
Pistoia dall’alto: uno spettacolo
29 Agosto 2018
Una mostra speciale per la città: ” Il Giappone in Pistoia”.
21 Settembre 2018“…ma quando siamo usciti, stanchi e intontiti, dalla stazione di Venezia e abbiamo visto il Canal Grande e i palazzi marmorei che sfioravano l’acqua melmosa, quel gioiello di cultura che si dondolava sui canali fetidi e muffosi, abbiamo improvvisamente compreso quanto forte e tenace è l’uomo e quanto meraviglioso è il suo spirito, e si è destato in noi un tale amore per l’umanità, l’umanità con le sue pene e le sue epidemie; e siamo penetrati ad occhi aperti dentro un sogno, perché Venezia è il sogno di ogni città…”.
Così ci racconta Abraham Yeshoua quando parla di Venezia. Come non dare ragione allo scrittore israeliano? Venezia è tutto quello che serve per far riflettere, per abbandonarsi al piacere del girare senza meta tra calle, ponti e corti, l’abbandonarsi ad attimi di vigile ottundimento guardando i vicoli talmente stretti che appaiono impossibili da percorrere.
I quartieri sono pieni di colori, di voci, di odori e di suoni, persi nello sciabordio continuo dei canali. C’è però un sestiere che possiede, insieme a tutto questo, anche la capacità di diventare sogno: il sestiere di Cannaregio. Non è difficile che il “viaggiatore” più attento e rispettoso, scopra quelle poche tradizioni veneziane sopravvissute alla modernità e all’assalto dei turisti.
Difatti a Cannaregio (il cui nome con molta probabilità, deriva dal fatto che in antichità il quartiere era situato su una palude di canneti) si possono ancora incontrare molti bacari, (le trattorie e le osterie veneziane vengono chiamate così) frequentati dai residenti, o assistere ai bambini e ragazzini impegnati in giochi tipici, o ancora vedere qualcuno che pratica la Voga Veneta. Le Associazioni Remiere sono qui molto numerose, hanno la loro sede e possono esercitare i praticanti al largo dei canali, dove le acque sono più calme ed il traffico delle barche a motore meno assillante.
A Cannaregio, molto tempo fa, vi erano le fonderie ove si gettavano armi. Il luogo era quello dove il Governo della Serenissima Repubblica nella primavera del 1516 assegnò agli Ebrei una zona ben delimitata dove abitare e dalla quale non potevano uscire dal tramonto all’alba.
Il Getto, diventato poi Ghetto per la pronuncia dura della g da parte degli ebrei di lingua tedesca che per primi lo abitarono, era chiuso da grandi cancelli di ferro controllati da guardie armate. Fu Napoleone ad eliminare i cancelli cosicché gli Ebrei furono liberi di vivere in altre zone della città. Entrando nel Ghetto, si è catapultati in un posto fuori dal tempo, una piccola città all’interno di un sestiere affascinante e originale.
La piazza si apre allo sguardo dei curiosi offrendo una quotidianità particolarissima. Attraverso i vetri di locali che danno sulla piazza è possibile intravedere uomini coperti dal Talled (scialle di preghiera) che discutono tra loro. Lungo le strade ci sono giovani con la Kippah (copricapo) che lascia correre sulle guance i Payot (boccoli) lunghi e arricciati. Poi troviamo negozi che vendono oggetti legati alla storia e alla identità ebraica, pasticcerie con i loro dolcetti tipici, ristoranti Kasher (cibo ritualmente puro secondo la tradizione) e quant’altro possa riguardare la cultura di questo popolo che, purtroppo nei secoli, è stato oggetto di molti pregiudizi.
Nella piazza del Ghetto Nuovo c’è il Museo Ebraico di Venezia e la Casa di Riposo Israelitica poi proseguendo si troveranno cinque sinagoghe, alcune delle quali, sono visitabili. Le sinagoghe aperte regolarmente al rito sono le due sefardite. Per la via centrale si arriva ad altre due sinagoghe usate alternativamente in estate e in inverno. Particolari sono le stanze dei palazzi, bassissime per poter sfruttare al meglio le altezze e la densità degli occupanti, relegati in quella zona della città.
Usciti dal Ghetto, rientrare e perdersi nel vortice delle migliaia di turisti è un trauma accettabile per la bellezza e le continue sorprese culturali che questa fantastica città offre.
La sera, il gioco di luci riflesse sull’acqua dei bacari lungo il canale, le strette calle, i porteghi o le silenziose corti, danno al quartiere un aspetto magico.
Per la cena, è d’obbligo un salto alla “Trattoria da Bepi già cinquantaquattro” vicino a Campo Santi Apostoli, per la cortesia dei gestori e la semplicità dei piatti tipici veneziani che vengono proposti a prezzi che, per la città lagunare, sono decisamente abbordabili.
Alessandro Orlando