsene immediatamente, creando all’istante un’atmosfera di empatia che permette di dimenticare di trovarsi davanti ad un “grande”. E oltre ad essere un “signore”, è anche un gran parlatore e ogni sua frase è riempita quasi sempre da aneddoti o racconti delle sue esperienze, che inevitabilmente lasciano a bocca aperta. Insomma, inizi a sentirlo parlare e vorresti che non si fermasse mai. Ammettiamolo dai. Sapere di avere davanti colui che organizza le sfilate a Pitti, Milano, Parigi, Atene e in moltissime altre parti del mondo non può lasciare indifferente neanche uno come me, che se non avesse una moglie attenta, si metterebbe camicie a righe e pantaloni a quadri (magari poi alla fine potrei anche fare… tendenza).
La prima domanda che gli faccio, è ovviamente quella su chi veramente sia Gian Paolo Mazzei.
È una persona che nel corso della vita ha cambiato molte volte il suo modo di essere – mi risponde con voce gentile -. Pensa che io nasco come insegnante di storia dell’arte, ho lavorato in banca, ho fatto esperienze varie in diversi settori, sino a quando mi sono accorto di voler coltivare maggiormente quella che era la mia vena creativa nel campo della moda. Ho quindi iniziato questo cammino a Firenze in uno studio pubblicitario dove creavo spot. Successivamente ho collaborato alla realizzazione di un evento moda, questo mi è piaciuto e, quando mia sorella ha terminato il suo percorso di studi, assieme abbiamo creato il nostro attuale sodalizio, che è nato decisamente sotto una buona stella perché, dopo aver incontrato fortuitamente a Montecatini un importantissimo operatore nell’ambito della moda tedesca, Fischer, siamo passati direttamente a organizzare le sfilate a Francoforte.
Perciò, se ho ben compreso, Gian Paolo Mazzei opera nel campo della moda e della promozione di eventi collegati all’immagine. Quindi, come si definisce nel campo professionale?
Un artigiano. Un artigiano molto serio, perché per me, in ogni campo, la correttezza vale moltissimo. Tecnicamente poi sono quello che viene definito un Regista di Moda.
E come opera un “Regista di moda”?
Un regista di moda si occupa di tutto quel settore legato all’immagine, quali sfilate, servizi fotografici, organizzazione di eventi e, di straforo, se vogliamo anche di moda nel classico significato della parola. È questa una attività in continua evoluzione perché quello che viviamo non è più il tempo dei défilé, ma, dato che il campo della moda e dell’immagine sono una continua ricerca di novità, noi non ci occupiamo più soltanto della semplice organizzazione, ma siamo coinvolti in tutti i singoli aspetti di ogni iniziativa. Dal casting, alle musiche, ai giochi di luce, eccetera; il tutto dovendo tener di conto delle tecnologie collegate. Ovviamente il nostro approccio cambia a seconda del tipo di evento. Se lo organizza ad esempio un centro commerciale, generalmente curiamo la quasi totalità dell’evento stesso. Se invece siamo chiamati da uno stilista, collaboriamo mettendoci al suo servizio, magari accettando di fare operazioni delle quali non siamo a volte perfettamente convinti. E qui, raccontandomi a mo’ di esempio alcuni aneddoti su ciò che ha appena detto, scopriamo di aver avuto in passato persino una comune conoscenza con un vero maestro nel campo dell’alta moda: Emilio Pucci.
Tu sei laureato in pedagogia, con specializzazione in psicologia sociale. Ma esiste un’attinenza tra questa laurea e la tua attuale professione?
Assolutamente sì. Specialmente nel momento in cui incontri per la prima volta un cliente. Spesso lo devi portare, guidandolo, verso quella che è la tua idea; cosa che, credimi, specialmente se il cliente è donna, non è facilissimo, dato che il genere femminile spesso ha delle idee molto precise e che non sempre riesci a modificare. Oppure quando trattiamo con uno straniero che intende organizzare un evento in Italia. La difficoltà spesso è nel dover conciliare il suo essere “non italiano” con il luogo e con il pubblico nel quale svilupperemo appunto l’evento. Ricordo di aver passato giornate intere ad ascoltare delle musiche che mi venivano quasi imposte e che assolutamente non ritenevo adatte per ciò che avremmo proposto.
Noto che parli sempre al plurale, dato che lavori con tua sorella Paola. Com’è il vostro rapporto?
Dal punto di vista umano bellissimo, perché ovviamente l’essere fratello e sorella è un qualcosa in più. Tieni anche conto che lei è molto più giovane di me, più piccola di dodici anni e questo rafforza il mio legame. Per quanto riguarda il settore lavorativo, pur avendo due concezioni completamente diverse, inevitabilmente finiamo per incontrarci. Devo anche aggiungere che lei è più portata ad essere “tecnologica” e quindi si occupa prevalentemente di questi aspetti, mentre io sono più “creativo”. Ammetto persino che difficilmente potrei sostituirmi a lei. Diciamo che siamo complementari.
Tu hai detto: «La vita è fatta di incontri fortuiti». Ma veramente è sempre così?
No, ovviamente non sempre. Succede che tu possa avere grazie a un incontro una vera occasione, ma succede anche l’opposto. E questo dipende molto dal carattere delle persone con le quali vai a rapportarti. Il mio ad esempio è pessimo, perché non sempre sono disposto ad accettare di fare lavori che non mi piacciono o che potrebbero penalizzare i miei collaboratori. E in questi casi sono disposto anche a rinunciare. Però posso dire che ad esempio l’incontro con Enrico Coveri, avvenuto per puro caso nella scuola dove assieme studiavamo e il relativo rapporto di amicizia con lui, è stata successivamente una chiave importante per entrare in quel mondo. Oppure quello con lo stilista greco Lazaros Savvidis che ci ha aperto le porte di Atene o quello con il centro Moda di Mosca che ci ha portato a lavorare in quella capitale per diversi anni.
Tu hai viaggiato molto e hai trascorso lunghi periodi in alcune delle più grandi città del mondo. Cosa hai riportato indietro da queste esperienze?
Tanta esperienza umana, tante cose belle e altrettante non piacevoli. Ad esempio quello che a me non piace dell’estero è stato il rendermi conto che non sempre noi italiani siamo amatissimi. E, è inutile volerci girare attorno, questo secondo me in gran parte è dovuto al fatto che noi siamo spesso più bravi, e non sempre gli altri sono disposti ad accettarlo. Magari lo ammettono, ma non lo accettano.
Pistoia e la moda. Noi siamo abituati a considerarla una città lontana da questo mondo che sembra incantato. Eppure hai scelto di vivere e lavorare qua. Per quale motivo?
In parte è vero il discorso della lontananza da quel mondo. Tieni presente ad esempio che io e mia sorella siamo stati chiamati a lavorare stabilmente su Milano soltanto dopo averci prima vissuto per oltre dieci anni. Però, soprattutto grazie alle nuove generazioni, stiamo facendo dei grossi passi in avanti anche qui da noi, e il mondo del commercio è una grossa fonte di creatività in questo settore. È innegabile però che siamo forse un mondo un poco limitato. Rispetto al vivere a Pistoia, oltre alla famiglia e agli affetti, la vera motivazione è la qualità della vita. E poi, una volta che tu sei entrato a far parte di questo circuito, il “dove vivi” è relativo. E poi capita che spessissimo si venga etichettati come uno studio di Firenze.
Emilio Pucci, Enrico Coveri, Jean Paul Gautier, John Malkovich. Sono soltanto alcuni dei nomi importantissimi con i quali hai appena detto di aver lavorato. Puoi dirmi se parlavano tutti la tua stessa “lingua”? O meglio, come sei riuscito a convivere con così tante diverse visioni della moda?
Lo stesso linguaggio dici? Assolutamente no. Prendi ad esempio Malkovich. Lui è e resta un grandissimo attore quasi inavvicinabile. E nel campo degli eventi moda si affidava a uno stuolo di collaboratori veri esperti del settore. Al contrario invece il Marchese Pucci, grande stilista e maestro di vita, era principalmente una persona squisita. Piena di eccessi coloritissimi a volte, ma capacissimo di passare dal fashion ai tarallucci. Rispetto al conviverci con queste diverse filosofie, il riuscirci fa parte della professione unita all’esperienza che con il tempo si accumula.
Frugando nei tuoi “cassetti” su Facebook, ho trovato tra i tuoi libri Pinocchio. Perché?
Su Pinocchio ho costruito la mia tesi di laurea. Su lui e su Walt Disney. O meglio, sulle loro psicologie e sulla loro evoluzione anche grafica. Andando poi a frugare nel profondo di quei personaggi, scopriamo ad esempio che nel mondo Disney ci sono moltissime cose apparentemente “fuori posto”.
E, a dimostrazione di quanto sincero sia l’uomo che mi siede davanti, alla domanda – Restando al tema del libro. Tu assieme a tua sorella hai scritto nel 2011 un libro dal titolo “Piccolo diario di due registi di moda, dalla periferia alla capitale”. Perché lo hai fatto? – Giampaolo mi ha dato una risposta secca, decisamente inattesa, stupendamente vera e immensamente gradita, oltre che ampiamente condivisa.
Perché l’ho scritto? Ma per vanità. Scrivere quel libro è stato soltanto un peccato di vanità. Mi sono voluto fare un regalo. E al pari dello scrivere quel libro, questa intervista ad esempio mi lusinga molto, esattamente per lo stesso motivo. Nel libro non c’era dentro assolutamente niente di particolarmente “sociologico” come chi solitamente scrive tende a far credere. Vivaddio, ammettiamolo una buona volta; non siamo mica tutti delle Giovanna D’Arco.
I vostri progetti immediati e futuri. Quali sono o saranno?
Nell’immediato un fashion week end a Pistoia a marzo del 2019. A febbraio saremo a Milano per le collezioni di aziende italiane e greche, poi nuovamente a Pistoia con una sfilata di acconciature dedicate all’artista messicana Frida Kahlo.
Gian Paolo, siamo arrivati alla fine di questa serie di domande. Ne ho però ancora una che immancabilmente faccio a tutti: qual era il tuo sogno da bambino? E pensi di averlo raggiunto?
No, per niente, dato che io avrei voluto fare prima il barman su una nave da crociera e poi, cambiando letteralmente idea, farmi prete. E anche questo è durato lo spazio di un’idea. Però poi alla fine devo dire che ho fatto veramente quello che mi è piaciuto di più. E soprattutto quello che mi permette di fare ancora oggi sogni e progetti. Quindi, proprio per questo, il tutto deve ancora avverarsi.
Enrico Miniati
Le fotografie sono state gentilmente messe a disposizione da Gian Paolo Mazzei