Ci sono luoghi incantati sulla nostra montagna che ancora pochi conoscono, a giudicare dalle presenze. Sono luoghi di boschi e quindi di folletti e di maghi e di fate che se ne stanno nel folto dei boschi senza farsi vedere, ma, basta stare in silenzio, e se ne può avvertire la presenza discreta e protettiva. Ci sono boschi ricchi di mirtilli, lamponi, funghi, e poi di ombra, di frescura, lontani dalle città surriscaldate.
Parlo della zona dell’Abetone, ma anche, soprattutto, della Valle della Luce e della Valle delle Tagliole. In una linea d’aria di circa sei sette km., ci sono 5 laghi e dal primo all’ultimo occorrono, a piedi esperti circa 5 ore. Di mezzo a confortare stanchezza ci sono i rifugi, gli alberghi, i residence e uno dei più bei Resort della nostra montagna.
La Val di Luce, è la Valle centrale a questa zona e quindi favorita per escursioni, agevolate dalla seggiovia che dalla Piazza principale arriva al Passo di Annibale (ci passò davvero Annibale con i suoi elefanti?). All’arrivo della funivia a destra si va verso la Valle delle Tagliole e più precisamente al Passo del Giovo, al Lago Turchino, al Lago di Baccio, al lago Santo.
A sinistra della seggiovia, dopo 10 m. a piedi, si raggiunge il Lago Piatto, tipico piccolo lago appenninico di grande suggestione perché raccolto in una conca di verde, fiori e silenzio. Con un’altra ora circa (ma anche meno se conosci il sentiero e le sue scorciatoie), a piedi, si arriva al Lago Nero (1700 m. di origine glaciale). A questo lago si può arrivare anche dal Sestaione, ma bisogna fare una bella salita, mentre dalla Valle di Luce è tutta discesa, ma molto più breve quando al rientro sarà salita e ancora discesa.
Di questo Lago voglio raccontare: adagiato in una piccola conca verdissima alle pendici delle Tre Potenze che lo dividono dalla Garfagnana e dall’Orrido di Botri. La discesa verso il Lago è quanto di più suggestivo si possa desiderare. Ci restano a sinistra il Gomito e i Denti della Vecchia, dall’altra parte il Campolino, alle spalle le Tre Potenze. C’è un’esplosione di verde e di fiori, anche tipicamente alpini, come il Giglio Martagone, il Giglio di San Giuseppe, il semprevivo, l’anemone e, prima, in un luogo che non svelerò, anche un piccolo rododendro, se Dio vuole, lontano dagli occhi indiscreti dei rapinatori di fiori.
Scendendo verso il Lago si incontra una piccola sorgente, quasi sempre generosa, anche se parsimoniosa, come in questi giorni di grande siccità. La vista sulla conca del Lago e su tutta la Valle riesce a meravigliare ogni volta. A sinistra si vede il Lago che ormai, infestato da piante acquatiche ha una bella forma ad esse, nelle sue acque vivono i tritoni, piccoli anfibi simili ai girini, a destra c’è invece il Rifugio del CAI, molto caratteristico e restaurato da pochi anni. Provate ad entrare nel Rifugio, ci sono i volontari del CAI che passano qui l’estate, volontari e volontarie, alcuni fanno i turni, alcuni, come Paolo sono fissi. Paolo vi accoglierà a braccia aperte e con il suo speciale sorriso che vi farà sentire a casa. Se volete mangiare qualcosa, disponibile ci sarà soltanto pane e formaggio e un bicchiere di vino. Quanto costa? Un’offerta.
Soffermiamoci un attimo a pensare. Il Rifugio è gestito dal CAI, da volontari del CAI, nessuna retribuzione per gente che sta lì a settimane a tenere pulito a fare accoglienza, a sfamare gli sprovveduti che non hanno niente da mangiare né da bere, che raccolgono legna per il fuoco, che tengono pulito lo spazio antistante il rifugio, i magazzini, il bivacco sempre aperto per escursionisti sorpresi dal brutto tempo o dal sonno.
Paolo, per es. ha una lavoro prestigioso che abbandona d’estate per occuparsi del Rifugio e degli avventori che in certi giorni sono centinaia, richiamati dai concerti che si tengono, da alcuni anni, proprio nella spianata del Rifugio..
Un’attenzione particolare va riservata all’interno del Locale. C’è un’aria di sacralità e di spiritualità che personalmente mi commuove sempre. In un ordine impensabile per un locale gestito da giovani, si trovano preghiere tibetane che sventolano sulle travi, la vecchia bandiera italiana consumata all’impossibile per aver sventolato per decenni sul pennone fuori del Rifugio, ora sostituita, e che sempre viene messa ad indicare che il rifugio è aperto, così che si veda anche di lontano. Ci sono altre pitture e simboli, ci sono le chitarre per cantare insieme la sera, perché quassù il cellulare funziona poco e la televisione non c’è. Un’oasi di Pace, questa è la mia sensazione quando frequento il Rifugio. Pace con la P maiuscola, quella che è nel cuore di ogni uomo, quando coltiva se stesso come Uomo.
E poi, come dicevo con Paolo, verrà settembre e il silenzio con le persone che lo amano, e sono tante, perchè al Rifugio poco si addice la caciara di certe domeniche in cui alcuni escursionisti sono di famiglie abituate agli urli da stadio.
Lucia Focarelli