In compagnia di un vero pastore, in un brevissimo viaggio tra ricordi di pecore bianche e sorprese.
Stamani, a bordo di un potente fuoristrada, mi sono recato da Daniele Tondini, titolare dell’omonima impresa agricola, con il quale avevo preso appuntamento per un’intervista. Daniele di professione fa il pastore, e io, chissà mai perché, immaginavo di dover andare chissà dove (retaggio forse delle storielle di Heidi?). Invece, con mia grande sorpresa, a pochissima distanza dalla città, e dopo pochi chilometri di strada asfaltata percorsa in una stupenda vallata, ecco che l’auto entra nel cancello di una villetta curatissima, dove, sorridente, trovo un giovane ad accogliermi.
«Piacere sono Daniele Tondini» mi dice porgendomi la mano «benvenuto in azienda».
«Piacere» rispondo sempre più perplesso mentre mi trovo a pensare: “Ma dove sono le montagne? E le pecore? E l’odore di stalla, le mosche, i covoni di fieno, l’abbeveratoio e tutto il resto?».
«Prego mi segua, accomodiamoci dentro» prosegue il giovane invitandomi a entrare in casa.
Capisco subito che questa non sarà una delle solite interviste fatte di domande e di risposte, perché soltanto guardando il viso e gli occhi del giovane si intuisce immediatamente che ogni cosa che fa lo riempie di entusiasmo, e particolarmente parlare del suo lavoro. Il clima è talmente disteso e sereno che decidiamo immediatamente di darci dl tu.
«Daniele, come si diventa pastore?»
«Io sono geometra…» ci tiene a dire, quasi però scusandosene, «…ma non ho mai nemmeno lontanamente pensato di farlo come mestiere, perché la mia idea è sempre stata quella di seguire le orme del babbo e del nonno. La nostra è una tradizione di famiglia; loro hanno sempre fatto i pastori nella vita. Per quanto mi riguarda, nonostante che questo mi serva per vivere, io non lo posso considerare soltanto un lavoro, perché stare con gli animali rappresenta tutto il mio mondo. Amo le mie pecore, i miei cani e tutto quello che ruota loro attorno».
Il suo entusiasmo è contagioso, così come lo è il suo parlare degli animali, quasi che questi fossero una parte della famiglia. «Le mie sono tutte pecore di razza “massese”, ne ho circa duecento e anche se non posso dire di aver dato a tutte loro un nome, posso comunque affermare che so distinguerle benissimo l’una dall’altra, così come riesco a riattribuire a ogni madre gli agnelli appena nati e che magari sono stati rifiutati. In natura succede anche questo, ma per fortuna esistono i pastori che provvedono a rimettere le cose a posto».
«Possiamo vederle queste pecore?»
«Certamente, sono tutte qui vicino, a poche centinaia di metri».
E infatti mi conduce a brevissima distanza dalla casa, dove in una valletta attraversata da un corso d’acqua, in un grande recinto con al centro due enormi castagni, stanno tranquillamente sdraiate le sue pecore. E qui, mentre la valle, il fiumiciattolo, l’ombra degli alberi e la tranquillità del luogo mi riavvicinano a Hedi, quello che stona sono proprio le pecore. Fossi stato da solo le avrei sicuramente scambiate per capre, perché sono tutte (tranne una) completamente nere, quasi senza lana addosso e con le corna ricurve stile montoni. A far loro la guardia, ma in realtà direi a far loro una compagnia discreta, sta silenzioso in un angolo un bellissimo cane di nome Leo.
«Daniele ma queste sono…» poi però taccio, per non fare la figura del solito cittadino che non distingue una capra da una pecora.
«Queste sono le mie pecore. Come vedi tutte rigorosamente nere come lo sono le “massesi”, tranne logicamente una che è bianca, e che nel mio gregge svolge la funzione solitamente riservata alla classica “pecora nera”».
«Certamente… le “massesi” sono… nere è ovvio». E seduti accanto al recinto riprendo con le domande, mentre Leo festoso girella attorno al padrone alla ricerca di una carezza. «Tu sei sposato con una ragazza che fa l’infermiera. Cosa ne pensa lei di questo tuo lavoro?».
«Ne è entusiasta quanto me. Ha accettato tutto di questo mio mondo: i miei orari assurdi che iniziano ogni giorno all’alba e finiscono abbondantemente dopo il tramonto; la quasi impossibilità di programmare delle vacanze lunghe; il fatto che il pastore lo si faccia per 365 giorni l’anno; il mungere, portare il latte, preparare i formaggi, la ricotta e gli yogurt. Inoltre lei è molto più brava di me nel trattare con i clienti in azienda e questo mi è di grandissimo aiuto».
Il giro poi prosegue per le stalle dove la notte vengono ricoverate le cap… pardon le pecore; per i locali lindi come corsie d’ospedale (la moglie infermiera?) dove il latte viene lavorato e trasformato; nella piccola parte destinata alla vendita, per finire poi in un altro posto dove mi conduce con gli occhi che gli brillano. «Ecco» mi fa una volta giunti in un piccolo recinto immerso nella penombra «questi sono i miei nuovi amici e qualcuno di loro diventerà uno dei miei prossimi aiutanti».
Guardo meglio, e dopo un istante, con gli occhi che si abituano alla penombra, scorgo, dapprima nascosti dietro la madre, poi vivaci e curiosi come lo sono tutti i cuccioli, dei batuffoli neri e bianchi che sembrano esatte copie di cani di peluche, che mi corrono incontro. Roba che se non avessi già quattro gatte per casa, avrei sicuramente portato via, tanto sono meravigliosi. Sono cuccioli di Border Collie e ne rimango affascinato. Belli loro e bella la madre che li osserva docile ma attenta. Riesco a darmi nuovamente un tono professionale e riprendo con l’intervista: «Molti, come faccio io, si domanderanno se economicamente rende fare il pastore nell’anno 2018?».
«Se facciamo il calcolo tra le ore lavorate e il guadagno netto, probabilmente no; ma come ti ho detto all’inizio, io amo tutto questo e quindi, per me, rende sicuramente tantissimo. Inoltre non ti nascondo che ho molti clienti, tra negozi che rifornisco giornalmente e privati che vengono in azienda, e questo, ovviamente, risponde alla tua domanda, anche se per me è più importante la loro soddisfazione che non i loro soldi».
Mi rimane l’ultima domanda da fargli, quella classica che mi sono prefisso di mettere alla fine di ogni intervista, e quindi parto con quella, immaginando però già con largo anticipo quale sarà la risposta: «Dimmi Daniele, quale era il tuo sogno da bambino? E pensi di averlo realizzato?».
Prima di cominciare a parlare mi guarda dritto negli occhi e poi, dopo avermi preso sottobraccio mi risponde dopo aver sfoderato il suo solito sorriso che mette allegria, facendomi a sua volta una domanda: «Enrico, che te ne sembra di tutto quello che ho attorno? È sufficiente come risposta?».
Francamente sì. Non servono molte parole per capire che tutto è forse esattamente come l’aveva sognato. E credo proprio che il mondo di Daniele Tondini sia veramente un qualcosa di speciale che a molti piacerebbe condividere.
Daniele, con le sue pecore, le sue specialità e il cane Leo, lo trovate a Mengarone (Pistoia) in via Baggio Montanina n. 2. E non serve un fuoristrada per andarci.
Enrico Miniati
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